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Il deserto dei tartari
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Dino Buzzati Il deserto dei tartari |
| 16. Sepolto che fu il tenente Angustina, il tempo ricominciò a passare sulla Fortezza, identico a prima. Il maggiore Ortiz domandava a Drogo: "Da quanto tempo oramai?» Drogo diceva: "Sono qui da quattro anni". Era venuto improvvisamente l'inverno, lunga stagione. Sarebbe caduta la neve, prima quattro cinque centimetri; poi, dopo una pausa, uno strato più alto, e poi ancora altre volte, pareva impossibile farne un conto, c'era tanto tempo davanti prima che ritornasse la primavera. (Eppure un giorno molto prima del previsto, molto prima, si sentirà dai bordi delle terrazze scrosciare giù rivoli d'acqua e l'inverno sarà inesplicabilmente finito.) La bara del tenente Angustina, avvolta nella bandiera, giaceva sotto terra in un piccolo recinto a un lato della Fortezza. Sopra c'era una croce di pietra bianca con su scritto il nome. Per il soldato Lazzari, più in là, una croce più piccola di legno. Disse Ortiz: "Io alle volte penso: noi desideriamo la guerra, aspettiamo l'occasione buona, ce la prendiamo con la sfortuna, perché non succede mai niente. Eppure, ha visto? Angustina...". "Vuol dire" fece Giovanni Drogo "vuol dire che Angustina non ha avuto bisogno della fortuna? Che lui è stato buono lo stesso?» "Lui era debole e credo anche fosse malato" disse il maggiore Ortiz. "Stava peggio di tutti noi effettivamente. Lui come noi non ha incontrato il nemico, non c'è stata neanche per lui la guerra. Eppure è morto come in una battaglia. Lo sa, tenente, come è morto?» Drogo disse: "Sì, c'ero anch'io quando il capitano Monti raccontava". Era venuto l'inverno e gli stranieri se n'erano andati. I bei stendardi della speranza, dai riflessi forse di sangue, erano lentamente calati e l'animo era di nuovo tranquillo; ma il cielo era rimasto vuoto, inutilmente l'occhio cercava ancora qualche cosa alle estreme frontiere dell'orizzonte. "Lui ha saputo morire al momento giusto, effettivamente" disse il maggiore Ortiz. "Come se avesse preso una pallottola. Un eroe, c'è poco da dire. Eppure nessuno sparava. Per tutti gli altri che quel giorno erano con lui le probabilità erano identiche, lui non aveva proprio nessun vantaggio, se non forse quello di poter più facilmente morire. Ma in fondo gli altri che hanno fatto? Per gli altri è stata una giornata pressappoco come tutte le altre.» Drogo disse: "Sì, soltanto un poco più fredda". "Sì, un po' più fredda" fece Ortiz. "Anche lei, tenente, del resto, poteva andare con loro, bastava che l'avesse chiesto.» Sedevano sopra una panca di legno, sulla terrazza sommitale della quarta ridotta. Ortiz era andato a trovare il tenente Drogo ch'era di servizio. Fra i due si formava di giorno in giorno una buona amicizia. Essi sedevano sopra una panca, avvolti nelle mantelle, gli sguardi abbandonati a se stessi, in direzione del nord, dove si accumulavano grandi nubi informi piene di neve. Soffiava di quando in quando il vento settentrionale, gelando addosso i vestiti. Le alte cime rocciose, a destra e a sinistra del valico, si erano fatte nere. Drogo disse: "Io credo che domani nevicherà anche qui alla Fortezza". "E' probabile" rispose il maggiore senza alcun interesse e tacque. Drogo disse ancora: "Nevicherà. Continuano a passare corvi". "La colpa è anche nostra" fece Ortiz che inseguiva un ostinato pensiero. "Dopo tutto, ci tocca sempre quel che si merita. Angustina, per esempio, era disposto a pagare caro; noi invece no, è tutta qui forse la questione. Forse noi pretendiamo troppo. Tocca sempre quel che si merita effettivamente.» "E allora?" chiese Drogo "e allora che cosa dovremmo fare?» "Oh, io niente" disse Ortiz con un sorriso. "Io ho aspettato troppo, oramai, ma lei...» "Io che cosa?» "Se ne vada fino a che è in tempo, torni giù alla città, si adatti alla guarnigione. Dopo tutto lei non mi sembra il tipo da disprezzare i piaceri della vita. Farà più carriera che qui, certo. Non si è poi nati tutti per fare gli eroi.» Drogo taceva. "Lei ha lasciato passare già quattro anni" diceva Ortiz. "Ha ottenuto un certo vantaggio per l'anzianità di carriera, ammettiamo pure, ma pensi quanto più le sarebbe servito starsene in città. E' rimasto tagliato fuori del mondo, nessuno si ricorda più di lei, ritorni fino a che è in tempo. Gli occhi fissi per terra, Giovanni ascoltava muto. "Ne ho visti già altri" continuò il maggiore. "A poco a poco hanno preso l'abitudine della Fortezza, sono rimasti imprigionati qua dentro, non sono stati più capaci di muoversi. Vecchi a trent'anni effettivamente.» Drogo disse: "Le credo, signor maggiore, ma alla mia età...» "Lei è giovane" riprese Ortiz "e lo sarà ancora per un pezzo, è vero. Ma io non mi fiderei. Solo che lasci passare altri due anni, bastano anche soli due anni, e tornare indietro le costerebbe troppa fatica.» "La ringrazio" disse Drogo che non era per niente impressionato. "Ma in fondo, qui alla Fortezza, si può sperare in qualche cosa di meglio. Sarà assurdo, eppure anche lei, se è sincero deve confessare...» "Forse sì, purtroppo" disse il maggiore. "Tutti, più o meno, ci ostiniamo a sperare. Ma è un assurdo, basta pensarci un poco (e faceva segno con una mano al nord). Da questa parte mai più potrà venire una guerra. Adesso poi, dopo l'ultima esperienza, chi volete che ci creda ancora sul serio?» Così diceva e intanto si era alzato in piedi, sempre guardando al settentrione, così come quel lontano mattino, sul ciglione del pianoro, Drogo l'aveva visto fissare, incantato, le mura enigmatiche della Fortezza. Quattro anni erano passati da allora, una rispettabile frazione di vita, e niente, assolutamente niente era successo che potesse giustificare tante speranze. I giorni erano corsi via uno dopo l'altro; soldati, che potevano essere nemici, erano comparsi un mattino ai bordi della pianura straniera, poi si erano ritirati dopo innocue operazioni confinarie. La pace regnava sul mondo, le sentinelle non davano l'allarme, nulla lasciava presagire che l'esistenza sarebbe potuta cambiare. Come negli anni passati, con le medesime formalità, ora avanzava l'inverno e i soffi della tramontana producevano contro le baionette un debole fischio. Ed ecco ancora là, il maggiore Ortiz, in piedi sulla terrazza della quarta ridotta, incredulo alle proprie sagge parole, guardare una volta di più la landa del nord, come se lui solo avesse realmente il diritto di guardarla, lui solo il diritto di rimanere lassù, non importa a che scopo, e Drogo invece fosse un bravo ragazzo fuori di posto, che aveva sbagliato i calcoli e avrebbe fatto bene a tornare. |
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