Italiano
index_italian_m Il maestro delle ombre


Donato Carrisi
Il maestro delle ombre
IL TRAMONTO
7

Le strade del rione Esquilino erano allagate. La pioggia era
tornata, intensa.
Marcus sollevò una pesante grata e la resse per Sandra,
mostrandole la scaletta che li avrebbe ricondotti nel sottosuolo.
La poliziotta indossava ancora le décolleté col tacco vertiginoso,
scendere era difficile anche per la solita paura dei topi. Le venne
un’idea e prese lo smartphone dalla borsa. Visto che le linee non
andavano più per via del blackout, aveva quasi dimenticato di
possederne uno. E dire che, come tanti, fino a qualche ora prima
ne era dipendente. L’unico uso che poteva ancora farne era come
torcia elettrica. Così attivò il flash della microcamera e lo puntò
nel pozzo nero ai propri piedi, iniziando la discesa. A pochi
gradini dalla meta, però, il cellulare le scivolò di mano e cadde
con un rumore sordo. Appena toccò terra, il flash impazzì. Sandra
non se ne dispiacque più di tanto. Sperava che la luce a
intermittenza avesse scacciato i roditori in agguato.
Poco dopo, erano di nuovo nelle gallerie.
Il penitenziere camminava davanti con la torcia, la poliziotta
cercava di tenerne il passo. Da quando erano usciti dalla casa di
Matilde Frai non si erano ancora scambiati una parola.
Una suora. Quella donna era stata davvero una suora. Sandra
non riusciva a toglierselo dalla mente. «Pensi che sia morto, non
è vero?»
«Sì» disse Marcus. «Nove anni fa.» Non aveva dubbi. Sandra
riusciva ad avvertire la sua rabbia. In Marcus dimorava un senso
di giustizia che non aveva a che fare con le cose terrene. Spesso
dimenticava che lui era anche un prete. Avrebbe voluto
domandargli da dove provenisse la certezza che la Chiesa
dell’eclissi aveva ucciso Tobia Frai, invece chiese: «Possiamo
fermarci un momento?»
Il penitenziere rallentò il passo e si voltò. Sandra si era
appoggiata a una tubatura e si massaggiava le caviglie. «Va bene»
le disse. «Tanto le nostre piste sono finite qui. Non abbiamo altro
da scoprire.»
«Se pensi davvero che Tobia è morto, non vuoi trovare i
responsabili? Non vuoi guardarli in faccia e chiedergli perché
uccidere un innocente?»
«C’è qualcuno che li sta ammazzando uno a uno in modi
sempre più fantasiosi e tremendi. Perché dovrei intralciarlo?»
Sandra sapeva che non diceva sul serio e che probabilmente
la collera parlava per lui. E, siccome credeva di conoscerlo bene,
nonostante tutto, era sicura che volesse capire cosa gli fosse
accaduto prima di perdere la memoria e perché si era ritrovato
prigioniero nel Tullianum. Doveva solo farlo sbollire un po’.
Marcus si sedette per terra, lei invece preferì appoggiarsi al
muro di pietra. Anche se in quella posizione si sentiva scomoda,
era sempre meglio del pavimento lurido. Nessuno dei due aveva
voglia di parlare. Sandra controllò che lo smartphone fosse
sopravvissuto alla caduta di poco prima. Funzionava, ma durante
la sequenza di flash a cui aveva assistito il telefono aveva scattato
autonomamente delle foto. Immagini della galleria che si erano
lasciati alle spalle, vista da differenti angolature. Sandra si mise a
cancellarle una per volta dalla memoria. Alla quinta, però, si fermò.
Nella penombra dello scatto, si intravedevano chiaramente le
gambe di qualcuno.
Marcus la vide sollevarsi di colpo e rovistare febbrilmente
nella borsetta. Poi estrarre la pistola e puntarla verso l’oscurità da
cui erano provenuti. Senza bisogno che lei glielo dicesse,
comprese che non erano soli.
Si alzò e le andò vicino con la torcia. La puntò in avanti e
apparvero tre figure. Erano giovani sbandati, forse dei senzatetto.
Ed erano armati. Due erano muniti di spranghe. Ma il terzo
impugnava una pistola.
Forse era solo un’impressione, ma Sandra riconobbe nei loro
occhi lo sguardo assente, quasi in trance, del drogato ucciso con
la comunione di un’ostia nera e soda caustica nel video del
telefonino. «Che volete?» domandò.
Nessuno dei tre rispose.
«Sono una poliziotta, non mettetemi alla prova.» Era vero, ma
quante volte aveva sparato da quando aveva chiesto di essere
trasferita all’ufficio passaporti? Certo, partecipava ancora alle
sessioni mensili obbligatorie al poligono, ma non era sicura di
sapersela ancora cavare con un’arma.
Marcus si accorse che le tremavano le mani. Era abituato a
trovarsi in brutte situazioni, ma quella gli sembrò la peggiore.
I tre cominciarono ad avanzare.
«Vogliamo solo parlare un po’» disse uno dei tre, fingendo un
tono amichevole. «Possiamo fumarci una paglia e discutere su
come spartirci la donna.»
Gli altri due risero.
«Non vorrai tenertela solo per te?» disse un altro.
Il penitenziere doveva pensare rapidamente. Potevano
scappare, lui sapeva muoversi bene là sotto. Ma cosa sarebbe
accaduto se per caso avesse perso Sandra? Dovevano rischiare,
fuggire nel buio.
Marcus le prese la mano, poi indietreggiò di un passo. Sandra
comprese che aveva in mente qualcosa e annuì per fargli capire
che era pronta.
Lui spense la torcia e si voltò per scappare.
Come se stessero obbedendo a un invisibile comando, i tre
scattarono improvvisamente nella loro direzione. Li udirono
correre, avvicinarsi sempre di più. Sandra poteva persino vederli
nella propria mente: predatori del buio. In quel momento, si sentì
sfiorare la testa da qualcosa – una mano? Provò un brivido di
ribrezzo e di paura. Immaginò di essere afferrata per i capelli da
una di quelle creature dell’oscurità, di perdere il contatto con
Marcus e di cadere all’indietro. Uno di loro l’avrebbe trascinata
nella propria tana. E lì sarebbe diventata il pasto per gli appetiti
più spietati. «Non ce la faremo» disse.
«Corri» le ordinò il penitenziere.
Non riusciva a capire dove stessero andando e avvertì la
sensazione che la galleria si stesse restringendo intorno a loro.
All’improvviso, una luce intensa si accese alle loro spalle. Seguì
una breve sequenza di tre spari precisi. Sentirono dei tonfi dietro
di loro.
Gli aggressori erano caduti senza emettere nemmeno un fiato.
Marcus e Sandra si voltarono e videro avanzare il faro di una
torcia. Il penitenziere fu più pronto: le sfilò di mano la pistola e
la puntò verso l’intruso che aveva appena fatto fuoco. «Fermo»
intimò.
Chiunque fosse, l’uomo obbedì e si bloccò accanto ai tre
cadaveri, ma solo per controllare che fossero effettivamente morti.
Poi spostò il fascio luminoso per farsi riconoscere. Vitali
stringeva la fedele Beretta. «Buonasera, amici miei.» Si
compiacque delle loro espressioni sorprese. Era stato un bene che
avesse deciso di andare a cercarli sotto casa di Matilde Frai. E
visto come erano appena andate le cose, quei due erano debitori
di un favore a Rufo perché gli aveva fatto il nome del piccolo
Tobia – riposa in pace, Scarafaggio.
«Figlio di puttana» disse Sandra.
«Ma come?» si finse scandalizzato il poliziotto. «Questo è il
ringraziamento per avervi salvato la pelle?»
«Non sono così convinta che adesso siamo al sicuro.»
Più di prima, pensò Vitali – la Vega aveva notato lo sguardo
di quei tre, o no? «Puoi dire al tuo amico di mettere via la pistola.
Poi potresti anche presentarmelo, non ti pare?»
Sandra si voltò verso Marcus. «Non lo fare.»
«Che diffidenza» disse l’ispettore e si sistemò meglio per
prendere la mira. «Avrei voluto discuterne civilmente, ma va bene
anche così. Però vorrei ricordarti, agente Vega, che poco fa ho
dimostrato di saper freddare tre uomini in movimento senza
sprecare più di tre proiettili.»
Sandra sapeva che, in uno scontro a fuoco, Vitali poteva solo
avere la meglio. «Propongo un accordo.»
«Sentiamo.»
«Uno scambio di informazioni.»
Vitali ci pensò un momento. «Si può fare, però prima voi…
Chi è lui?»
«Non posso dirtelo» affermò Sandra.
Vitali scosse il capo, contrariato. «Cominciamo male.»
«Non è l’assassino nel video del telefono» lo rassicurò la
poliziotta.
«E il sangue che abbiamo trovato sopra l’apparecchio? Vuoi
dirmi che il tuo amico non soffre di epistassi?»
Marcus si domandò come facesse a saperlo.
«Non guardarmi così.» Vitali si mise a ridere. «Me l’ha
sussurrato uno scarafaggio.»
Rufo, pensò subito il penitenziere. Se l’aveva usato per
arrivare fino a lui, allora l’ispettore era davvero scaltro.
«Non lo capisci, idiota?» lo attaccò Sandra. «Qualcuno ci
vuole qui, esattamente dove ci troviamo. Ha coinvolto lui per
depistare te e, con la foto nel cellulare, ha usato me come esca
perché ti portassi a lui. Ci sta usando tutti.»
«Chi sarebbe questo qualcuno?»
«Non lo sappiamo.»
«E a quale scopo?»
«Uccidere indisturbato i componenti della Chiesa dell’eclissi.»
La rivelazione sembrò scuotere Vitali. «Che ne sai tu della
Chiesa dell’eclissi?»
«Nove anni fa hanno rapito Tobia Frai, probabilmente per ucciderlo.»
Sul volto di Vitali apparve un’espressione d’incredulità. «Chi
ti ha raccontato queste cose?»
Sandra non gli avrebbe mai rivelato che a darle l’imbeccata
era stato il commissario Crespi. «Andiamo, ispettore, sai
perfettamente di cosa sto parlando. La Chiesa dell’eclissi rientra
nei tuoi casi di quarto livello, giusto? Ho controllato in archivio:
i tuoi fascicoli sono coperti dal massimo grado di riservatezza.»
«Non so chi sia la tua fonte, ma prova a farti furba. Secondo
te, visto che i miei casi sono tutti di quarto livello… mi metterei
davvero a parlarne con chiunque?»
Sandra era stranita. Pensò a un altro bluff di Vitali.
L’ispettore notò il dubbio nel suo sguardo e rincarò la dose.
«Pensaci, Vega, quante persone nel corpo di polizia hanno
veramente accesso ai file di quarto livello?»
Marcus non capiva cosa stesse succedendo, ma si accorse che
Sandra tentennava. Prima che la poliziotta potesse dire qualcosa,
però, furono interrotti da un suono che montava nella galleria. Un
sottile scalpitio che li fece tacere. Come un esercito in avvicinamento.
Poi il pavimento si sollevò sotto di loro.
Sandra Vega strillò. L’invasione dei topi aveva colto tutti alla
sprovvista.
«Cazzo, che schifo!» urlò Vitali, issando a turno i piedi con i
preziosi mocassini marroni per non schiacciare le bestie
immonde. «Da dove vengono questi maledetti?»
Marcus fu il primo a pensare che gli animali stavano
scappando da qualcosa. «Il Tevere» disse, poi afferrò Sandra e la
costrinse a riprendersi dallo shock. «Dobbiamo scappare subito.»
Vitali si voltò e percepì il fetore che arrivava alle sue spalle:
acqua putrida. Incurante delle scarpe, si mise a correre appresso
ai topi.
La piena, tanto temuta nel corso della giornata, alla fine era
arrivata. Il fiume non ci mise molto a sopraggiungere. Invase la
galleria investendo i tre fuggitivi che si ritrovarono ad annaspare
insieme ai topi. La luce dell’unica torcia si spense quasi subito.
Al buio, Sandra stringeva forte la mano di Marcus, ma lui
aveva paura di perderla. In realtà, non era convinto di farcela a
non affogare. La corrente li trascinava via, impetuosa. Il
penitenziere fu colpito allo stomaco da un detrito, probabilmente
un tronco. Un secondo lo centrò alla nuca. Sandra aveva perso
totalmente l’orientamento e si aggrappava con tutte le forze alla
mano di Marcus. Cercò di liberarsi della borsa che le faceva da
zavorra. Poi qualcosa iniziò a tirarla verso il basso. La tracolla si
era impigliata. No, era una mano che si arrampicò sulla cinta e le
afferrò il braccio.
Anche se non poteva vederlo, seppe che si trattava di Vitali.
Lo strattonò. Una, due volte. Inutilmente. Non sapeva per
quanto ancora sarebbe riuscita a trattenere il fiato. Poi l’istinto di
autoconservazione decise stoltamente di costringerla a cercare
ossigeno. Si mise a respirare acqua.
Mentre perdeva il controllo, si accorse che la tracolla le
scivolava dalla spalla sull’avambraccio, le dita di Vitali
lasciarono la presa, liberandola.
Marcus sentì che la stretta di Sandra non era più forte come
prima. Ha perso i sensi, si disse. Il liquido gelido e melmoso gli
penetrava nei polmoni, di lì a poco sarebbe svenuto anche lui.
Doveva provare a fare qualcosa prima che fosse troppo tardi.
Puntò un piede sulla parete della galleria e si diede una spinta
verso l’alto.
Emerse nella parte superiore del tunnel, dove si era formata
una camera d’aria. Con la mano libera si afferrò a una tubatura.
Poi tirò su anche Sandra. La cinse con l’unico braccio che aveva
a disposizione. Doveva capire se respirava ancora. L’avvicinò a sé
e, con la bocca sulla sua bocca, andò alla ricerca di un alito di
vita. Grazie a Dio c’era, anche se molto debole. Sempre tenendosi
al tubo, provò ad avanzare nel flusso impetuoso senza farsi
trascinare di nuovo. Proseguirono così per almeno una
cinquantina di metri, poi Marcus sentì l’aria che proveniva dalla
superficie.
Capì di trovarsi proprio sotto un tombino.
Al tatto, trovò la scala di ferro che si inerpicava verso l’alto.
Si caricò il corpo esanime di Sandra sulle spalle e, faticosamente,
cominciò la risalita. Riuscì ad aprire la botola spingendola con
forza solo col braccio destro. Quando avvertì i piccoli rintocchi
della pioggia sul volto, comprese che ce l’avevano fatta.
Avrebbero potuto trovare ad attenderli un’altra fiumana d’acqua
lassù, ma la piena del Tevere non era riuscita a risalire la
pendenza su cui si trovavano adesso.
Dopo averla adagiata sull’asfalto, Marcus praticò a Sandra
una rianimazione cardio-polmonare. Poco dopo, la poliziotta
cominciò a sputare acqua e a tossire.
«Stai bene?»
«Sì… Credo di sì» disse lei, rialzandosi a fatica. Sentiva
ancora il calore delle labbra di Marcus sulle proprie.
Entrambi sapevano di essere stati fortunati. Sandra osservò i
segni lasciati dalle dita di Vitali sul suo avambraccio sinistro.
L’ispettore era certamente morto. Al momento, però, fu un’altra
visione a distrarli.
Davanti a loro, sotto la collina, il fiume e il fuoco degli
incendi avevano conquistato trionfanti il centro di Roma.

Italiano index_italian_m Il maestro delle ombre p167