NOMI. Molti, quando incontrano i loro Spiriti guida, si affrettano a domandare loro come si chiamino, nome e possibilmente cognome, nella convinzione che ciò faciliti il rapporto con le facoltà psichiche che gli Spiriti rappresentano. In realtà ciò porta il più delle volte al contrario.
Lo stesso vale per i Nomi degli Angeli, o per i Nomi divini (che non per nulla la Bibbia raccomanda di non pronunciare): usare quei Nomi come se fossero nomi propri – equivalenti celesti di Giorgio, Philippe o Jack – serve soltanto a bloccarsi al primo stadio della scoperta dell’Aldilà, al periodo cioè in cui ancora si crede che nell’Aldilà il nostro io rimanga se stesso, tale e quale a come avevamo imparato a conoscerlo nell’Aldiquà: «Loro hanno un nome così come l’ho io: dunque loro sono loro e io sono io, e perlomeno riguardo al mio essere me stesso non devo dunque accorgermi di nulla di nuovo!».
La scoperta dell’Aldilà procede invece di pari passo con la scoperta di quanto tutto ciò che nell’Aldiquà ci appare come un dato di fatto oggettivo (e in primo luogo l’io a noi noto) sia solo il prodotto di un nostro limitatissimo modo di percepire e di interpretare le nostre percezioni. Tale scoperta avviene proprio perché, nell’Aldilà, comincia a mutare il soggetto di tale percezione: il tuo io diventa più grande; e il mutamento ha ben presto fasi tanto ampie, e spesso brusche, che non riusciamo nemmeno più a chiamare «io» ciò che in noi percepisce, parla, pensa. Appunto a quel che del nostro io non riusciamo ancora a chiamare «io» (perché è di troppo più grande, più limpido, più veloce del nostro io a noi noto) si riferiscono tutti i nomi che possiamo usare nell’Aldilà, sia quelli che i principianti danno ai loro Spiriti guida, sia anche i Nomi di Angeli e i Nomi di Dio che apprendiamo dalla tradizione ciascuno dei quali indica una delle principali fasi del mutamento dell’io durante la scoperta dell’invisibile.
Questi nomi e Nomi, dunque, sono tutti quanti nostri, indicano fasi principali del mutamento, della crescita dell’io durante la scoperta dell’invisibile: e vanno perciò sempre decifrati, perché possiamo accorgerci di quel che ci indicano.
Per lo più, quando si riferiscono alle sfere superiori dell’Aldilà, si tratta di Nomi ebraici o di origine ebraica, e lì la chiave della decifrazione è data dai significati geroglifici dell’alfabeto EBRAICO ANTICO (v. ESSERE e DIVENIRE). Ma anche i termini d’origine non ebraica che riguardano l’Aldilà richiedono interpretazione: «Spirito», «Anima», «Angelo», «Arcangelo», «Dio» non sono parole di per sé significative, ma indicazioni simboliche, che narrano ciò che da millenni l’io può scoprire di se stesso nell’Aldilà.
E interpretarli non è affatto facile. Spiritus, per esempio, che in latino significa «brezza», e il suo equivalente greco, Pneuma, sono parole che in ciascuna lingua europea vengono tradotte in modo diverso: il significato dell’inglese Ghost non coincide pienamente con il tedesco Geist, ed è lontano dal francese Esprit e dal russo Dukh – ma da ciascuna di queste lingue il concetto di «Spirito» riceve una connotazione di cui occorre tener conto, per intendere di che cosa si tratti.
Se d’altra parte non nutrite un particolare interesse per la filologia, e cionondimeno l’Aldilà vi appassiona, la miglior cosa è non attribuire alcuna importanza ai Nomi, e badare soltanto a ciò che coloro che nell’Aldilà assumono quei Nomi vi dicono o vi fanno comprendere: in ogni caso sono parti di voi, e «dai loro frutti li riconoscerete» – dai cambiamenti che determineranno in voi, saprete cioè a quale altezza si trovino e quali siano i loro poteri.
NON-SAPERE, vedi PERCEZIONI DELL’ALDILÀ.
NUMERI. «I numeri servono solo a giocare, non a vivere» mi disse una volta una cara amica, insegnante di matematica, evidentemente una persona geniale. Da allora, ho cominciato a pensarci, e mi sono accorto di molte cose. È vero: i numeri, come noi li intendiamo oggi, servono soltanto quando si sta fermi e ci si accontenta in qualche misura di essere dove si è; invece, la loro importanza e realtà diminuiscono tanto più, quanto più noi viviamo, ci muoviamo, cresciamo: e quanto più viviamo, ci muoviamo, cresciamo, tanto più l’unico numero che vale è l’uno.
Così, per un bambino ogni essere vivente è uno, e due o più esseri viventi non possono essere sommati tra loro, se non perdendo qualcosa di sé e richiedendo alla mente del bambino uno sforzo che egli avverte come innaturale. Per chi è molto innamorato, l’essere amato è uno solo. Per chi è felice ogni istante è uno, e le cifre dell’orologio o significano pochissimo o risultano fastidiose – e così via. Viceversa, chi sta soltanto parlando di bambini, di innamorati o di persone felici ricorre spesso all’aritmetica nei propri ragionamenti.
Ciò trova un riscontro anche nella neurologia: quando pensiamo in termini numerici, stiamo utilizzando il cosiddetto emisfero cerebrale sinistro, nel quale si trovano appunto le «sedi» di ogni nostro concetto di limite e di differenza tra le cose; nell’emisfero destro, invece, si trovano le «sedi» di tutto ciò che per noi non è numerabile: dei sentimenti, dell’ispirazione, del senso dei colori, dei contenuti delle forme ecc. Per l’emisfero sinistro, certamente, tutto è numero; per l’emisfero destro, invece, tutto è semplicemente tutto.
Ciò pone da sempre il problema del significato, e in particolar modo della veridicità dei numeri che vengono usati per descrivere l’Aldilà, dimensione in cui il cosiddetto emisfero destro prevale nettamente sul sinistro. E giustamente la teologia cristiana riconosce e avverte che, nell’Aldilà, i numeri possono avere soltanto una veridicità contraddittoria: nel suo dogma principale essa afferma infatti che Dio è uno e al contempo tre – togliendo in tal modo all’aritmetica il diritto di cittadinanza nel Regno dei Cieli. Ma se così è, che rimane degli altri numeri della sapienza? I giorni della Creazione sono veramente sette? ’Ysh e ’ishah (Adamo ed Eva) sono veramente due esseri? Gli ANGELI custodi sono proprio settantadue?
Oggi è impresa davvero ardua comprendere questi numerinon numeri, dato che nel periodo in cui viviamo il nostro emisfero sinistro riceve una quantità di stimolazioni inaudita: qualche secolo fa non c’erano, per esempio, le targhe delle auto, i numeri di telefono, i numeri civici, i codici bancari, i contachilometri, gli orologi da polso, i contatori dell’energia elettrica e del gas, la bilancia in bagno ecc. In epoche meno «sinistre» della nostra era incommensurabilmente più facile accorgersi di come i numeri adoperati nella Sapienza fossero soprattutto parole, e come tali non esaurissero in se stessi tutto il loro significato, ma richiedessero sempre spiegazioni, intuito e sensibilità per venire intesi correttamente.
Così oggi, per esempio, se di qualsiasi due chiedessimo «perché proprio due?» ci verrebbe risposto il più delle volte che è due perché è due, punto e basta («lo vedi che sono due, no?») o che è due perché è uno più uno o sei diviso tre. Di un due riferito all’Aldilà, una mente antica ci spiegherebbe invece che non indica tanto una quantità, o una posizione in una serie ordinata, quanto piuttosto una particolare qualità: la dualità, il non-poter-essere-più-un-uno. Di altri numeri, ci darebbe una spiegazione ancor più profonda, basata su strutture archetipiche della mente umana, dicendo per esempio che il sette rappresenta non sette cose bensì una ciclicità dinamica, evolutiva (una sorta di spirale ascendente o discendente), e che tutto ciò che è sette ha ed esprime appunto tale qualità; del dodici, direbbe che indica una ciclicità più ampia e stabile (un cerchio, un tutto in sé compiuto); del tre, che rappresenta una forza all’opera (e perciò Dio può essere benissimo uno in sé stesso e tre nel suo agire) e via dicendo. In ebraico, poi, ciascun numero era indicato da una lettera dell’alfabeto, e poiché le lettere avevano ben precisi significati geroglifici, tali significati si estendevano anche ai numeri: così, la Genesi informa che le dimensioni dell’arca di Noè erano, in cubiti, trecento per cinquanta per trenta (Genesi 6,15), cioè, in ebraico, SH per N per L (donde la celebre formula magica sh-n-l, pronunciabile come il nome della famosa casa francese): e, intese come geroglifici, quelle lettere significano «la conoscenza (SH) delle cose esistenti (N) porta al di sopra di esse (L)» e ciò corrisponde perfettamente al significato sapienziale dell’ARCA, che non era affatto un barcone lungo trecento cubiti (150 m. circa) bensì un nuovo lessico delle parole umane.
Questo modo antico di interpretare i numeri è indispensabile per orientarsi sia nei Testi Sacri e nei miti, sia in tutto ciò che riguarda l’Aldilà. Il fatto, per esempio, che gli Spiriti guida si presentino sempre, dapprima, in numero di due (e che come due siano visti in tanti testi illustri: dai Vangeli, negli Spiriti di Mosè e Elia che Gesù aveva con sé; a Dante, con Virgilio e Beatrice; a Pinocchio, con il Gatto e la Volpe ecc.) non va inteso nel senso che siano due davvero: in essi noi cogliamo soltanto la dualità necessaria alla percezione, e all’ENERGIA (una differenza tra due livelli di potenziale) che rende possibile la percezione stessa. E certamente ciò può estendersi anche all’Aldiquà, se lo considera dal punto di vista dell’Aldilà: due, per esempio, sono i nostri genitori, nello stesso modo e per le stesse ragioni degli Spiriti guida; due sono gli arti e così pure tutti gli organi che, nel nostro corpo, servono a mediare tra l’interno e l’esterno (occhi, labbra, polmoni, reni, emisferi cerebrali…). Interpretati in questa antica chiave, tutti i numeri rivelano significati che, nella nostra aritmetica, certamente non hanno.