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Il deserto dei tartari
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Dino Buzzati Il deserto dei tartari |
| 20. Quattro anni di Fortezza bastavano a dare, per consuetudine, il diritto a una nuova destinazione, ma Drogo, per evitare un presidio lontano e rimanere nella propria città, sollecitò ugualmente un colloquio a carattere privato col comandante della Divisione. Era stata la mamma anzi a insistere per questo colloquio; diceva che bisognava farsi avanti per non essere dimenticati, nessuno certo si sarebbe spontaneamente curato di lui, Giovanni, se egli non si fosse mosso; e gli sarebbe toccato probabilmente un altro triste presidio di confine. Fu pure la mamma a brigare, attraverso amici, perché il generale ricevesse il figlio con disposizioni benevole. Il generale se ne stava in un immenso studio, seduto dietro un tavolone, fumando un sigaro; ed era un giorno qualunque, forse di pioggia, forse soltanto coperto. Il generale era vecchiotto e fissò benignamente il tenente Drogo attraverso il monocolo. "Desideravo vederla" disse per primo, come se il colloquio l'avesse voluto lui. "Desideravo sapere come vanno le cose lassù. Filimore, sempre bene?» "Quando l'ho lasciato, il signor colonnello stava benissimo, eccellenza" rispose Drogo. Il generale tacque un momento. Poi scosse il capo paternamente: "Eh, ci avete dato dei bei fastidi, voialtri lassù, della Fortezza! Già... già... quella faccenda dei confini. La storia di quel tenente, adesso non mi ricordo il nome, certo ha fatto molto dispiacere a Sua Altezza". Drogo taceva non sapendo che dire. "Già, quel tenente..." continuava il generale monologando. "Come si chiama? Un nome come Arduino, mi pare.» "Angustina, si chiamava, eccellenza.» "Già Angustina, ah una bella testa! Per una stupida ostinazione compromettere la linea di confine... Non so come abbiano... beh, lasciamo stare!..." concluse recisamente, a dimostrare la propria generosità d'animo. "Ma, mi permetta, eccellenza" osò notare Drogo. "Ma Angustina è quello che è morto!» "Può darsi, sarà benissimo, avrà ragione lei, adesso non ricordo bene» fece il generale, quasi fosse un particolare senza la minima importanza. "Ma la cosa a Sua Altezza è spiaciuta molto, proprio molto!» Tacque e alzò gli occhi interrogativi su Drogo. "Lei è qui" disse in tono diplomatico pieno di sottintesi. "Lei è dunque qui per essere trasferito in città, non è vero? Avete tutti la smania della città, avete, e non capite che è proprio nei presidi lontani che si impara a fare i soldati.» "Eccellenza sì" fece Giovanni Drogo, cercando di controllare le parole e il tono. "Infatti io ho già fatto quattro anni...» "Quattro anni alla sua età! che cosa vuole che siano?..." ribatté ridendo il generale. "Comunque, io non le faccio rimproveri... dicevo che, come tendenza generica, non è forse la migliore per saldare lo spirito degli elementi di comando...» Si interruppe come se avesse perduto il filo. Si concentrò un attimo, riprese: "Comunque, caro tenente, cercheremo di accontentarla. Adesso facciamo venire la sua pratica.» In attesa dei documenti, il generale riprese: "La Fortezza..." disse "la Fortezza Bastiani, vediamo un poco... lo sa lei, tenente, quale è il punto debole della Fortezza Bastiani?» "Non saprei, eccellenza" disse Drogo. "Forse è un po' troppo isolata.» Il generale ebbe un benevolo sorriso di compatimento. "Che strane idee vi fate voi giovani" disse. "Un po' troppo isolata! Vi confesso che non mi sarebbe mai venuto in mente. Il punto debole della Fortezza, vuole che glielo dica? è che c'è troppa gente, troppa gente!» "Troppa gente?» "E appunto per questo" continuò il generale senza rilevare l'interruzione del tenente "appunto per questo è stato deciso di cambiare il regolamento. Che cosa ne dicono, a proposito, quelli della Fortezza?» "Di che cosa, eccellenza? Perdoni.» "Ma se ne stiamo parlando! Del nuovo regolamento, le ho detto" ripeté il generale seccato. "Non ho mai sentito dire, davvero non ho mai..." rispose Drogo interdetto. "Già, forse la comunicazione ufficiale non è stata fatta" ammise rabbonito il generale "ma pensavo che lo sapesse lo stesso, in genere, i militari sono maestri nel sapere per primi le cose.» "Un nuovo regolamento eccellenza?" chiese Drogo incuriosito. "Una riduzione di organico, il presidio quasi dimezzato" fece brusco l'altro. "Troppa gente, dicevo sempre, bisognava sveltirla, questa fortezza!» In quel momento entrò l'aiutante maggiore portando un grosso pacco di pratiche. Sfogliatele su di un tavolo, ne trasse fuori una, quella di Giovanni Drogo, la consegnò al generale che la scorse con occhio di competente. "Tutto bene" disse. "Ma qui manca, mi pare, la domanda di trasferimento.» "La domanda di trasferimento?" domandò Drogo. "Credevo che non ce ne fosse bisogno, dopo quattro anni.» "Di solito no" fece il generale, evidentemente annoiato di dover dare spiegazioni a un subalterno. "Ma siccome questa volta c'è una così forte riduzione di organico, e tutti vogliono andarsene, bisogna badare alla precedenza.» "Ma nessuno lo sa alla Fortezza, eccellenza, nessuno ha fatto ancora domanda...» Il generale si rivolse all'aiutante maggiore: "Capitano" gli chiese "ci sono già domande di trasferimento dalla Fortezza Bastiani?» "Una ventina, credo, eccellenza" rispose il capitano. Che scherzo, pensò Drogo annichilito. I compagni evidentemente gli avevano tenuto la cosa segreta per potergli passare davanti. Persino Ortiz l'aveva così bassamente ingannato? "Perdoni, eccellenza, se insisto" osò Drogo che capiva come la questione fosse decisiva. "Ma mi sembra che l'aver fatto servizio per quattro anni ininterrotti dovrebbe servire di più che una semplice precedenza formale. "I suoi quattro anni non sono niente, caro tenente" ribatté il generale, freddo, quasi offeso "non sono niente in confronto di tanti altri che sono lassù da una vita intera. Io posso considerare il suo caso con la maggiore benevolenza, posso favorire una sua giusta aspirazione, ma non posso venire meno alla giustizia. Bisogna poi calcolare anche i titoli di merito...» Giovanni Drogo era impallidito. "Ma allora, eccellenza" chiese quasi balbettando "allora io rischio di restare lassù tutta la vita.» "...calcolare i titoli di merito" continuò imperturbabile l'altro, sempre sfogliando i documenti di Drogo. "E io vedo qui, per esempio, mi capita proprio sott'occhio, un "ammonimento di norma". "L'ammonimento di norma" non è una cosa grave..." (e intanto leggeva) "ma ecco qua, un caso abbastanza spiacevole, mi pare, una sentinella uccisa per sbaglio...» "Purtroppo, eccellenza, io non...» "Non posso ascoltare le sue giustificazioni, lei lo capisce bene, caro tenente" disse il generale interrompendolo. "Io leggo soltanto quello che c'è scritto sul suo rapporto e ammetto anche che si tratti di una pura disgrazia, può benissimo capitare... ma ci sono suoi colleghi che queste disgrazie le hanno sapute evitare... Io sono disposto a fare il possibile, ho acconsentito a riceverla personalmente, lei vede, ma adesso... Solo se lei avesse fatto la domanda un mese fa... Strano che lei non fosse informato... Uno svantaggio notevole, certo.» L'iniziale tono di bonarietà era scomparso. Ora il generale parlava con una sottile sfumatura annoiata e beffarda, facendo oscillare cattedraticamente la voce. Drogo capì di aver fatto la figura dell'imbecille, capì che i compagni l'avevano fregato, che il generale doveva avere avuto una ben mediocre impressione di lui, e che non c'era più nulla da fare. L'ingiustizia gli dava un bruciore acuto nel petto, dalla parte del cuore. "Potrei anche andarmene, dare le dimissioni" pensò "dopo tutto non morirò di fame, e sono ancora giovane.» Il generale gli fece un cenno familiare con la mano. "Bene, addio, tenente, e su allegro.» Drogo si irrigidì sull'attenti, batté i tacchi, si ritirò all'indietro verso la porta sulla soglia fece un ultimo saluto. |
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