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Donato Carrisi
Il maestro delle ombre
IL TRAMONTO
21

3 ore e 29 minuti all’alba
La consegna del prigioniero sarebbe avvenuta in Santa Maria
sopra Minerva.
La scelta del luogo era toccata a Sandra, che non aveva esitato
a indicare la basilica. La chiesa era imponente, con possenti
pilastri e un’abside profonda. Nelle navate laterali, una sfilata di
cappelle barocche riccamente decorate con marmi e affreschi.
Tranne una. L’ultima sulla destra.
Sandra Vega conosceva bene il motivo per cui proprio quella
dedicata a san Raimondo di Peñafort, il primo penitenziere della
storia, «sembrava» la più povera. Era un segreto che Marcus
aveva condiviso con lei anni addietro. Quasi un patto d’amore. Se
Vitali sapesse, si disse la poliziotta.
Li vide arrivare insieme. Uno armato, l’altro ammanettato.
Marcus le fece capire subito con lo sguardo che stava bene. Vitali
si posizionò dietro di lui.
«Ci rivediamo, ispettore» lo salutò Sandra, sarcastica.
«Anch’io immaginavo che sarei crepato nella galleria, come
voi d’altronde.»
«Allora diciamo che siamo sempre una sorpresa gli uni per l’altro.»
Vitali infilò qualcosa nel taschino della giacca di Marcus, poi
gli diede una spinta per mandarlo verso di lei. «Avevo pensato di
consegnartelo senza liberargli i polsi» disse e le lanciò le chiavi
delle manette. «Sarebbe stato un bello scherzo.»
«Il questore Alberti ha istituito una task-force e adesso sta
andando al luna park dell’EUR per fermare questa follia» affermò
Sandra. «Mi spiace che poi sarà lui a prendersi tutto il merito.»
«Io lavoro per l’ufficio statistiche su crimine e criminalità»
replicò Vitali, strafottente. «Non te lo dimenticare, agente Vega.»
Prima di andare, si rivolse al penitenziere: «Arrivederci, amico
mio. Sono sicuro che ci ritroveremo».
«Lo sapevi che in questa basilica è sepolto papa Leone X?»
gli chiese Marcus.
Ma Vitali non se ne curò e proseguì verso l’uscita.
Poco dopo, Sandra tolse le manette a Marcus e prese il
foglietto che l’ispettore gli aveva infilato nel taschino della
giacca. «Sono gli elementi dell’indagine.» Aveva riconosciuto gli
appunti presi nella casa staffetta. «Deve aver trovato la mia borsa
dopo che l’ho persa nella galleria.» Poi guardò Marcus. «Avevi
ragione: non bisogna mai lasciare prove scritte.»
«Perché mi ha liberato?»
E Sandra gli raccontò la storia del Captagon e di cosa fosse
in realtà l’ostia nera.
La boccetta rosa nel laboratorio di Nikolay, rammentò il
penitenziere. L’Alchimista l’aveva sintetizzato per alleviare le
pene della moglie. «Dobbiamo andare subito da Matilde Frai»
disse. «È l’unica traccia che ci rimane.»
«È morta, si è suicidata davanti a me.»
Marcus accolse la notizia con stupore e sconforto. «Ha detto
qualcosa prima di togliersi la vita?»
«Ho provato a farle rivelare il nome del padre di Tobia, ma
non c’è stato verso. Lei sapeva chi è, non si è trattato di uno
stupro: era consenziente.»
Un altro tassello a favore della tesi del ricatto, pensò lui.
«Un’altra cosa» disse Sandra. «Aveva con sé una valigia. Ma
dentro c’erano abiti da uomo, anche un rasoio.»
Il penitenziere rifletté, ma non aveva una risposta. «Dobbiamo
andare a casa di Matilde, cercare lì un indizio, qualcosa.»
Era un tentativo disperato, anche Sandra lo sapeva. Ma non
avevano alternative.
Quando entrarono nel modesto appartamento di Matilde Frai
all’Esquilino, furono accolti dal solito penetrante odore di
nicotina. Il fantasma di vecchie sigarette li seguì fino in cucina.
Poche ore prima, seduti proprio a quel tavolo, avevano ascoltato
le parole accorate di una madre costretta a convivere con un
terribile dilemma: la misteriosa sorte dell’unico figlio. Sandra
ripensò a una delle frasi della donna. «La gente immagina che
certi drammi avvengano sempre in modo plateale. Invece è così
che capitano le cose più brutte, in modo semplice.»
Intanto Marcus si guardava intorno. I posacenere impilati
nell’acquaio insieme a un unico piatto e a un bicchiere. La
tazzina del caffè. La spugnetta appoggiata sul bordo di ceramica
con gli aloni gialli lasciati dalle sigarette. La radio sulla mensola.
L’orologio sul muro. Piccoli dettagli di una piccola vita, identica
a molte altre. Ma quegli oggetti erano complici. Nascondevano
l’atroce segreto di Matilde. Avevano ascoltato le sue parole,
pronunciate al silenzio. Erano stati testimoni dei suoi pensieri.
Il penitenziere riepilogò fra sé le vittime della donna
assassina. Gorda, il vescovo strozzato a distanza con la gogna del
piacere. Il Giocattolaio, mangiato vivo dalle mosche. Il rapitore di
Tobia che appariva nel video nel telefono, costretto a bere soda
caustica. Il commissario Crespi, soffocato dalla cenere.
L’Alchimista, appeso a testa in giù.
E poi io, si disse.
Sarei dovuto morire nel Tullianum, ma non è successo. Non
sapeva come definirsi. Era stato fortunato? No, la fortuna non
c’entrava niente. Se il fato avesse giocato un ruolo positivo in
quella storia, allora gli avrebbe permesso di conservare la
memoria di quanto era accaduto.
Se non ci fosse stata la mia amnesia, Roma sarebbe salva.
«Direi di cominciare di là» propose Sandra.
Lui la seguì.
In camera da letto c’erano due letti singoli. In uno dormiva
Matilde, l’altro era rimasto uguale dalla scomparsa di Tobia.
Sulla testata c’era un poster con la squadra della Roma. Dopo
nove anni, alcuni di quei giocatori avevano terminato la carriera,
altri avevano cambiato maglia e qualcuno era semplicemente
invecchiato. Non c’è niente che renda più evidente il passaggio
del tempo per un maschio che un poster di calciatori, pensò
Sandra Vega. Rammentava ancora quando suo marito David
l’aveva portata a visitare la sua casa d’infanzia, in Israele. Nella
sua cameretta c’era un ritratto della formazione del Manchester
United. Guardando uno per uno quegli atleti, David si era accorto
che nella foto ormai erano tutti più giovani di lui.
«Passami l’elenco, per favore.» Marcus tendeva la mano verso
di lei. Voleva dare un’occhiata alla lista degli elementi d’indagine.
«Hai qualche idea?» chiese Sandra.
«No» ammise.
Si sedettero entrambi sul letto di Tobia e guardarono insieme
la lista. Il penitenziere iniziò a depennare gli indizi che non erano
più utili.
Metodo di uccisione: antiche pratiche di tortura.
Scarpe di tela bianche (Marcus e vescovo Gorda).
Ostia nera (drogato).
Tatuaggio del cerchio azzurro: Chiesa dell’eclissi.
Sacrifici di vittime innocenti.
Blackout – Leone X.

Taccuino misterioso.
Tobia Frai.

Elemento accidentale: amnesia transitoria Marcus.

«Avremmo dovuto aggiungere Matilde Frai all’elenco» disse
Sandra, sconsolata. «Ci siamo fatti sviare da lei perché era una ex
suora. E si sa, nessuno immaginerebbe mai che una serva di Dio
sia capace di uccidere in modo tanto feroce.»
Intanto Marcus si concentrava sulla lista. Cercava di capire se
esistesse un legame fra il taccuino, Tobia e l’amnesia che l’aveva
colto. «Ho tenuto un taccuino» si disse. «È strano, perché so
bene che non avrei dovuto. Come sai anche tu, i penitenzieri non
prendono appunti per non lasciare tracce. Perché, allora, ho
deciso di rischiare? E, soprattutto, dove è finito?»
«L’avrai nascosto in un posto sicuro.»
«Sì, ma perché?» Era frustrante. «È come se avessi previsto
l’amnesia e volessi mandarmi dei messaggi. Anche le pagine
strappate che abbiamo trovato erano un’indicazione su come
proseguire l’indagine.»
«Non si può prevedere un’amnesia» rispose Sandra per tranquillizzarlo.
«Hai ragione, non si può.» Marcus fece un lungo respiro.
Sollevò lo sguardo verso la parete di fronte, c’era il diploma di
laurea in lettere antiche e filologia con impresso il nome di
Matilde. Nonostante il titolo di studio, l’unico lavoro che aveva
trovato era fare le pulizie. Perché, però, la cosa infastidiva tanto il
penitenziere? «Dobbiamo perquisire la casa» disse. «Diamoci da fare.»
Iniziarono ad aprire i cassetti e a svuotarli sui letti. Poi
frugarono tra il contenuto, in cerca di qualcosa che potesse
aiutarli a capire. Marcus decise di guardare anche dentro i
materassi. Li sventrò, tirò fuori la lana e rovistò all’interno, non
c’era nulla. Poi fu la volta dell’armadio a muro. Era diviso a
metà. Da una parte c’erano ancora i vestiti di Tobia, dall’altra
quelli della madre. Matilde non possedeva molti abiti. Quattro
vestitini estivi, un paio di gonne invernali, pantaloni e qualche
maglioncino. Però a colpire Sandra fu una custodia marrone,
conservata con cura in un angolo. La prese e la osservò. Poi
abbassò la cerniera per vedere cosa contenesse.
All’interno, un abito da suora.
Stava per riporlo, ma si accorse dell’espressione di Marcus.
Era turbato.
«Non può essere» disse il penitenziere togliendoglielo dalle
mani. Sandra non capiva che tipo d’interesse avesse suscitato.
Marcus teneva fra le braccia l’abito e fissava il copricapo con
il drappo nero per celare il volto. Matilde Frai non era stata una
semplice suora. Era una vedova di Cristo.

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