index_italian_m Grammatica essenziale 2011


L’ACCENTO
L’accento grafico

L’accento grafico può essere acuto (´ ) o grave (`). L’accento acuto indica suono chiuso, mentre quello grave indica suono aperto.
Possono avere suono sia aperto sia chiuso la e e la o, mentre la a ha sempre suono aperto e la i e la u sempre chiuso. Va notato che nell’uso comune la i e la u vengono stampate con l’accento grave; questo è legato a una ragione, per cosí dire, “tecnica”: le macchine per scrivere di un tempo e le moderne tastiere dei computer non hanno un tasto per inserire direttamente queste lettere con l’accento acuto. Dato che la pronuncia non può generare equivoci, anche la grafia con accento grave può essere considerata accettabile. In questo libro, tuttavia, si è adottata, coerentemente, la forma corretta.

Un caso a sé è costituito dall’accento circonflesso (^), che sta a indicare, in genere, la contrazione di due lettere o la caduta di una lettera. Ormai in disuso nella nostra lingua, era utilizzato in passato per il plurale dei nomi e degli aggettivi in -io con i
atona (non accentata). Oggi la forma privilegiata è quella con la -i semplice, ma talvolta si incontra ancora la forma con la doppia i (-ii):
municipio - municipî - municipi (municipii)
odio - odî - odi (odii)
principio - principî - principi (principii)
olio - olî - oli (olii)
savio - savî - savi (savii)
vario - varî - vari (varii)

GLI ACCENTI IN ALTRE LINGUE

In francese esiste anche l’accento circonflesso (sebbene le recenti tendenze propendano per la soppressione): es. château (“castello”), île (“isola”). Nella lingua spagnola l’accento è sempre acuto. Cosí avremo, ad esempio, Luís, fantasía e (questa è la grafia corretta!) Perú. L’inglese non usa accenti grafici, mentre in greco ogni parola è accentata.

SUONI CHIUSI, SUONI APERTI

Le vocali e e o non accentate hanno sempre suono chiuso. Quando sono toniche si presentano diversi casi (le parole tronche – per le quali l’accento grafico è obbligatorio – saranno considerate a parte).
●La e è aperta:
• nel dittongo ie, salva la presenza di suffissi come -etto ed -ezza:
fièno, fièle, sièro, manièro • soffiétto, sottigliézza

• nelle parole che escono in -ello, -ella, -enza, -erio, -eria, -estro, -estre, -ezio, -ezia:
monèllo, favèlla, paziènza, impèrio, misèria, maèstro, pedèstre, scrèzio, facèzia

• nei gerundi e nei participi presenti della seconda e della terza coniugazione:
sapèndo, dolènte, morèndo, udènte

• nella prima persona singolare e nella terza singolare e plurale del condizionale presente:
farèi, farèbbe, farèbbero

• nella prima persona singolare e nella terza singolare e plurale del passato remoto in -etti:
stètti, stètte, stèttero

●La e è chiusa:
• negli avverbi terminanti in -mente:
eleganteménte, inevitabilménte

• nelle parole che escono in -eccio, -eggio, -ese, -ezza, -mento:
cicaléccio, manéggio, scozzése, morbidézza, cambiaménto

• nei diminutivi in -etto ed -etta:
sacchétto, scatolétta

• nell’infinito, nel condizionale presente, nell’imperfetto indicativo e congiuntivo dei verbi della seconda coniugazione:
rimanére, rimarréi, rimanévo, rimanéssi

●La o è aperta:
• nel dittongo -uo (tranne se presenti suffissi con o chiusa):
fuòri, cuòre • virtuóso

• in parole sdrucciole di origine latina o greca:
termòstato, astròfilo

●La o è chiusa:
• nei sostantivi e aggettivi che escono in -oce, -ogna, -oio, -ondo, -onte, -oso, -posto, -zione:
vóce, fógna, lavatóio, rotóndo, fónte, noióso, suppósto, preoccupazióne
 
L’apertura o chiusura della e e della o consente di distinguere tra loro parole omografe aventi stessa sillaba tonica ma significato diverso. Eccone alcuni esempi:
accètta (voce del verbo accettare)
affètto (sostantivo: sentimento)
bòtte (sostantivo: colpi)
collèga (sostantivo: compagno)
còlto (voce del verbo cogliere)
còrso (aggettivo: della Corsica)
èsca (voce del verbo uscire)
fòsse (sostantivo: buche)
lègge (voce del verbo leggere)
pèsca (sostantivo: frutto)
pòse (sostantivo: posizioni)
ròsa (sostantivo: fiore)
tòcco (sostantivo: pezzo)
tòrta (voce del verbo torcere)
vènti (sostantivo: brezze)
vòlgo (voce del verbo volgere)
vòlto (voce del verbo volgere)
accétta (sostantivo: ascia)
affétto (voce del verbo affettare)
bótte (sostantivo: recipiente per il vino)
colléga (voce del verbo collegare)
cólto (aggettivo: istruito)
córso (sostantivo: via)
ésca (sostantivo: boccone per catturare animali)
fósse (voce del verbo essere)
légge (sostantivo: norma)
pésca (voce del verbo pescare)
póse (voce del verbo porre)
rósa (voce del verbo rodere)
tócco (voce del verbo toccare)
tórta (sostantivo: dolce)
vénti (sostantivo: numero)
vólgo (sostantivo: popolo)
vólto (sostantivo: viso)
Nel caso di alcune parole sia omografe sia omofone, come ménta e còppa, neppure l’accento è d’aiuto nel distinguere (in questo caso) la voce del verbo mentire dalla pianta aromatica, il trofeo dall’insaccato.
D’altra parte, in casi analoghi, quando la vocale accentata è la a, la i o la u, non esistono neppure possibili alternative di pronuncia. Nella nostra lingua molti sono i termini che hanno piú significati (es. volante può essere il participio presente del verbo volare o un elemento dell’auto). È il contesto a decidere l’interpretazione.


UN GIOCO ISTRUTTIVO

Sull’equivocità di molti termini della lingua italiana è basato un gioco enigmistico
molto stimolante. È la crittografia mnemonica, costituita di un enunciato, a partire dal quale il solutore deve trovare un’espressione sinonimica che – proprio in virtú dell’ambivalenza dei termini – viene ad avere un significato del tutto diverso. Un
esempio tra i piú noti: enunciato = cucchiaino; soluzione = mezzo minuto di raccoglimento. Infatti il cucchiaino è un mezzo (strumento) minuto (piccolo)
impiegato per raccogliere.
 
OMOFONI NON OMOGRAFI
Nell’italiano esiste una spiccata univocità tra il segno grafico e il suono che rappresenta, cioè i termini omografi sono quasi sempre omofoni, mentre in altre lingue non è cosí.
Ad esempio, in francese i termini que (“che”) e queue (“coda”) si pronunciano allo
stesso modo, come in inglese by (“da, accanto”), bye (saluto) e buy (“comprare”).

L’accento grafico è obbligatorio in quattro casi (e cade sempre sull’ultima sillaba):
●nelle parole tronche di due o piú sillabe: caffè, città, libertà, sarò;
●nei monosillabi con due grafemi vocalici: ciò, già, giú, può, piú;
●nei composti aventi come secondo elemento un monosillabo terminante
in vocale, anche se questo – da solo – non è accentato: quassú, portascí,
viceré, ventitré (e tutti i composti di tre), rossoblú, autogrú, Oltrepò;
●nei monosillabi che potrebbero confondersi con altre parole:
dà (voce del verbo dare) da (preposizione)
dí (giorno) di (preposizione)
è (voce del verbo essere) e (congiunzione)
là (avverbio) la (articolo, pronome)
lí (avverbio) li (pronome)
né (congiunzione) ne (pronome)
sé (pronome) se (congiunzione)
sí (affermazione) si (pronome)
tè (bevanda) te (pronome)


Mentre gli avverbi di luogo e si scrivono con l’accento, qui e qua non lo vogliono perché non esistono altre parole con le quali confonderle.
Mentre (terza persona singolare del presente di dare) vuole l’accento, la prima persona do (confondibile con la nota musicale) accetta entrambe le grafie (do/dò).
Un caso particolare è costituito dal pronome : un uso consolidato vuole che quando seguito da stesso non abbia l’accento. In realtà non esiste nessuna particolare ragione che giustifichi quest’abitudine, e la grafia sé stesso è quindi corretta.


Qual è l’accento grafico corretto?

Come detto, la vocale a possiede sempre suono aperto, per cui avrà sempre l’accento grave: à (es. volontà).
La i e la u hanno sempre suono chiuso, e avranno l’accento acuto (anche se quello grave è tollerato): í, ú (es. fuggí, virtú).

La o in ultima sillaba ha sempre suono aperto: ò (es. però).
La e può avere suono sia chiuso sia aperto, quindi può avere l’accento
acuto o grave (é, è). La regola pratica è piuttosto semplice: l’accento è
sempre acuto, tranne che:

●nella terza persona singolare dell’indicativo presente del verbo essere
(è) e nei suoi derivati, come cioè;
●in alcuni nomi propri come Noè, Mosè, Giosuè;
●in pochi altri termini, come caffè, tè, embè, lacchè, ahimè (ma alcuni
vocabolari ammettono anche ahimé).

➤Attenzione: la pronuncia regionale di molti termini sembra contraddire le
norme grammaticali, ma... di pronunce regionali si tratta! In particolare si
rammenta che vogliono l’accento acuto sé (pronome), né (congiunzione),
i composti di che (perché, giacché, finché, poiché, sicché ecc.),
la terza persona singolare del passato remoto di verbi come potere (poté) e i numeri che terminano con tre (trentatré).
Un caso a sé è rappresentato da alcuni termini di derivazione francese, la cui pronuncia, in accordo con la lingua di origine, dovrebbe avere la e chiusa e che
tuttavia sono entrati nell’italiano con l’accento grave. È il caso, ad esempio, di bignè, purè e bebè (da beignet, purée, bebé).

QUEL BISTRATTATO ACCENTO
L’accento e l’apostrofo hanno significato assai differente. Non sarà inutile sottolinearlo,
poiché è molto diffuso il malcostume di utilizzare l’apostrofo in luogo dell’accento,
specialmente sulle lettere maiuscole (complice, in questo caso, l’assenza del relativo
tasto sui computer). Tranne che in ambiti particolari, in cui si deve soggiacere alle esigenze della tecnologia (nei newsgroup, ad esempio, le lettere accentate e i
segni diacritici non sono riconosciuti), l’apostrofo al posto dell’accento è un errore.
Quindi si deve scrivere È, non E’.


index_italian_m Grammatica essenziale 2011