INTRODUZIONE

Vi sono luoghi e poteri, nelle fiabe, ai quali si può accedere soltanto se si conoscono certe parole speciali: «apriti Sesamo», «specchio specchio delle mie brame» ecc. Anche in psicologia avviene qualcosa del genere; e anche in filosofia; e in teologia: Dio, Angeli, anima, io, senso di colpa, sono cioè altrettante grotte di Alì Babà o specchi magici che ti permettono di scoprire quel che contengono soltanto se ne conosci la formula, cioè la definizione.

Anche in altre scienze la terminologia è importantissima, certamente: non puoi capire la descrizione d’un motore se non sai cos’è una valvola o una biella. Ma in meccanica, in fisica, chimica, biologia, lo scienziato ha perlomeno la possibilità di metterti sotto gli occhi la maggior parte dei suoi materiali empirici, dicendo «Ecco qua cosa intendevo!» e può misurarli, pesarli, calcolarli in vari modi. In psicologia, in filosofia, in teologia no: in tutte e tre, quel che le parole indicano è invisibile, perché è dentro di te – o comunque in qualche territorio a cui puoi accedere soltanto da dentro di te.

Ciò impone, a coloro che ne parlano onestamente, una specialissima, avventurosa precisione. Dire «Dio», «io», «Aldilà» non è come dire «ossigeno», «molecola» o «clorofilla», e non soltanto perché nel corso del tempo e nei vari popoli «Dio», «io», «Aldilà» hanno assunto significati diversi, ma anche perché – trattandosi appunto di cose che ci riguardano tanto intimamente, e che si caricano per ciò di svariate aspettative e coloriture emotive o sentimentali – è raro trovare due persone che diano a parole del genere lo stesso significato.

Questa indispensabile precisione, d’altra parte, viene spesso avvertita dai più come ostica, difficile, e suscita un disappunto anch’esso molto particolare. A un biologo, a un fisico, a un informatico nessuno rinfaccia mai di non parlare come la gente normale; ma da uno psicologo, da un filosofo, da un teologo ci si aspetta di ricevere conoscenze che ci riguardano personalmente, informazioni essenziali sulla nostra felicità, la nostra armonia, le scelte che dobbiamo compiere, e si prova un’autentica sofferenza nel sentirsene esclusi a causa della terminologia. Questo disappunto è talmente forte, che talvolta gli psicologi, i teologi, i filosofi se ne sentono spinti a parlare in modo più semplice; e, con loro sconforto, notano immancabilmente che nel «parlare semplice» i loro contenuti si dissolvono, spariscono: quanto più cercano di farsi capire, tanto meno riescono a dire.

Il fatto è che dei principali argomenti della psicologia, della filosofia, della teologia non si può parlare con proprietà, senza lasciarsi indietro ciò che nel mondo quotidiano appare a tutti ragionevole e ovvio. Parlandone, si cambia interiormente, si cresce. E qui sta il cuore del problema.

Chi dice: «Parla più semplicemente di queste cose interessanti!» sta in realtà chiedendo: «Non potresti parlarne in modo che quel che dici non mi cambi il modo di pensare, e di conseguenza anche il modo di vivere?».

No. Non si può, a meno di non voler ingannare.

Se avessi detto: «Parlerò come loro»

avrei tradito la generazione dei tuoi figli.

Salmo 72,15

L’unica cosa che uno studioso di psicologia, di filosofia, di teologia può fare per la chiarezza, è semmai determinare, spiegare le parole che usa. E ciò può avvenire in due modi: se lo studioso condivide l’orientamento che la sua disciplina ha assunto oggi, rimanderà a qualche dizionario specialistico di quest’ultima; se no, dovrà ricorrere a descrizioni minuziose, a continui «ovverosia», oppure compilare un proprio dizionario.

E questo è il mio caso.

Solo che gli argomenti di cui mi occupo, e il modo in cui me ne occupo, coinvolgono in egual misura la psicologia, la filosofia e la teologia, e, al tempo stesso, non coincidono con nessuna delle tre. Per me l’Aldilà è sia ciò che vi è oltre il mondo a noi noto, sia ciò che vi è oltre quel che sappiamo del nostro io. Gli Angeli sono sia esseri celesti, sia energie psichiche. La psiche è sia quel che la scienza attuale chiama con questo nome, sia ciò che nei Testi sacri è chiamato «anima». Eccetera. Il che non può oggi ottenere il consenso né di uno psicologo, né di un teologo, né di un filosofo.

Ne consegue che questo mio libro è solo in apparenza il dizionario d’una disciplina scientifica: in realtà, è la narrazione d’una scienza che ancora non esiste in quanto tale, ad uso di una comunità scientifica che, neppure essa, esiste ancora. Risponde a domande su una dimensione che sto ancora soltanto esplorando e scoprendo, ma che qui viene presentata come se già fosse assodata, riconosciuta, e come se già la gente avesse cominciato a considerare se stessa e il mondo dal punto di vista di essa – così come si guarderebbe il Sistema Solare da Sirio.

È dunque un manuale che, paradossalmente, non serve. Servirà soltanto in futuro, se qualcosa di ciò che sto scoprendo reggerà alla prova del tempo. Intanto, ringrazio di cuore i lettori che in queste mie esplorazioni mi hanno finora fatto compagnia e vorranno farmene ancora, sfogliando queste pagine; e soprattutto ringrazio l’amico Jonathan Falcone, al quale devo buona parte dell’impulso a un lavoro tanto inconsueto, intempestivo e fantastico.

Giugno 2009