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Donato Carrisi
Il maestro delle ombre
L’ALBA
12

Battista Erriaga era immobile davanti allo spettacolo offerto
dalle vetrate dell’attico affacciato sui Fori Imperiali.
Sul cielo di Roma incombevano grandi nuvole rossastre,
gravide di una pioggia di sangue. Le ombre cominciavano ad
allungarsi sulla città, e preparavano l’invasione delle tenebre.
Il cardinale continuava a rigirarsi l’anello pastorale intorno
all’anulare. E intanto si domandava se quella, in fondo, non fosse
la giusta punizione per tutti i peccati dell’umanità. Compresi i
suoi poche ore prima era andato in scena il secondo ritrovamento
del corpo senza vita del vescovo Arturo Gorda. Quello
«ufficiale», con l’ambiente ripulito da Marcus. Erriaga aveva
deciso che, quando avesse di nuovo incontrato il penitenziere, si
sarebbe complimentato per l’ottimo lavoro svolto. Nessuna
traccia della «gogna del piacere», nessun corpo nudo.
Ma poi era accaduto qualcos’altro.
Il cardinale aveva impiegato anni per circondarsi di lussi e
privilegi. La sua casa era l’emblema del potere conquistato con
fatica e, a volte, spietatezza. I mobili d’antiquariato, i quadri del
Guercino e del Ghirlandaio e quant’altro di prezioso era riuscito
ad accumulare avrebbero dovuto essere un rifugio, una
consolazione. Ma, in quel momento, gli rammentavano soltanto
che avrebbe potuto perdere ogni cosa.
La profezia di Leone X. I segni.
Dalle finestre aveva visto il vessillo nero esposto sul tetto del
palazzo della Cancelleria. Un segnale segreto, concordato.
Annunciava la convocazione straordinaria del Tribunale delle Anime.
Per questo Erriaga era pronto a uscire di casa e a sfidare la
fine del mondo. Anche se il suo segretario personale l’aveva
informato della minaccia di una piena del Tevere.
Ma continuava a tormentarsi di domande. Quale urgenza
aveva consigliato di non rimandare la seduta della santa corte al
termine del blackout e dell’emergenza meteo? Quale grave colpa
era stata confessata? E perché era necessario che si decidesse in
fretta se concedere o meno il perdono? Gli era venuta in mente
un’unica risposta.
Il solo peccato che non può attendere è quello di un penitente
in punto di morte.
La profezia di Leone X. I segni.
No, l’Avvocato del Diavolo non poteva proprio esimersi dal
proprio dovere.

Sandra aveva acceso tutte le candele che aveva in casa perché
non voleva che il buio la cogliesse di sorpresa. Poiché non c’era
corrente ad alimentare il boiler, aveva fatto una doccia gelata.
Erano venuti meno i piccoli conforti della vita quotidiana. Ma
l’aspetto peggiore era che fosse accaduto rapidamente, senza la
possibilità di adattarsi al nuovo ordine delle cose.
Prima di dichiararsi sconfitta, però, aveva preso una
decisione. Se stava arrivando davvero la fine del mondo, lei
l’avrebbe accolta come si doveva.
Per questo aveva scelto un abito elegante dall’armadio – un
tubino nero a cui abbinare delle décolleté tacco dodici. La
lingerie di pizzo – reggiseno a balconcino, calze autoreggenti e
perizoma. Poi si era accomodata di fronte allo specchio della
consolle acquistata a un mercatino quando era arrivata a Roma, e
aveva cominciato a prepararsi. Aveva steso sul viso una crema,
poi il fard. Quindi era passata agli occhi – la matita, l’ombretto e
il mascara sulle ciglia lunghissime. Infine aveva fatto scorrere la
morbida punta del rossetto sulle labbra carnose.
Mentre portava a termine con gentile lentezza le operazioni di
maquillage, ripensò alla chiacchierata con Crespi sulle scale
antincendio della questura.
C’era una sua foto sul telefonino rinvenuto sul taxi, ancora
non riusciva a crederci.
«Vitali è in dubbio sul fatto che tu possa essere coinvolta»
aveva detto il commissario mentre fumava la seconda sigaretta
della giornata. «Anzi, ritiene che l’assassino abbia voluto
annunciarci chi è la prossima vittima… Per questo ti ha dato il
resto della giornata libera. Quel bastardo vuole usarti come esca.»
Invece di pensare al pericolo che stava correndo, Sandra
provò a fare un computo matematico dell’esistenza. Quante
sigarette fumava il commissario Crespi? Una al giorno. Forse
s’illudeva di scongiurare un cancro, ma messe in fila una dietro
l’altra facevano sempre trecentosessantacinque in un solo anno.
Quante volte lei si era truccata davanti a uno specchio?
Mediamente, una volta a settimana da quando era adolescente,
giusto? Quante paia di scarpe aveva posseduto? Quanti abiti da
sera? Quanti cadaveri aveva fotografato nel lavoro per la
scientifica? E, invece, quanti suoi compleanni erano stati
immortalati in una foto? Quante volte era stata al cinema? Quanti
i libri letti? Quante pizze aveva mangiato? Quanti gelati?
Sembravano sempre poche le volte che avevi fatto qualcosa. Poi
le mettevi insieme e ne usciva un numero che non immaginavi.
E quel numero era proprio la tua vita.
Quante volte aveva pronunciato il nome di Marcus nel segreto
della sua mente? Quante volte aveva pensato a lui? Quante volte
si erano incontrati in quegli anni? Quante parole si erano detti? E
quanti baci c’erano stati?…
Uno soltanto.
Il sole calava sull’orizzonte oltre le nuvole, e la poliziotta non
poteva fare a meno di considerare che, nel momento in cui era
costretta a fare un bilancio della propria vita, lei era sola.
Le persone sole non hanno nulla da perdere, si disse.
Infilò in borsa il distintivo e la pistola. Una folata di vento da
una finestra aperta spense le candele. Sandra Vega diede
un’ultima occhiata soddisfatta all’immagine di sé che svaniva
nello specchio.
Se Vitali voleva un’esca, allora lei era pronta a morire.

Davanti agli schermi del formicaio erano tutti in attesa.
Dai semplici agenti fino al capo della polizia: li accomunava
la stessa tensione. Dall’alto della propria postazione, De Giorgi
sorvegliava ogni cosa come un capitano di vascello. Accanto a
lui, il questore Alberti e il commissario Crespi della omicidi. Più
Vitali osservava quei tre, più li disprezzava.
Li aveva messi in guardia, ma non avevano voluto ascoltare.
Per capire chi fra loro avrebbe avuto ragione dovevano
aspettare le sedici e undici. Oltre quel confine, il tramonto
avrebbe privato Roma della luce e sarebbe iniziata la seconda
fase dell’emergenza.
Il coprifuoco.
Da quel momento, tutti i sistemi di sicurezza sarebbero stati
messi alla prova. Di lì a poco avrebbero scoperto anche se il
piano di prevenzione che avevano predisposto avrebbe
funzionato. Il responso era lì, sui monitor che avevano di fronte.
Le tremila telecamere che, come piccole sentinelle, vigilavano
sulle strade e le piazze si erano già convertite alla modalità
notturna. Gli obiettivi a infrarossi rimandavano le immagini di
una Roma insolita, ingoiata dal buio. E deserta.
Una città fantasma.
Esclusi i ministeri, le caserme, i commissariati e i grandi
alberghi, pochi possedevano un generatore. Inoltre il carburante
delle pompe di benzina e ogni altra fonte energetica erano stati
confiscati per assicurare il funzionamento di quelli in uso agli
ospedali e ai centri anticrisi dislocati nei vari quartieri.
La popolazione era inerme.
Era la dittatura della tecnologia, pensò Vitali. La gente ne
stava sperimentando le conseguenze. Ti rende l’esistenza più
facile ma, in cambio, ti sottomette. Credi di averne il controllo,
invece ne sei schiavo. Adesso erano liberi. Ma la libertà li
spaventava. Non sapevano gestire la nuova situazione, e così
diventavano un pericolo gli uni per gli altri.
Le sedici e undici.
Il confine era stato appena superato.
Da ciò che appariva sugli schermi, il coprifuoco stava
funzionando. L’ordine di restare in casa era stato recepito,
nessuna orda rabbiosa era scesa per le vie. I poteri straordinari
concessi alle forze di polizia erano serviti da deterrente per i
malintenzionati. Certo, nessuno poteva dire cosa stesse
accadendo al chiuso delle abitazioni, ma era già un successo.
Per celebrarlo, dal formicaio si levò un applauso liberatorio.
Il capo della polizia sembrò contrariato, ma alla fine non poté
fare a meno di unirsi agli altri. Anche il questore e Crespi lo
imitarono. Vitali rimase immobile. A differenza dei superiori,
voleva conservarsi scaramantico. La notte era ancora lunga e
l’alba troppo lontana. Un agente attirò la sua attenzione. C’era
una radiochiamata per lui.
«Ispettore, la Vega è appena uscita» annunciò la voce all’altro
capo della frequenza.
Vitali non ne fu sorpreso. In fondo, le aveva piazzato una
pattuglia sotto casa proprio perché se l’aspettava. «D’accordo.
Arrivo subito.»
Nel momento in cui riattaccò, si accorse che l’applauso
intorno a lui perdeva rapidamente vigore. Si guardò in giro e vide
solo facce stranite.
«Che sta succedendo?» disse qualcuno e altri lo imitarono. Il
capo della polizia si rabbuiò improvvisamente. Erano tutti
increduli, paralizzati. Fissavano ancora gli schermi, ma con
espressione diversa. Vitali si voltò in direzione della parete di monitor.
Si stavano spegnendo, uno a uno.
«Come è possibile?» domandò De Giorgi, infuriato. «Le
batterie che alimentano la rete sono in funzione, vero?»
Nessuno gli rispose, perché si misero subito a verificare sui
terminali la ragione dell’improvviso inconveniente.
Credono che sia un guasto tecnico, pensò Vitali. Poveri illusi.
Là fuori stavano manomettendo le telecamere. Era questa la verità
che non riuscivano ad accettare.
«Mettetemi subito in contatto con una pattuglia» ordinò il questore.
Poco dopo, gli altoparlanti diffusero la voce di un agente.
«Qui piazza del Popolo.» Il tono concitato cercava di avere la
meglio sui rumori di fondo. «La situazione ci è sfuggita di mano.
Abbiamo bisogno di rinforzi.» Poi ribadì: «Subito!»
Si udì un colpo sordo. Poi accadde qualcosa e la voce tacque
improvvisamente.
«Agente» lo chiamò il questore. «Agente, mi risponda.»
A differenza degli altri, Vitali sembrava divertito. Non
capitava tutti i giorni di assistere a un simile spettacolo. La
destituzione dell’autorità costituita. La fine delle regole. La resa
della civiltà.
Dalla radio ancora accesa iniziò a giungere un suono oscuro,
spaventoso. Vitali pensò agli zoccoli dei cavalli che
annunciavano l’arrivo dei cavalieri dell’Apocalisse. Quel rumore
era fatto di urla di giubilo mischiate a grida di terrore. Di scoppi
lontani, vetri infranti e schianti metallici. Di fuoco e di battaglia.
Nessuno in quella sala l’avrebbe più dimenticato. Nessuno
sapeva più cosa fare.
Ci siamo, si disse l’ispettore. La fine di Roma era appena cominciata.

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