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Il maestro delle ombre
| Donato Carrisi Il maestro delle ombre |
| IL TRAMONTO |
| 1 14 ore e 3 minuti all’alba La sera era fresca. I temporali avevano concesso una breve tregua e c’era un dolce profumo di umidità. Dopo la giornata passata al formicaio, l’ispettore Vitali era felice di prendere un po’ d’aria. Indossava un impermeabile beige sul completo grigio chiaro. Si sistemò la cravatta blu in modo che fosse perfettamente perpendicolare alla fibbia della cintura. Poi inspirò, godendosi il momento di quiete. In quella parte della città non c’erano tumulti, che invece si concentravano intorno a piazza del Popolo. Tutto era tranquillo. Le forze dell’ordine erano accorse dove era in corso la guerriglia, e lì in giro non si vedeva nessuno. Vitali estrasse dalla tasca una torcia elettrica e s’incamminò lungo la strada lucida di pioggia come una lastra di vinile. Nel silenzio, i mocassini marroni producevano un rumore musicale. L’ispettore si sentiva come il protagonista della Dolce vita di Fellini. Sarebbe potuto andare alla Fontana di Trevi per incontrare una bionda fatale che faceva il bagno in abito da sera. Ma gli avevano riferito che proprio in quei minuti il monumento era il dominio di alcuni writer impegnati a ridipingere il travertino bianco con lo spray. E poi lui aveva un altro appuntamento. Mentre passeggiava al buio, da un angolo gli spuntò davanti un uomo armato di coltello. «Il portafoglio» disse. Vitali lo guardò e gli bastò un istante per comprendere. Aveva già visto quello sguardo vuoto, assente. È proprio cominciata, si disse. Era incredibile, stava accadendo veramente. Senza esitare, estrasse dall’impermeabile la Beretta d’ordinanza e fece fuoco. Il colpo a distanza ravvicinata impresse una spinta all’uomo, che volò all’indietro e ricadde al suolo con un tonfo morbido. L’ispettore si avvicinò al cadavere, gli puntò addosso il fascio della torcia e lo guardò con biasimo. Il bello dell’anarchia era che valeva anche per i tutori della legge. Riprese la propria strada, Sandra Vega non poteva aspettare. Gli agenti che le stavano alle calcagna lo avevano aggiornato via radio sulla sua posizione. Vitali li intercettò in via dei Coronari e congedò i suoi uomini con un segnale della torcia. Poi la spense e iniziò a seguire la donna, tenendosi una cinquantina di passi dietro di lei. Da quel poco che riusciva a cogliere nell’oscurità, la Vega era vestita di nero e, dal suono, riconobbe pure le scarpe col tacco. Lasciava dietro di sé una scia di profumo. Si domandò dove stesse andando così tirata a lustro e, soprattutto, con tanta calma. Giunta quasi a metà della storica strada degli antiquari, Sandra Vega girò a destra. Vitali accelerò il passo e si sporse oltre l’angolo. Era un vicolo cieco e lei era scomparsa. Ma lui fece in tempo a notare la lama di luce che fuoriusciva da una porticina, subito richiusa, e comprese dove fosse finita la collega. Si avvicinò e attese qualche momento. Poi decise di bussare. Venne ad aprirgli un energumeno in giacca e cravatta che lo squadrò dalla testa ai piedi. «Prego?» «Sono qui con un’amica, è entrata poco fa» mentì. «Ha con sé l’invito?» «Veramente no.» «È una festa privata, si entra solo se invitati.» Vitali non aveva voglia né tempo di stare a discutere, ma decise lo stesso di essere gentile. Siccome, data la situazione, era sicuro che il distintivo da poliziotto da solo non sarebbe servito a molto, dopo averglielo mostrato aprì anche l’impermeabile quel tanto che bastava perché l’energumeno notasse l’arma nella fondina e capisse quanto fosse determinato a passare. «Non sono qui per creare problemi. Voglio solo divertirmi un po’.» L’altro ci pensò un momento. Poi si convinse a farlo entrare. Gli indicò la direzione e l’ispettore si incamminò lungo un corridoio di servizio. Riconobbe ben presto il noto albergo di lusso e capì che quella sera si accedeva da un’entrata secondaria. Poco dopo, sbucò nella lounge. L’atmosfera era soffusa. Candele ovunque e, di sottofondo, la musica di un piano. Si sentì subito fuori luogo, perché era l’unico fra i gentiluomini presenti a non indossare uno smoking. Anche le signore erano in abito da sera, portavano con disinvoltura preziosi gioielli e sorridevano. Mentre il mondo fuori si avviava determinato verso il caos, là dentro la gente preservava classe e buone maniere. Perché non può essere sempre così?, si chiese. Coppie appartate a conversare sui divanetti, oppure al bancone del bar. Bevevano i loro cocktail e si scambiavano chiacchiere innocue a voce bassa, per non disturbare gli altri. Scorse la schiena di Sandra, i capelli lunghi sciolti sulle spalle. Si trovava nella hall, davanti alla postazione del concierge. La vide farsi consegnare due chiavi e avviarsi verso un angolo della grande sala. La poliziotta si fermò accanto a un salottino vuoto. Invece di sedersi, fece scivolare discretamente qualcosa sul tavolino. Poi camminò fino alle scale e cominciò a salire. Vitali ne approfittò per andare a controllare cosa avesse lasciato con tanta nonchalance. Una delle chiavi della stanza. L’ispettore allora capì che si era sbagliato: la vera festa si svolgeva ai piani superiori. Aveva cominciato a farlo un anno prima, allorché la vedovanza era diventata troppo frustrante per i suoi trentatré anni. Era arrivata a sapere di quel posto per caso. La prima volta l’aveva sentito nominare ascoltando involontariamente i discorsi di due donne nello spogliatoio della palestra. Sembrava più un pettegolezzo e non vi aveva dato credito. Poi le era capitato di conoscere qualcuno che, invece, l’aveva frequentato. Non aveva approfondito molto la questione, per non sembrare troppo interessata all’argomento, però ne era allettata. Dopo una breve indagine per scoprire di cosa si trattasse esattamente, una sera aveva trovato il coraggio di andare a verificare di persona. Avveniva tutto con riservatezza, unico obbligo insieme all’abito da sera. Le feste si svolgevano una volta al mese e, per l’occasione, l’hotel chiudeva al pubblico. Gli ospiti arrivavano da un’entrata di servizio, poi erano liberi di fare come credevano. Si poteva trascorrere la serata al bar o nella lounge, parlando amabilmente con degli sconosciuti. Oppure decidere di appartarsi con qualcuno in una delle stanze. Sandra aveva escogitato un metodo. Si faceva consegnare due chiavi della stessa camera dal concierge e ne abbandonava una dove capitava. Sul bancone del bar, in una delle toilette. Poi saliva di sopra e si spogliava. Spegneva la luce e attendeva. A volte, trascorreva poco tempo prima che la porta si aprisse e si richiudesse. Sentiva i passi avvicinarsi sulla moquette e poi una mano che cominciava ad accarezzarla. Alcuni si limitavano a quello, altri salivano su di lei e la penetravano. Parlavano, oppure stavano in silenzio. C’erano quelli che facevano tutto lentamente, e quelli che venivano velocemente. Erano uomini, ma a volte anche donne. Una in particolare era stata molto dolce; Sandra avrebbe voluto che tornasse ma non era accaduto. L’importante per lei era non dover vedere le loro facce, non immaginava nemmeno che aspetto avessero. Non avrebbe retto alle pratiche di corteggiamento che si svolgevano di sotto, nella lounge. Tante parole per giungere a uno scopo. Le bastava quello scambio di bisogni segreti, inconfessabili. Poi ognuno poteva tornare nel mondo senza sapere nulla dell’altro. Ma un giorno era successa una cosa differente. Nella stanza era entrato qualcuno che però non si era avvicinato al letto. Era rimasto lì, con le spalle alla porta chiusa. Sandra aveva percepito la sua presenza. Poteva sentirne il respiro e i suoi occhi che riuscivano a vederla, anche al buio. Poi, dopo qualche minuto, era andato via. Non era stata l’unica visita. La cosa si era ripetuta. Ogni volta, il misterioso ospite faceva un passo in più dentro la stanza. Era arrivata a contarne sei. Ma alla fine il visitatore si ritirava sempre, scomparendo senza nemmeno toccarla. Grazie a lui aveva compreso una cosa che nemmeno immaginava. Cioè la reale motivazione che la spingeva a frequentare quel posto. Non era una perversione. Era una cura. Alcune terapie sono distruttive oltre che umilianti. Ma a volte bisogna lavare via il male con il male. E Sandra Vega era stanca di sé e dell’immagine riflessa dagli specchi. Per questo aveva bisogno di contravvenire alle regole, di calarsi in qualcosa di totalmente lontano dalla persona che tutti conoscevano, che lei conosceva. Chissà cosa vedeva lo sconosciuto in lei. Avrebbe voluto scoprirlo, era sicura che lui sapesse la verità. La sera del blackout era perfetta per un nuovo incontro. Per questo Sandra aveva deciso di trascorrerla all’hotel. Giunta nella solita stanza, si era preparata come sempre a vivere un’altra avventura col caso. Poteva entrare il mostro che aveva ucciso il povero tossicodipendente nel video. Se ne sarebbe accorta perché lui le avrebbe dato prima un’ostia nera. Sandra rammentò l’effetto che aveva avuto sull’altra vittima, che aveva addirittura parlato in aramaico. Chissà come avrebbe reagito lei. «Vieni a prendermi», disse all’oscurità. La porta si aprì, poi si richiuse. Ci furono dei passi. Le bastò quel dettaglio per riconoscere il misterioso principe del silenzio, l’uomo che non la sfiorava mai. Stavolta, però, ne fece più di sei, spingendosi addirittura fino al letto. Ma ancora non trovava il coraggio di toccarla. Sandra provò qualcosa di nuovo. Non era mai accaduto prima, aveva paura. Allora infranse la regola che si era imposta e decise di parlargli. «Sei in pericolo» gli disse. Perché, in qualche modo, aveva sempre saputo chi era il visitatore silenzioso. «Anche tu» le sussurrò Marcus. |
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