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Il maestro delle ombre
| Donato Carrisi Il maestro delle ombre |
| L’ALBA |
| 8 La Città del Vaticano era uno Stato autonomo di mezzo chilometro quadrato nel cuore di Roma. Era circondato da altissime mura che, oltre alla Basilica di San Pietro e ai palazzi del potere ecclesiastico, custodivano dei magnifici giardini, perfettamente curati. In mezzo a essi, però, stonava da sempre la presenza di un bosco incolto di circa due ettari. La fitta vegetazione rendeva il luogo impervio e quasi inaccessibile. Al confine della selva c’era un piccolo convento di clausura. Le suore che vi dimoravano appartenevano a un antico ordine monacale, quasi del tutto estinto. Le vedove di Cristo. Erano solo tredici e avevano abbracciato una fede rigorosa, rinunciando a ogni benessere, perfino alla medicina. Si nutrivano dei soli frutti del proprio orto e avevano fatto voto di silenzio. Unica eccezione, la preghiera. Tuttavia, da ventitré anni il loro compito più gravoso era sorvegliare un uomo di cui il mondo esterno ignorava l’esistenza. Un mostro terribile. Un essere immondo. Un assassino seriale. Il novero dei suoi crimini era una grande vergogna per la Chiesa, e doveva essere tenuto segreto a ogni costo. Perché, prima di essere fermato e imprigionato là dentro, Cornelius Van Buren era stato un prete missionario. I temporali avevano concesso una breve tregua. La pioggia, però, era solo diminuita, senza cessare. Marcus camminava a fatica nel bosco. Sapeva di essere solo, ma avvertiva comunque una presenza. Come quella che aveva sentito nel Tullianum, guardando in faccia il buio nella botola. Alzò lo sguardo. Sopra di lui, appollaiati sugli alberi, c’erano centinaia di uccelli neri. E lo fissavano. Il penitenziere accelerò il passo. Poco dopo, scostò un ramo e si ritrovò nella piccola radura che proteggeva il convento. Se non fosse stato per il fumo che usciva da un comignolo, il posto sarebbe sembrato disabitato. Il penitenziere conosceva bene la strada per giungervi, l’aveva percorsa varie volte negli ultimi anni. Durante le visite a Cornelius aveva svolto un utile apprendistato. Era raro, infatti, imbattersi in una personalità omicida tanto complessa e raffinata. Per quanto disprezzasse quell’uomo per via di ciò che aveva commesso mentre era un missionario, da lui aveva attinto una conoscenza purissima dell’animo umano, non contaminata dalle categorie di «bene» e «male». I due elementi non avevano alcun valore per Van Buren. Sosteneva di essere un mostro non perché fosse nella sua natura, ma perché era la volontà di Dio. Arrivato nei pressi della porta di legno, Marcus bussò tre volte e poi tre volte ancora. Era il segnale concordato che gli avrebbe permesso di accedere alla prigione. Venne ad aprirgli una delle consorelle. Indossava il tipico abito dell’ordine, la cui caratteristica principale era un drappo nero che nascondeva interamente il volto. La vedova di Cristo riconobbe il penitenziere e lo fece entrare. Poi, benché fosse ancora giorno, prese una candela e gli fece strada. Lì gli effetti del blackout erano irrilevanti, poiché l’energia elettrica, come ogni altro progresso tecnologico, non era mai arrivata. Era come fare un viaggio all’indietro nel tempo, ma il convento sembrava distante anche nello spazio. Pur essendo ubicato a poche decine di metri dalle mura che separavano il Vaticano dalla vita caotica di Roma, era un luogo in cui regnava la pace. La suora precedeva Marcus. Mentre camminava, la stoffa della lunga tonaca sfiorava il pavimento di pietra, lasciando intravedere solo le scarpe. Era così che lui le identificava, le calzature erano l’unico elemento che distingueva ciascuna vedova di Cristo dalle proprie consorelle. Davanti a sé, in quel momento, aveva un paio di stivaletti neri, molto castigati e allacciati fin sugli stinchi. Non era nemmeno possibile stabilire l’età della suora. L’unica parte visibile del corpo era la mano che reggeva la candela. Alla luce della fiammella, la pelle del dorso sembrava liscia come seta. Come se la quiete che dimorava in quel luogo avesse il potere di levigare le persone, e anche la loro anima. L’unico su cui non aveva effetto era Cornelius. Salirono le scale lentamente e poi percorsero un corridoio cieco e buio, al termine del quale si trovava la cella del missionario. Marcus notò a distanza che il suo ospite lo stava già attendendo, con le braccia appoggiate alle sbarre di ferro brunito e le mani giunte. La suora con gli stivaletti neri si fermò a metà corridoio e gli affidò la candela. Da lì in poi, il penitenziere avrebbe proseguito da solo. Arrivò nei pressi dell’inferriata e si ritrovò davanti al solito vecchio stanco. L’incarnato di Cornelius era lattiginoso. I suoi denti ingialliti. Indossava un cardigan logoro e sformato. Pantaloni troppo larghi, che mettevano in evidenza la sua magrezza. Aveva una postura ricurva e radi capelli bianchi. Si lavava poco ed emanava un cattivo odore. Ma Marcus sapeva fin troppo bene che non doveva lasciarsi ingannare dall’apparenza. Il mostro sembrava domato. Invece era ancora pericoloso. Appena tre anni prima era fuggito e aveva ucciso una delle sue carceriere. Non pago, aveva fatto il cadavere a pezzi, disseminandoli nel bosco. In lui albergava ancora la belva feroce di un tempo. Dimenticarsene avrebbe significato morire. «Benvenuto, pellegrino» lo salutò Cornelius. «Cosa ti porta nella casa del Signore?» Nella cella c’erano una branda, una sedia di legno e uno scaffale con una ventina di libri. Si andava dal De continentia di sant’Agostino al De libero arbitrio di Erasmo da Rotterdam, dalla biografia di san Tommaso a quella di Roscellino di Compiègne, fino a giungere alla Divina Commedia. Da ventitré anni, quei testi di argomento religioso costituivano l’unico contatto fra la bestia e la civiltà degli uomini. Era stato lo stesso Battista Erriaga a selezionare i titoli. Per il resto, l’Avvocato del Diavolo l’aveva condannato al più completo isolamento. Così Cornelius rileggeva in continuazione le stesse pagine per impedire alla noia di ucciderlo prima del tempo. Marcus si accomodò su una panca addossata al muro. «Arturo Gorda» disse. L’altro preferì rimanere in piedi. «Il vescovo… Che gli è successo?» «È morto stanotte.» E aggiunse: «In modo indegno». «Suicidio?» «Strozzamento meccanico.» «Interessante. Parlamene, ti prego.» Marcus iniziò a descrivere la scena che si era ritrovato davanti, nonché lo strumento della «gogna del piacere». Quando ebbe finito, a Cornelius scappò un sorriso. «Immagino quanto il nostro comune amico Battista Erriaga si stia affannando per insabbiare la storia del santo depravato.» «Ha mandato me a ripulire tutto. Ho fatto un buon lavoro, il mondo non ne saprà mai nulla.» «Però?» Van Buren aveva capito che c’era dell’altro. «Anomalie» rispose Marcus. «Cominciamo dalle scarpe…» «Quali scarpe?» Il penitenziere abbassò lo sguardo sulle calzature di tela bianche che portava ai piedi. «Stamattina mi sono svegliato nel Tullianum. Ero nudo e ammanettato. Qualcuno mi ha messo lì per farmi morire di fame. L’unico cibo che mi è stato concesso è stata la chiave delle manette. Sono riuscito a liberarmi solo perché l’ho vomitata. Non ricordo nulla delle ore precedenti al risveglio: né ciò che ho fatto né chi ha voluto punirmi in questo modo. Soprattutto, non so perché me lo sia meritato. È come se nella mia mente ci fosse un buco nero.» «Che c’entra questo con le scarpe?» «Le ho trovate accanto ai miei vestiti. Non so da dove vengano. Però Gorda ne aveva un paio identico nel proprio armadio.» «Quanti posseggono scarpe simili? Chi ti dice che non sia casuale?» «Questo…» Marcus prese dalla tasca interna della giacca il quotidiano con la notizia della scomparsa del piccolo Tobia Frai, avvenuta il 22 maggio di nove anni prima. La porse a Cornelius che la esaminò. «Non so perché il vescovo conservasse questo vecchio giornale. Ma è la seconda coincidenza con quanto mi è accaduto nel Tullianum. Infatti, in una tasca dei miei vestiti, ho trovato la pagina strappata di un taccuino. Sopra c’era un messaggio scritto con la mia grafia: ’Trova Tobia Frai’.» Cornelius restituì il giornale a Marcus. Poi si strinse le mani dietro la schiena e fece alcuni passi nella cella. «Un bambino scomparso da nove anni, scarpe bianche di tela, il Tullianum, un vescovo morto in circostanze assurde, la tua breve amnesia…» Terminato l’elenco, tornò a voltarsi verso Marcus. «Se ti aiuto, cosa riceverò in cambio? Quale sarà la mia ricompensa?» Il penitenziere si aspettava la domanda. «Fai la tua richiesta.» Cornelius ammutolì, era allettato dalla proposta. «Un libro.» «D’accordo.» Van Buren era incredulo e felice. «Ma non un libro qualsiasi. Quello che voglio si trova presso la Biblioteca Angelica. È un incunabolo. La Historia naturalis di Plinio il Vecchio, tradotta dall’umanista Cristoforo Landino. Fu dedicato a Ferdinando I d’Aragona, re di Napoli. Contiene meravigliose miniature.» Mentre lo descriveva, gli occhi gli scintillavano come quelli di un assetato di sapere davanti alla fonte della conoscenza. «Lo avrai» confermò il penitenziere. «E che dirà Erriaga?» «Che si fotta» fu la risposta netta. Nel corso delle precedenti visite, Marcus aveva tenuto sempre un atteggiamento distaccato nei confronti del missionario. La distanza gli serviva per non scordare chi aveva di fronte, ma anche per rimanere imparziale riguardo agli argomenti che avrebbero trattato nelle loro conversazioni. Fra i due c’era stato sempre un patto tacito: nessuno doveva spingersi al di là di quel confine e invadere il territorio altrui. Non sarebbero mai diventati amici, e tantomeno confidenti. Gli incontri con Marcus erano un diversivo per la straziante routine di Cornelius. Il penitenziere sapeva che il prigioniero non vi avrebbe mai rinunciato. Per questo, fino ad allora, non era mai stato necessario offrirgli qualcosa in cambio d’aiuto. D’altronde, stavolta l’altro aveva giocato d’anticipo, domandandogli una ricompensa. Forse perché intuiva che la posta in gioco era elevata. «Va bene, ti aiuterò» confermò Van Buren. «Ma a una condizione: dovrai dirmi tutto. Se mi nascondi qualcosa, me ne accorgerò.» «Questo vale anche per te» ribadì Marcus. L’accordo era sancito. «Cosa ti ispira questa storia?» Cornelius era dubbioso. «Non lo so… Abbiamo troppi elementi a disposizione – troppe anomalie. Rischiamo di fare confusione.» «Credo che siano i brandelli della memoria persa. Se li rimetto insieme potrò scoprire anche perché li ho dimenticati.» Van Buren scosse il capo. «Spiacente, non credo funzioni in questo modo. Devi prima fare ordine nelle cose… Partiamo da ciò che sta accadendo in città in queste ore.» Marcus tacque. L’altro non poteva essere a conoscenza del blackout. «Cosa ne sai?» domandò dopo un po’. «Nell’antica Roma, gli àuguri interpretavano la volontà degli dei dal volo degli uccelli… Io ho fatto lo stesso: il responso è stato che attualmente siamo sotto una grave minaccia.» «Non hai nemmeno una finestra» fece notare il penitenziere. «Non mi prendo gioco di te» lo rassicurò l’altro. «La mia vista è limitata, ma il mio udito è ancora efficiente. E stamane, all’alba, pioveva. E ho anche sentito il frullo delle ali degli uccelli – centinaia. Gli uccelli non volano con la pioggia. Perciò deve averli spaventati per forza qualcosa.» «Il silenzio» disse Marcus, e ripensò ai volatili neri che aveva visto nel bosco. «L’improvviso silenzio li ha disorientati.» Cornelius sembrava soddisfatto della propria capacità deduttiva. «Solo un cataclisma o una peste improvvisa riescono ad ammutolire una civiltà.» «Oppure un blackout di ventiquattro ore.» Cornelius sembrò sorpreso. «Così Roma sta sperimentando per un giorno ciò che io provo da ventitré anni.» «Credo di sì. Ma adesso che lo sai, dimmi a cosa serve questa informazione» tagliò corto Marcus. Il vecchio andò a sedersi sulla branda per riposare le membra stanche della fatica di sopravvivere in cattività. «Leone X…» «Cosa?» Marcus non aveva sentito. «Nel 1513, il quartogenito di Lorenzo de’ Medici salì al soglio di Pietro col nome di Leone X. Era diventato cardinale in segreto, a soli tredici anni.» «Il papa avversato da Lutero» rammentò Marcus. «Il pontefice che ha permesso la vendita delle indulgenze per i peccati.» Per questo motivo, era anche un nemico della Penitenzieria e del Tribunale delle Anime. «È vero, ma era anche un conciliatore. Salvò la vita a Machiavelli, si circondò di artisti come Raffaello. In lui dimoravano due nature, spesso in conflitto tra loro, come in tutti gli uomini.» «Che c’entra con ciò che sta accadendo oggi?» «Leone X emanò una bolla. Dispose che Roma non dovesse ’mai mai mai’ rimanere al buio. Per sottolineare l’importanza della raccomandazione, ripeté il termine ’mai’ tre volte.» «Perché una simile disposizione? Cosa c’era nel buio di Roma che spaventava tanto il papa?» «Nessuno l’ha mai saputo. Però Leone X è morto nove giorni dopo, forse avvelenato.» Marcus sapeva che non era la prima volta che un papa veniva assassinato. Non era raro che nella Chiesa certe questioni di potere fossero risolte ricorrendo a mezzi estremi. Gorda era un consigliere molto ascoltato dall’attuale pontefice, una figura prominente. «Stai cercando di dire che il vescovo potrebbe essere stato ucciso?» Ma Cornelius eluse la domanda ponendo un altro interrogativo. «Dimmi, hai guardato bene il suo cadavere? C’erano strani segni su di lui?» Marcus rammentò il tatuaggio sbiadito nell’interno coscia. «Un cerchio azzurro.» Come faceva Van Buren a saperlo? «Ho rispettato l’accordo: sai tutto e adesso tocca a te parlare.» «Ordine, Marcus. Non basta sapere, devi mettere prima ordine in ciò che sai» lo ammonì l’altro per la seconda volta. «Sono già stanco dei tuoi giochetti. Ora basta.» Cornelius si rimise in piedi, ricominciò a passeggiare per la cella. «Rifletti: il primo tassello è il blackout. E il secondo?» Marcus non intendeva assecondare i tentativi di manipolazione di quel sadico, ma cercò di calmarsi. «Il mio risveglio nel Tullianum.» «No, ti sbagli» disse l’altro con vigore. «Continui a pensare solo a ciò che ti è accaduto perché ti ossessiona la breve amnesia che hai subito. Ha risvegliato in te la paura che possa ricapitarti ancora una volta di perdere definitivamente la memoria, come tanti anni fa a Praga. Invece devi partire da ciò che è successo dopo.» «La morte di Gorda.» «E come è morto il vescovo?» «L’ho già detto. Strozzamento meccanico. Morte accidentale.» «La ’gogna del piacere’… E tu come stavi per morire?» «Volevano affamarmi in quel pozzo.» «Allora cosa avete in comune tu e il vescovo, a parte delle stupide scarpe bianche di tela?» Cornelius cominciò ad alterarsi. «La gogna, l’affamamento: non sono forse tecniche di tortura?» «Vuoi dirmi che dietro i due episodi c’è la stessa mano?» «Perché me lo domandi? Lo sapevi già prima di venire qui.» «Non è possibile: Gorda ha fatto tutto da solo. La dinamica, il modo e le circostanze escludono assolutamente l’intervento di terze persone.» Marcus non riusciva a crederci. In lui montava la rabbia perché era convinto che Van Buren nascondesse qualcosa di essenziale. «Come facevi a conoscere la storia del tatuaggio?» «Non lo sapevo, infatti. Ti ho chiesto solo se sul corpo c’erano segni e tu mi hai risposto ’un cerchio azzurro’.» «Stronzate» ribatté il penitenziere. «Dimmi cosa sai.» Cornelius sorrise. «La bolla papale, il buio di Roma… A cosa ti fanno pensare?» «A un mistero che dura da troppi secoli.» «E cosa prova la gente comune quando si trova davanti a un mistero?» «Paura» fu la risposta. «Esatto: abbiamo tutti paura dell’ignoto. E qual era l’intenzione di Leone X quando ha emesso la bolla?» «Proteggere, prevenire.» «Giusto! Perché era a conoscenza di qualcosa che gli altri non sapevano. Qualcosa che sarebbe accaduto col buio.» «Vuoi dire che la bolla contiene una profezia? È assurdo: non esistono le profezie.» «Il buio era il nemico di Leone X. E in che parte della giornata il buio è più buio?» «Di notte» fu la risposta stizzita di Marcus. «E quand’è che una notte è più buia delle altre?» «Non lo so.» Ne aveva abbastanza di indovinelli. «Avanti…» lo esortò Van Buren. «Quando non c’è la luna.» «No» urlò Cornelius. «La notte più buia e spaventosa è quella in cui la luna c’è… ma nessuno può vederla.» Marcus ripensò al cerchio azzurro. «Un’eclissi.» Lo disse a bassa voce, ma Cornelius comprese lo stesso che l’allievo aveva imparato la lezione. «Esatto.» Gli occhi del vecchio maestro non riuscivano a contenere la contentezza. «E che cos’è un blackout se non un’eclissi tecnologica? Il mondo intorno a noi cessa di essere come lo conosciamo. Come i nostri antenati davanti alla temporanea sparizione della luna, ci sentiamo improvvisamente fragili e indifesi. Vulnerabili.» «Accadrà qualcosa dopo il tramonto. Qualcosa di terribile» capì il penitenziere – l’epifania lo atterrì. Qualcuno poteva anche credere che un papa l’avesse profetizzato cinquecento anni prima. Non Marcus. Per lui c’era sempre una spiegazione razionale. Ed era ancora più convinto che Van Buren gli celasse qualcosa. «Come faccio a impedire ciò che accadrà? Dimmelo.» «Ordine» gli rammentò l’altro, perentorio. «Stanotte torna da me con ciò che scoprirai e cercheremo insieme le risposte.» Poi aggiunse con un tetro sorriso: «E mi raccomando, non dimenticare di portare con te quel libro». |
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