Italiano
index_italian_m Il maestro delle ombre


Donato Carrisi
Il maestro delle ombre
L’ALBA
Il sole era sorto, ma mancavano ancora venticinque minuti
alla fine del blackout programmato.
Vitali se ne stava in mezzo alla sala operativa del formicaio,
ancora una volta con un bicchiere di carta in mano. Beveva acqua
fresca.
Erano accadute molte cose nelle ultime quattro ore.
L’esercito era entrato in città e aveva preso possesso del
centro storico. Il genio militare stava provvedendo a salvare vite
umane dalla piena di fango riversata dal Tevere. Una compagine
di poliziotti aveva compiuto una retata al luna park dell’EUR,
fermando una cinquantina di persone. Per le strade era iniziata
una caccia all’uomo da parte dei tutori della legge. C’erano state
centinaia di fermi e arresti, ma la bonifica – come l’aveva definita
il questore Alberti – non era ancora terminata.
Si faceva fatica a contare i morti. Il bilancio era grave. Poteva
andare peggio, si disse l’ispettore. Molti civili, membri delle
forze dell’ordine. Tanti innocenti, troppi bambini.
Due le cause.
Il blackout e la violenza del maltempo avevano creato una
condizione unica e quasi irripetibile. Se fosse accaduta una delle
due cose soltanto, probabilmente l’emergenza non avrebbe
prodotto danni e perdite così ingenti.
E c’era un altro aspetto da considerare. L’isteria collettiva che
aveva colto tutti, cattivi e anche buoni. La gente, privata
all’improvviso di un bene essenziale come l’energia elettrica, si
era sentita dispersa, abbandonata all’oscurità. La reazione di
molti era stata scomposta, irrazionale.
Il buio cambia la percezione della realtà, si disse Vitali. Come
quando si è bambini. Di giorno, la tua cameretta è il luogo dei
giochi, della spensieratezza. Di notte, è il regno delle ombre da
cui fuggire nascondendosi sotto le coperte.
Come aveva previsto, stava venendo fuori che la maggior
parte delle vittime non aveva trovato la morte per le strade bensì
all’interno delle abitazioni. Antichi dissapori fra conoscenti,
rancori sopiti per anni nelle famiglie e altre forme d’odio
domestico con l’oscurità avevano preso il sopravvento e si erano
trasformati in motivi di sanguinosa vendetta. E nonostante
l’interruzione di corrente fosse stata annunciata per tempo, c’era
pure qualcuno che era crepato d’infarto in ascensore. Vitali
scosse il capo al pensiero, a lui non piacevano le persone. Fra
qualche minuto riavrete Internet, maledetti idioti. Così potrete
tornare a lamentarvi di ogni cosa – ma soprattutto della vostra
esistenza di inutili sfigati – su qualche cazzo di social network.
Anche lui era arrabbiato, ma solo perché quella notte aveva perso
i suoi magnifici mocassini marroni.
Ancora pochi minuti e tutto sarebbe tornato alla normalità.
Almeno fino al prossimo blackout o alla prossima pioggia
torrenziale. Vitali sapeva che la gente avrebbe dimenticato in
fretta, nessuno avrebbe imparato nulla da quella notte. Tranne,
forse, i morti. Quanto a se stesso, si cacciò una mano in tasca e
tirò fuori il foglio su cui un esperto di identikit, seguendo la sua
descrizione, aveva tracciato la fisionomia di un volto.
«Marcus» disse Vitali senza che nessuno dei presenti se ne
accorgesse. Poi bevve l’ultimo sorso d’acqua fresca e appallottolò
il bicchiere. Infine, per non contribuire ulteriormente al caos
dell’universo, lo gettò nell’apposito scomparto per il riciclaggio
della carta.

Le aveva detto di andare in via dei Serpenti e di aspettarlo lì.
La trovò seduta per terra sul pianerottolo, con le spalle alla porta.
«Casa mia a Trastevere è stata distrutta dalla piena» disse
Sandra. «Non ho più un posto dove andare.»
Lui la prese per mano e l’aiutò a rialzarsi. Poi entrarono nel
piccolo rifugio.
La valigia aperta, abbandonata sul pavimento. La sedia. Il
giaciglio gettato in un angolo, con le coperte in disordine. Non le
diede il tempo di parlare. La tirò a sé e la baciò. Era la seconda
volta. «Ho fallito» disse Marcus.
«Non fa niente» rispose Sandra. Poi iniziò a spogliarlo.
Lui fece lo stesso. L’aveva già vista nuda, tutte le volte che
l’aveva seguita nell’hotel dove, distesa su un letto, al buio, si
faceva prendere da uomini e donne sconosciuti. Ma provò uno
strano brivido nell’accarezzare la sua pelle. Si distesero sul
materasso, senza mai smettere di cercarsi con le labbra. Il suono
dei respiri affannati nella foga di prendersi, il resto era silenzio.
Marcus le appoggiò una mano sulla gamba e si aprì lentamente la
via. Quando la penetrò lei non era ancora pronta, e gemette. Ma
poi iniziò subito ad assecondare ogni suo movimento. Le strinse i
seni piccoli e li baciò all’infinito, perché saziassero il suo
desiderio. Lei si staccò e, inaspettatamente, iniziò a scendere
lungo il suo torace – una interminabile scia di baci. Poi appoggiò
la bocca sulla sua carne per dimostrargli quanto gli apparteneva.
Lui si abbandonò e chiuse gli occhi, perso nell’oblio dei propri
sensi. Quando Sandra si accorse che la sua resistenza stava per
finire, si mise sopra di lui e spinse – spinse forte. E accolse il suo
seme nel proprio ventre. Si abbandonò, cercando riparo nella
piega del suo collo. Ansimavano ed erano felici. Non si
guardavano negli occhi, ma sapevano di esserci l’uno per l’altra.
Si addormentarono.
Sandra si svegliò per prima. Non sapeva quanto tempo fosse
passato, ma vide che era di nuovo buio. Si alzò facendo piano per
non disturbarlo. Guardò fuori dalla finestra. La soffitta dava sui
tetti di Roma, la città era di nuovo illuminata.
Chissà perché, il pensiero corse a David. Se la sua morte
prematura non avesse fatto di lei una giovane vedova, adesso non
si sarebbe trovata lì. E non avrebbe nemmeno sperimentato quella
nuova serenità nel cuore. Era vero: la vita aveva bisogno di
distruzione per andare avanti. Chissà come sarebbero andate le
cose se suo marito fosse stato ancora vivo in quel mondo. Magari
avrebbero scoperto un’incompatibilità di cui non avevano mai
sospettato l’esistenza, oppure divergenze insanabili li avrebbero
portati al divorzio. O peggio, sarebbero stati ancora insieme pur
sapendo che l’amore era finito da un pezzo.
L’esistenza è una catena di eventi, si disse Sandra, e se non si
impara ad accettare quelli dolorosi, non si ottiene alcuna felicità
come ricompensa. La prova era che David era morto e lei non
soffriva più per la sua scomparsa.
Ecco perché adesso le luci di Roma sembravano essere accese
solo per lei.
Davanti alla finestra, Sandra si accorse di avere freddo. Si
allontanò per raccogliere dal pavimento la felpa della tuta. La
arrotolò sulle braccia per infilarsela. In quel momento Marcus si
voltò nel giaciglio mostrandole la schiena.
La poliziotta si bloccò.
Il penitenziere aprì gli occhi e la vide. «Ciao.» Le sorrise.
Ma lei non ricambiò, né gli rispose.
Marcus si accorse che qualcosa non andava. «Che succede?»
Sandra allungò la mano per indicare. Tremava.
Marcus non capiva, ma si affrettò a guardare cosa c’era sulla
sua spalla destra che la spaventava tanto. E vide un tatuaggio. Il
cerchio azzurro. Fu in quel momento che comprese tutto, anche
senza ricordare. La verità lo raggelò.
Matilde Frai non c’entrava niente con gli omicidi e le torture.
Era stato lui.
Il Vescovo, Gorda. Il Giocattolaio. La mano col guanto che
imboccava, prima con l’ostia nera e poi con la soda caustica, lo
spacciatore nel video del telefonino. La trappola di cenere nella
casa staffetta preparata apposta per Crespi. L’Alchimista appeso
al soffitto con indosso le sue scarpe.
Ogni indizio conduceva a me – soltanto a me.
Erriaga aveva detto di avergli affidato, qualche settimana
prima, un caso di scomparsa di minore risalente a nove anni
prima. Non gli aveva fornito spiegazioni, solo un nome: Tobia
Frai. Forse il cardinale era stanco dei ricatti di Van Buren. Il
penitenziere alla fine era riuscito a trovarlo e a nasconderlo in un
posto sicuro. Ma, per ottenere il risultato, aveva dovuto uccidere
delle persone. Alla sua lista mancava solo un nome, quello del
Maestro delle ombre.
Ho messo io la foto di Sandra nella memoria del cellulare
prima di abbandonarlo nel taxi. Volevo che lei fosse coinvolta,
che scoprisse ciò che avevo fatto.
Dopo aver portato via Tobia dalla casa dell’Alchimista, aveva
annotato ogni cosa nel taccuino per lasciarlo in un confessionale,
sapendo che sarebbe stato portato all’attenzione di Erriaga. Poi
era andato dal Giocattolaio: da lì aveva effettuato la chiamata a
Matilde Frai, facendole ascoltare la voce della bambola con le
sembianze di suo figlio. Doveva innescare la sua reazione perché
conducesse Sandra fino al Maestro. Il suo compito a quel punto
era terminato: poteva recarsi nel luogo in cui aveva deciso di
morire. La prigione del Tullianum.
Prima ho ripiegato i vestiti e vi ho appoggiato sopra le
scarpe di tela bianche perché volevo che si capisse che mi ero
calato volontariamente là sotto, nudo e ammanettato. Ho messo
la chiave delle manette in un posto in cui credevo non l’avrei
mai recuperata: nel mio stomaco. Ho fatto tutto questo per
punirmi per la morte feroce che avevo inflitto, per il dolore provocato.
Trova Tobia Frai.
Non era per me quel messaggio, era per Sandra. Quando
rinverranno il mio corpo, ti chiederai perché l’ho fatto. Ma
quando troverai il bambino, capirai. È lui la risposta, il motivo
per cui sono morto qui.
Anche gli altri foglietti strappati dal taccuino erano per lei –
il suo nome nella vasca da bagno del Giocattolaio, i numeri
nell’archivio dei crimini irrisolti. Perché potesse seguire la pista
del sangue che lui aveva versato.
Sandra lo guardava senza riuscire a trattenere le lacrime.
«Perché?»
Marcus abbassò gli occhi. «Perché l’unico modo per salvare
quel bambino era diventare uno di loro.» Adesso se ne rendeva
conto. Ma ormai Tobia Frai probabilmente era già morto nel
posto in cui l’aveva nascosto per proteggerlo, e lui aveva venduto
inutilmente la propria anima al Signore delle ombre. «Il
Captagon» disse. Prima di scendere nel pozzo della prigione,
aveva assaggiato l’ostia nera. Ecco perché non ricordava nulla. La
sostanza allucinogena aveva risvegliato l’antica amnesia, anche se
stavolta gli aveva lasciato almeno il ricordo di chi fosse.
Erriaga aveva ragione. Il peccato che aveva confessato al
taccuino prima di andare a morire nel Tullianum era troppo
grande e troppo grave. Sarebbe stato meglio non comprendere la
verità, non sapere. Dimenticare.
Anomalie, si disse Marcus.
«Cosa dobbiamo fare adesso?» domandò Sandra, aspettando
che lui dicesse qualcosa per mandare via quell’incubo. «Che ne
sarà di noi?»
«C’è un luogo in cui il mondo della luce incontra quello delle
tenebre» rispose Marcus, ripetendo ciò che gli avevano insegnato.
«È lì che avviene ogni cosa: nella terra delle ombre, dove tutto è
rarefatto, confuso, incerto. Io sono il guardiano posto a difesa di
quel confine. Perché ogni tanto qualcosa riesce a passare… Io
sono un cacciatore del buio. E il mio compito è ricacciarlo indietro.»

Italiano index_italian_m Il maestro delle ombre p277