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Il deserto dei tartari
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Dino Buzzati Il deserto dei tartari |
| 23. Già da parecchi giorni l'inverno era sceso sulla Fortezza quando sull'ordine del giorno, affisso nella sua cornicetta su un muro del cortile si lesse una strana comunicazione. "Deplorevoli allarmi e false voci" era scritto. "In base a precisa disposizione del Comando superiore, invito sottufficiali, graduati e soldati a non dar credito, ripetere o comunque diffondere voci d'allarme, destituite di qualsiasi fondamento, circa presunte minacce di aggressione contro i nostri confini. Queste voci, oltre che inopportune per ovvi motivi disciplinari, possono turbare i normali rapporti di buon vicinato con lo Stato confinante e diffondere fra la truppa inutile nervosismo, nocivo all'andamento del servizio. Desidero che la vigilanza da parte delle sentinelle sia esplicata con i mezzi normali, e che soprattutto non si ricorra a strumenti ottici non contemplati dai regolamenti, e che, spesso usati senza discernimento, danno facilmente occasione a errori e false interpretazioni. Chiunque sia in possesso di tali strumenti dovrà notificarlo al rispettivo Comando di reparto, il quale provvederà a ritirare gli strumenti stessi e a tenerli in custodia.» Seguivano le normali disposizioni per il turno quotidiano di guardia e la firma del comandante, tenente colonnello Nicolosi. Era evidente che l'ordine del giorno, formalmente diretto alla truppa, si rivolgeva in realtà agli ufficiali. Nicolosi aveva ottenuto così il doppio scopo di non mortificare nessuno e di mettere al corrente l'intera Fortezza. Certo nessuno degli ufficiali avrebbe più osato farsi vedere dalle sentinelle a perlustrare il deserto con cannocchiali extra-regolamentari. Gli strumenti in dotazione per le varie ridotte erano vecchi, praticamente inutilizzabili, qualcuno anzi era andato perduto. Chi aveva fatto la spia? Chi aveva avvertito il Comando superiore, giù in città? Tutti pensarono istintivamente a Matti, lui solo poteva essere stato, sempre col regolamento alla mano per soffocare ogni cosa piacevole, ogni tentativo di personale respiro. Nella maggioranza gli ufficiali ci risero sopra. Il superiore comando dicevano non si smentiva, arrivando con due anni di ritardo. Chi infatti pensava a invasioni dal nord? Ah, sì, Drogo e Simeoni (se n'erano proprio dimenticati). Pure sembrava incredibile che l'ordine del giorno fosse stato fatto apposta per quei due. Un buon ragazzo come Drogo pensavano non poteva certo minacciare alcuno anche se fosse stato tutto il santo giorno con un cannocchiale in mano. Anche Simeoni veniva giudicato innocuo. Giovanni ebbe invece l'istintiva certezza che l'ordine del tenente colonnello lo riguardasse personalmente. Ancora una volta le cose della vita si combinavano esattamente contro di lui. Che male c'era se lui restava qualche ora a osservare il deserto? Perché impedirgli questa consolazione? A pensarci gli cresceva una rabbia profonda. Lui si era già preparato ad aspettare la primavera: appena sciolta la neve sperava sarebbe ricomparso all'estremo nord il misterioso lume, i puntini neri avrebbero ricominciato a muoversi su e giù, la fiducia sarebbe rinata. Tutta la sua vita sentimentale era infatti concentrata in quella speranza e stavolta con lui non c'era che Simeoni, gli altri non ci pensavano nemmeno, neppure Ortiz, neppure il caposarto Prosdocimo. Era bello adesso, così soli, nutrire gelosamente un segreto, non come nei giorni lontani, prima che morisse Angustina, quando tutti si guardavano come congiurati, con una specie di avida concorrenza. Ma adesso il cannocchiale era stato proibito. Simeoni, scrupoloso com'era, non si sarebbe certo più fidato di adoperarlo. Anche se il lume si riaccenderà al limite delle nebbie perenni, anche se riprenderà il viavai delle minuscole macchie, loro non potranno più saperlo, nessuno a occhio nudo se ne accorgerebbe, neanche le migliori sentinelle, cacciatori famosi che vedono un corvo a più di un chilometro. Era ansioso Drogo, quel giorno, di sentire il parere di Simeoni, ma aspettò fino a sera, per non dare nell'occhio, qualcuno certo sarebbe andato a riferirlo immediatamente. Lo stesso Simeoni del resto non era venuto per mezzogiorno alla mensa, e Giovanni non l'aveva visto da nessuna altra parte. A pranzo Simeoni comparve, ma più tardi del solito, quando Drogo aveva già cominciato. Mangiò prestissimo, si alzò prima di Giovanni, corse subito a un tavolo di gioco. Aveva forse paura di trovarsi da solo con Drogo? Nessuno dei due quella sera era di servizio. Giovanni si sedette su una poltrona, di fianco alla porta delle sale, per abbordare il compagno all'uscita. E notò come Simeoni, durante il gioco, lo adocchiasse di sfuggita, cercando di non farsi vedere. Simeoni giocò fino a tardi, molto più tardi del solito, come non aveva mai fatto. Continuava a gettare occhiate verso la porta, sperava che Drogo si fosse stancato di aspettare. Alla fine, quando tutti se ne andarono, dovette anche lui alzarsi e dirigersi verso l'uscita. Drogo gli si mise al fianco. "Ciao, Drogo" disse Simeoni con un sorriso imbarazzato. "Non ti avevo visto, dov'eri?» Si erano avviati per uno dei tanti squallidi corridoi che attraversavano longitudinalmente il corpo della Fortezza. "Mi ero seduto a leggere" disse Drogo. "Non mi ero neanche accorto di aver fatto così tardi.» Camminarono un poco in silenzio, fra i riflessi delle rade lanterne attaccate simmetricamente ai due muri. Il gruppo degli altri ufficiali si era già allontanato, si udivano le loro voci confuse provenire dalla lontana penombra. Era notte alta e faceva freddo. "Hai letto l'ordine del giorno?" fece Drogo ad un tratto. "Hai visto quella storia dei falsi allarmi? Chissà perché. E chi sarà stato a fare la spia?» "E come faccio a saperlo io?" rispose quasi sgarbato Simeoni, fermandosi all'imbocco di una scala che conduceva di sopra. "Tu vieni su da questa parte?» "E il cannocchiale?" insistette Drogo. "Non si potrà più adoperarlo il tuo cannocchiale, almeno...» "L'ho già consegnato al Comando" interruppe Simeoni, sostenuto. "Mi pareva meglio. Tanto più che ci tenevano d'occhio.» "Potevi aspettare, mi sembra. Magari fra tre mesi, quando la neve sarà andata, nessuno ci penserà più, si poteva tornare a guardare. La strada, che tu dici, come si farà a vederla senza il tuo cannocchiale? "Ah, la strada" e c'era nella voce di Simeoni una specie di compatimento. "Ma ho finito per convincermi che tu avevi ragione!» "Che io avevo ragione, come? "Che non fanno nessuna strada, deve esserci proprio qualche villaggio o un accampamento di zingari, come dicevi tu.» Aveva dunque tanta paura Simeoni da rinnegare tutto quanto? Per paura di una grana non si fidava a parlare neppure con lui, Drogo? Giovanni guardò in faccia il compagno. Il corridoio era rimasto completamente deserto, non si udiva più alcuna voce, le ombre dei due ufficiali si proiettavano mostruose da una parte e dall'altra, ondeggiando. "Non ci credi più, dici?" domandò Drogo. "Pensi sul serio di esserti sbagliato? E allora tutti i calcoli che facevi?» "Tanto per passare il tempo" fece Simeoni tentando di voltare tutto in scherzo. "Non l'avrai mica presa sul serio, spero.» "E' che hai paura, di' la verità" gli fece Drogo con voce cattiva. "E' stato l'ordine del giorno, di' la verità, e adesso non ti fidi.» "Non so che cosa tu abbia stasera" rispose Simeoni. "Non so che cosa tu voglia dire. Con te non si può scherzare, ecco cos'è, prendi tutto sul serio, sembri un bambino, sembri.» Drogo tacque e lo stette a guardare. Rimasero qualche istante muti, nel lugubre corridoio, ma il silenzio era troppo grande. "Bè, io vado a dormire" concluse Simeoni "buona notte!" e si avviò su per la scala, anch'essa illuminata ad ogni pianerottolo da una magra lanterna. Simeoni salì la prima rampa, scomparve dietro l'angolo, si vide soltanto la sua ombra sul muro, poi neanche questa. "Che verme» pensò Drogo. |
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