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Il maestro delle ombre
| Donato Carrisi Il maestro delle ombre |
| IL TRAMONTO |
| 11 Erano nuovamente per strada. Camminavano a fatica tra fango e macerie, con quel passo avrebbero impiegato un’eternità ad arrivare a Termini. Marcus si guardò intorno. Poi si diresse verso un cumulo di rottami da cui spuntava un manubrio. Puntò un piede e cominciò a tirare. Sandra accorse per dargli una mano. Poco dopo estrassero una Honda da enduro. A parte qualche ammaccatura, era integra. Il penitenziere maneggiò con dei cavetti e provò ad accenderla, invano. «Carburatore bagnato» sentenziò. Ma non demorse. Al decimo tentativo, partì. Salirono in sella e, mentre procedevano sul terreno dissestato, Sandra si teneva stretta a lui. Non erano mai stati così vicini. La pioggia li sferzava, aveva freddo, ma poteva sentire il cuore di Marcus che batteva. «Ho trovato il Vescovo, Gorda, e il Giocattolaio» le disse. «Adesso ci manca l’Alchimista, e poi il Maestro delle ombre.» «Tu credi che esista veramente?» Se lo stava chiedendo anche lui. «Di solito le sette sono organizzazioni segretamente oligarchiche, fanno credere ai seguaci di obbedire alle decisioni di un capo carismatico: una figura ascetica, distante e irraggiungibile, fa più presa sulla psiche debole degli adepti.» «Crespi ci aiuterà» affermò Sandra. «Gli credo quando dice che vuole uscirne. L’hai visto anche tu: è terrorizzato.» «Pensi che conosca l’identità dell’Alchimista?» «Non lo so» disse Sandra. «Hai sentito quando gli abbiamo domandato come avvenivano gli incontri degli adepti, no? Tu credi alla storia delle tuniche nere e delle maschere?» «Cosa non ti torna?» La poliziotta ci stava riflettendo da un po’. «Non lo so, ma è difficile crederci e vorrei tanto che tutta questa storia fosse solo un grande inganno.» Marcus, però, era angustiato anche da un altro enigma. Perché il commissario si era turbato tanto dopo aver visto le sue scarpe di tela bianche? Giunsero nella zona dello scalo ferroviario. Tutto era immobile. Quando il penitenziere spense la moto, furono subito circondati da un silenzio di spettri. Dopo ottantasei ore, la pioggia era cessata. Ma già rimpiangevano quel suono familiare. L’hotel Europa si trovava in via del Castro Pretorio. Era un alberghetto che di solito ospitava pellegrini. L’entrata era una porta girevole a vetri azionata da un sensore di movimento. Ovviamente non funzionava, ed era stata anche bloccata con un lucchetto. Oltre la barriera, il bancone della reception era vuoto. «Secondo me non c’è nessuno» affermò Sandra, scrutando la hall appoggiata con le mani al vetro. Marcus estrasse la pistola automatica e sparò al fermo della porta. S’introdussero nell’albergo. Credevano di essere accolti dal silenzio, invece c’era un suono gracchiante, leggero come un sottofondo. «Lo senti anche tu?» disse il penitenziere. Sandra lo riconobbe, apparteneva alla sua infanzia e non lo sentiva più da anni. Proveniva da dietro il bancone. Si sporse e vide che c’era una radiolina a transistor. Il volume dell’altoparlante era basso, si distingueva a malapena una voce maschile. «Forse ci siamo sbagliati» disse mentre si guardava intorno. «Forse qui c’è qualcuno.» «Vieni fuori» intimò Marcus al buio. «Non vogliamo farti del male.» Trascorse qualche secondo, poi da dietro una tenda della hall spuntò un omino impaurito che stringeva una mazza da baseball. «Che volete?» domandò tremante. Sandra gli mostrò il distintivo di Crespi e quello sembrò calmarsi. «Sono il portiere di notte» rispose e abbassò la mazza. «L’albergo è praticamente vuoto» la informò. «A parte me, c’è solo una comitiva di boliviani venuti per incontrare il papa nell’udienza generale del mercoledì.» Gli era andata male, pensò Sandra. Avevano attraversato mezzo mondo per ritrovarsi in quel casino. «Ieri sera è venuto qualcuno a prendere una stanza: la centodiciassette. È esatto?» chiese Marcus. Il portiere ci pensò. «Mi sembra di averla data via verso le ventitré.» «Ricorda pure se l’ha presa un uomo che si chiamava Crespi?» Volevano essere sicuri di non essere caduti in un tranello. «Dovrei controllare nel registro delle presenze» disse l’altro, mettendosi sulla difensiva. «Lasci stare» lo interruppe Sandra. «Potrebbe descriverci la persona?» Il portiere li osservò in tralice. «Veramente c’è la legge sulla privacy.» Ci pensò. «Va bene, tanto, peggio di così… Era tarchiato, sulla sessantina e puzzava di sigarette.» Quando furono sicuri, Sandra prese la chiave e gliela mostrò. «Dobbiamo salire» disse. «D’accordo, ma vi accompagno perché quegli stronzi di boliviani si sono barricati al primo piano e non fanno passare nessuno.» Il portiere si diresse verso le scale. Mentre transitavano davanti alla sua postazione, Sandra diede un’altra occhiata alla radio a transistor. «Ah, quella» disse il portiere accorgendosi del suo interesse. «Stamattina mi sono ricordato che un po’ di tempo fa l’avevo notata in magazzino. Avrà almeno quarant’anni ed è stata un’impresa scovare le batterie per farla funzionare. Ma era meglio se non le trovavo… Le trasmissioni in digitale sono interrotte per colpa del blackout, ma pensavo che diffondessero ancora il giornale radio sulle frequenze AM. Invece niente.» Cominciarono a salire. «A proposito, avete notizie di cosa sta accadendo in città?» Sandra era sorpresa. «Come, non sa nulla?» «No» rispose l’altro con candore. «Questo Stato bastardo frega le nostre tasse e quando abbiamo veramente bisogno di notizie, non c’è modo per essere aggiornati.» Il mondo iperconnesso aveva davvero fatto un salto tecnologico all’indietro, pensò la poliziotta. A poche centinaia di metri da lì c’erano stati violenti tumulti, incendi e addirittura un’esondazione del Tevere, e quell’uomo non ne era al corrente. «Cos’era allora la voce che ho sentito alla radio poco fa?» «Qualche pazzo maniaco figlio di puttana che cerca di terrorizzare i fessi come me che ancora si fidano del servizio pubblico… Sono ore che va avanti così – che Dio lo stramaledica.» Giunti al primo piano, il portiere cercò di spiegare ai pellegrini boliviani, in uno spagnolo incerto, che non c’era alcun pericolo: dovevano soltanto passare. Si trattava solo di un gruppo di donne e uomini di mezza età, erano terrorizzati. «Dovrete pagare i danni» li minacciò. Marcus si fece avanti e parlò a quelle persone esprimendosi nella loro lingua. Li placò e poi li benedisse. Quelli s’inginocchiarono e si fecero il segno della croce. Poi spostarono le barricate. «Il suo amico è un prete?» domandò il portiere a Sandra. «Sì» disse la poliziotta. «Un prete con una pistola?» «Sì» confermò. Era sconvolta quanto lui perché spesso lo dimenticava, e vederlo comportarsi da prete era un’esperienza totalmente nuova anche per lei. Arrivarono nei pressi della stanza 117. Marcus si voltò per rivolgersi al loro accompagnatore. Gli prese la mano e ci mise dentro la pistola automatica. «Potrebbero arrivare» disse soltanto. «Chi?» chiese il portiere nuovamente impaurito. Marcus non gli rispose. «Da qui proseguiamo da soli, grazie.» Sandra infilò nella toppa la chiave che le aveva consegnato Crespi. «Non riesco a credere che tu gli abbia dato una delle nostre pistole.» «Ne ha più bisogno lui di me» disse Marcus. «Fidati.» Entrarono. La torcia spaziò nell’oscurità. La camera era perfettamente in ordine. Il letto matrimoniale, le abat-jour sui comodini, un grande armadio a muro. Sulle pareti, acquerelli di scarso pregio che ritraevano la Roma del passato. La moquette era lisa e si avvertiva il forte aroma di pino tipico di certi deodoranti per ambienti. Si richiusero la porta alle spalle e si misero in cerca della valigia. Sandra si occupò dell’armadio, Marcus guardò sotto il letto. «Eccola» le annunciò. Poi la estrasse e la depose sul materasso. Era di pelle marrone, consumata ai bordi e piena di graffi per il troppo uso. Si apriva con una combinazione. «Che facciamo?» chiese Sandra. «Non possiamo spararle contro, se ci fosse dentro qualcosa di fragile lo danneggeremmo.» Marcus ponderò la situazione: «Forse un modo c’è». Andò nel piccolo bagno e sradicò il sifone del lavandino. Poi tornò da lei. Prima di mettersi a percuotere i fermi che chiudevano il coperchio, si rivolse nuovamente a Sandra. «Potrebbe esserci qualsiasi cosa qui dentro, anche un ordigno incendiario.» «Stavo pensando la stessa cosa… Se qualcuno sta cercando di eliminare i membri della Chiesa dell’eclissi con la tortura, allora forse è arrivato alla valigia prima di noi e potrebbe aver piazzato una trappola per Crespi.» Marcus la fissò. «Non c’è altro modo, ma vorrei lo stesso che ti allontanassi.» «No, io resto qui.» Sembrava decisa. Siccome sapeva quanto fosse difficile farle cambiare idea, Marcus sollevò il pezzo di ferro e cominciò ad abbatterlo sulla serratura. Furono sufficienti una decina di colpi per farla saltare. Poi posò il sifone sulla moquette e Sandra appoggiò le dita sul coperchio. Lo sollevò. All’interno c’erano abiti di varie misure, perfettamente ripiegati. Nulla di strano per una valigia. Ma nel loro caso, l’aspetto sorprendente – l’anomalia – era che si trattava di vestiti per bambini. «Oh, no» disse Sandra cominciando a estrarli e verificando le taglie. «Leggi qui: quattro, sette, nove, dodici anni.» Erano tutti da maschietto. Stavano pensando alla stessa cosa, notò Marcus. Non c’era stato solo Tobia Frai. Altri innocenti erano caduti nelle mani della Chiesa dell’eclissi. Chi erano quei bambini? E che fine avevano fatto? Poi la poliziotta trovò degli abiti che le erano familiari. Una maglietta e un cappellino della Roma. «Tobia» disse soltanto – il più innocente fra gli innocenti, il figlio di una suora. E, sconvolta, se li strinse al petto. Chi avrà il coraggio di dirlo a sua madre?, si domandò, e lacrime sottili iniziarono a scorrerle lungo il viso. «Mostri.» Deglutì a fatica la propria rabbia. Posò sul letto la T-shirt e il cappellino perché le era venuto in mente che forse conservavano ancora tracce dell’odore del bambino. Un richiamo olfattivo che solo una mamma avrebbe potuto riconoscere anche dopo nove anni. E Sandra non voleva privare Matilde Frai dell’ultima possibilità di stare vicina in qualche modo al suo cucciolo. Quella donna aveva già pagato un prezzo elevatissimo ed era stata anche additata come responsabile della sparizione del figlio, la cosa più preziosa che avesse al mondo. «Aspetta un momento» disse Marcus alle sue spalle. Poi, inaspettatamente, prese i vestiti e iniziò a disporli in ordine sopra il copriletto, cominciando proprio da quelli di Tobia. «Che succede?» Il penitenziere non le rispose, attese di completare l’opera. Quando li ebbe tutti davanti, finalmente parlò: «Guarda» disse indicando la T-shirt e il cappellino. «Il più piccolo è Tobia, che è scomparso all’età di tre anni. Il più grande ne aveva dodici.» Poi si voltò verso Sandra: «E sono tutti maschi» le rammentò. Lei, però, ancora non capiva. «Adesso contali» disse il penitenziere. Sandra lo fece. Una blusa, un pantalone, una camicia… L’elenco si concludeva con un maglioncino rosso. «Dieci.» «Uno per ogni anno d’età dal giorno della scomparsa» confermò Marcus. «Potrebbero appartenere tutti allo stesso bambino?» Sandra non riusciva a credere alle sue stesse parole. Poi non disse più niente. «Sì» confermò il penitenziere, leggendo i suoi pensieri. «Tobia Frai potrebbe essere ancora vivo.» |
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