BAMBINO. Con questo termine maiuscolo e a me particolarmente caro intendo sia i bambini propriamente detti (benché sia divenuto molto difficile incontrare bambini che non abbiano già cominciato ad assomigliare agli ADULTI), sia ciò che l’io adulto non ricorda di essere stato all’inizio della sua vita, e sia, soprattutto, l’indispensabile obiettivo della crescita spirituale – prendendo alla lettera il passo dei Vangeli: «se non diventerete come un bambino, non entrerete nel Regno di cieli» (v. la Mappa a p. 11).
Nelle ultime due accezioni, il termine Bambino corrisponde a ciò che gli antichi egizi e altre culture mediterranee intendevano con «iniziato». Le sue caratteristiche fondamentali sono, proprio come nei bambini propriamente detti:
– l’essere sempre se stessi, senza identificarsi in nessun ruolo, se non per gioco;
– il superare continuamente se stessi, attraverso il naturale impulso del desiderio (cioè del rendersi conto dell’insufficienza di quel che già si ha o che già si conosce);
– l’inesausta curiosità, il domandarsi spesso «perché?», sia riguardo a ciò che si scorge intorno sia riguardo a ciò che troviamo in noi;
– il valutare spesso possibilità di vita e di ragionamento diverse da quelle a cui si è abituati;
– la sensazione di avere un immenso futuro, da vivere intensamente;
– l’intensità dei sentimenti d’affetto, di amicizia, amore, come anche dei sentimenti di sdegno e dolore dinanzi alle ingiustizie e alle insincerità;
– un vivido senso della FELICITÀ, che costituisce la guida più sicura in qualsiasi decisione.
Per tutte queste sue qualità, il Bambino non può che rappresentare un grave elemento di inquietudine e anche di pericolo per il MONDO degli adulti. Non per nulla molte grandi religioni – cioè molti grandi sconvolgimenti nel modo di intendere se stessi e la realtà – hanno alla loro origine il mito di un bambino che gli adulti non sono riusciti ad annientare. Horo, in Egitto, viene salvato a opera della madre dall’ira dello zio Seth. La prima fase della religione ebraica viene fatta risalire ad Abramo, che abbandonò la casa del padre e in seguito si oppose all’uso di sacrificare bambini. Mosé sopravvisse a una strage di bambini. Zeus è il bambino che non si lascia divorare dal padre Crono. Gesù, proprio come Mosé, scampò alla «strage degli innocenti», ecc.
E ciò che è vero per l’origine delle grandi religioni, lo è altrettanto per il singolo individuo: è sufficiente scoprirsi incinti del Bambino e partorirlo nella propria vita, perché tutto il nostro mondo e tutte le nostre prospettive cambino radicalmente – e perché tutto ciò che in ciascuno di noi è Crono o Erode sia finalmente sconfitto e detronizzato. Ho trattato ampiamente questo tema ne Il mondo invisibile e in Quando hai perso le ali; ma in realtà torno a parlarne in quasi tutti i miei scritti, poiché lo ritengo il tema fondamentale della SAPIENZA.
BLACK-OUT. È un termine tecnico che attiene alle PERCEZIONI DELL’ALDILÀ. Indica una particolare sensazione di inettitudine, che ogni tanto càpita d’avere durante le conversazioni con i MAESTRI: d’un tratto non si avverte più nulla che provenga da loro, scompaiono le immagini che un attimo prima sembravano tanto vivide nella mente (i loro volti, la STANZA TONDA, oppure i paesaggi d’un qualche viaggio nell’Aldilà) e ci si ritrova soli con i propri pensieri, scoraggiati e perplessi, con davanti a sé soltanto il buio delle palpebre chiuse.
Di rado questa sensazione è dovuta esclusivamente a cause fisiche, quali stanchezza, sonno, digestione complicata o altro: se infatti si è veramente stanchi o comunque affaticati, non si è neppure in grado di percorrere il tragitto che conduce alla Stanza Tonda. I black-out derivano, piuttosto, dal timore delle risposte che i Maestri potrebbero dare a qualche domanda che abbiamo deciso di porre, o a interrogativi che non oseremmo affrontare ma che sentiamo urgere in noi – e che quindi i Maestri chiameranno sicuramente in causa, nel corso della conversazione. Si tratta cioè di una forma di censura, che noi esercitiamo più o meno inconsapevolmente sulle loro risposte.
Le ragioni possono essere svariate: certezze che non vogliamo sondare e mettere in discussione, legami personali che temiamo si rivelino esauriti o comunque inadatti a noi, traumi che non vogliamo affrontare, desideri e bisogni che non vogliamo confessare a noi stessi (o perché ci sembrano disdicevoli o, viceversa, perché sembrano troppo grandi e non ci riteniamo degni nemmeno di parlarne).
Nessun black-out, tuttavia, è mai un ostacolo tanto insormontabile da impedire per sempre la trattazione dell’argomento che l’ha prodotto. Occorre soltanto accorgersi che lì agisce appunto una nostra censura, un nostro LIMITE, e domandare ai Maestri quale limite sia, a quale periodo della nostra vita risalga, quali CHAKRA stia danneggiando e, soprattutto, quali nostre energie ci stia impedendo di riconoscere e di utilizzare. Se ciò non è possibile, perché il black-out si accompagna a eccessive sensazioni di ANSIA e gli sforzi di chiarirne le cause non hanno esito, è bene interrompere la conversazione e riprenderla con calma, dopo aver riflettuto per proprio conto.