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Il conformista
Alberto Moravia - Il conformista PARTE PRIMA / CAPITOLO PRIMO |
Andò a quella di mezzo, l’aprì e si trovò in un salone in penombra.
C’era una lunga tavola massiccia e, sulla tavola, nel mezzo, un
mappamondo. Marcello girò un poco per questo salone che era
probabilmente in 95 disuso come attestavano le imposte accostate delle finestre e le fodere che ricoprivano i canapé allineati contro le pareti; quindi apri una delle tante porte, affacciandosi in un corridoio buio e angusto, tra due file di scaffali a vetri. In fondo al corridoio si intravvedeva una porta socchiusa da cui filtrava un po’ di luce. Marcello si avvicinò, esitò e poi, pian piano, spinse un poco la porta. Non lo guidava la curiosità bensì il desiderio di trovare un usciere dal quale farsi indicare la stanza che cercava. Mettendo l’occhio alla fessura si accorse che il suo sospetto di aver sbagliato luogo non era infondato. Davanti a lui si stendeva una lunga e stretta stanza, illuminata blandamente da una finestra velata di giallo. Davanti alla finestra c’era una tavola e seduto alla tavola, le spalle alla finestra, di profilo, un uomo giovane, dal viso largo e massiccio, dalla persona corpulenta. In piedi contro il tavolo, il dorso verso di lui, Marcello vide una donna vestita di un abito leggero a grandi fiori neri su fondo bianco, un largo cappello nero di trine e di velo sul capo. Era molto alta e molto snella alla vita, ma larga di spalle e di fianchi, con gambe lunghe dalle magre caviglie. Ella si chinava verso il tavolo e parlava piano all’uomo che l’ascoltava seduto, fermo, di profilo, guardando non a lei ma alla propria mano che, sul piano del tavolo, si gingillava con una matita. Poi ella venne a mettersi a fianco della poltrona, incontro all’uomo, il dorso appoggiato al tavolo, faccia alla finestra, in un atteggiamento più confidenziale; ma il cappello nero inclinato sull’occhio impedì che Marcello ne distinguesse il viso. Ella esitò, poi si chinò di sbieco e con un gesto goffo, levando una gamba, come ci si piega sotto una fontana per riceverne in bocca lo zampillo, cercò con le sue le labbra dell’uo96. mo, che si lasciò baciare senza muoversi né dare a vedere per alcun segno che il bacio gli fosse gradito. Ella si rovesciava indietro, nascondendo il proprio viso e quello deiruomo con la larga tesa del cappello, poi vacillò e avrebbe perso l’equilibrio se l’uomo non l’avesse trattenuta cingendole la vita con un braccio. Adesso ella era in piedi, nascondendo con la persona l’uomo seduto, forse gli carezzava il capo. Il braccio dell’uomo le circondava tuttora la vita, quindi parve allentare la stretta e la mano spessa e tozza, come tirata giù dal suo peso, scivolò sulla natica della donna e vi rimase aperta, con le dita larghe, simile ad un granchio o ad un ragno posato su una superficie liscia e sferica che ne respinga la presa. Marcello riaccostò la porta. Tornò indietro, per il corridoio, nel salone del mappamondo. Quanto aveva veduto confermava la fama di libertino del ministro, poiché era appunto il ministro l’uomo seduto intravvisto nella stanza e Marcello l’aveva subito riconosciuto; ma stranamente, nonostante la sua inclinazione al moralismo, non intaccava affatto il fondo delle sue convinzioni. Marcello non provava alcuna simpatia per quel ministro mondano e donnaiolo, anzi gli era antipatico; e l’intrusione della vita erotica in quella dell’ufficio gli pareva in sommo grado sconveniente. Ma tutto questo non intaccava neppure minimamente la sua credenza politica. Era come quando gli veniva detto, da persone degne di fede, che altri personaggi importanti rubavano o erano incompetenti o si giovavano delle influenze politiche per fini personali. Egli registrava queste notizie con un senso quasi tetro di indifferenza come cose che non lo riguardavano, dal momento che egli aveva fatto una volta per tutte la sua scelta e non intendeva cambiarla. Sentiva pure 7 - Il conformista. 97 che tali cose non lo stupivano perché, in certo senso, le aveva scontate, da tempo immemorabile, con la sua precoce conoscenza dei caratteri meno amabili dell’uomo. Ma, soprattutto, avvertiva che tra la fedeltà al regime e il moralismo assai rigido che informava la propria condotta, non poteva esserci alcun rapporto: le ragioni di quella fedeltà avevano origini piu profonde di qualsiasi criterio morale e non potevano essere scosse da una mano che palpeggiasse un fianco femminile in un ufficio di stato o da un furto o da qualsiasi altro delitto o errore. Quali poi fossero queste origini, non avrebbe saputo dirlo con precisione; tra esse e il suo pensiero si frapponeva il diaframma smorto e opaco della sua pervicace malinconia. Impassibile, calmo, paziente, andò ad un’altra porta del salone, intravvide un altro corridoio, si ritirò, provò una terza porta e si affacciò finalmente nell’anticamera che cercava. Gente sedeva sui canapé torno torno le pareti, uscieri gallonati stavano in piedi presso le soglie. Egli comunicò a bassa voce ad uno di questi uscieri il nome del funzionario che desiderava visitare e poi andò a sedersi su uno dei canapé. Per ingannare l’attesa, spiegò di nuovo il giornale. La notizia della vittoria in Spagna era stampata su tutte le colonne c questo, come si accorse, gli dava fastidio come un eccesso di dubbio gusto. Lesse di nuovo il dispaccio in neretto che annunziava la vittoria e poi passò ad una lunga corrispondenza in corsivo ma la lasciò quasi subito perché l’irritava lo stile manierato e falsamente soldatesco dell’inviato speciale. Indugiò un momento a domandarsi come avrebbe scritto lui stesso quell’articolo; e si sorprese a pensare che, se fosse dipeso da lui, non soltanto l’articolo dalla Spagna ma anche tutti gli altri aspetti del regi98 me, dai meno importanti ai più vistosi, sarebbero stati completamente diversi. In realtà, pensò, non c’era quasi nulla nel regime che non gli dispiacesse profondamente; e tuttavia questa era la sua strada e ad essa doveva restare fedele. Apri di nuovo il giornale e leggicchiò qualche altra notizia, evitando con cura gli articoli patriottici e di propaganda. Finalmente levò gli occhi dal giornale e si guardò intorno. Nel salone, in quel momento, non era restato che un vecchio signore, dalla testa rotonda e canuta, e dal viso rubizzo improntato ad un’espressione insieme sfrontata, cupida e furba. Vestito di chiaro, di una giubba sportiva e giovanile spaccata sul dorso, certe grosse scarpe con la suola di gomma ai piedi, una cravatta vivace sul petto, costui si dava l’aria di esser di casa nel ministero, camminando in su e in giù per il salone, e interpellando con disinvolta e scherzosa impazienza gli uscieri ossequienti fermi sulle soglie delle porte. Poi una delle porte si apri e ne usci un uomo di mezza età, calvo, magro salvo che per il ventre prominente, svuotato e giallo in viso, gli occhi perduti in fondo a larghe occhiaie nere, un’espressione pronta, scettica e spiritosa sui tratti aguzzi. Il vecchio gli andò subito incontro con un’esclamazione di giocosa protesta, l’altro gli fece un saluto cerimonioso e deferente, e poi il vecchio, con gesto confidenziale, prese l’uomo dal viso giallo non per un braccio ma addirittura per la vita, come una donna, e camminandogli accanto attraverso il salone, incominciò a parlargli a bassissima voce, in tono sussurrato e urgente. Marcello aveva seguito la scena con occhio indifferente; quindi, tutto ad un tratto, si accorse con sorpresa di provare un odio forsennato contro il vecchio, non sapeva neppure lui perché. Marcello non ignorava che in qualsiasi momento e 99 per i più diversi motivi, imprevisto come un mostro che emerga da un mare immobile, poteva affiorare, sulla morta superficie della sua consueta apatia, uno di questi accessi di odio; ma ogni volta si stupiva come di fronte ad un aspetto sconosciuto del proprio carattere che smentiva tutti gli altri noti e sicuri. Quel vecchio, per esempio, sentiva che avrebbe potuto ucciderlo o farlo uccidere facilmente; anzi, che desiderava ucciderlo. Perché? Forse, pensò, perché lo scetticismo, il difetto che odiava di più, era cosi chiaramente dipinto su quel viso rubicondo. O perché la giubba aveva lo spacco dietro e il vecchio, tenendo la mano in tasca, ne sollevava un lembo scoprendo la parte posteriore dei pantaloni, floscia e troppo ampia cosi da dare un senso ripugnante di manichino da vetrina di sarto. Comunque l’odiava e con tanta e cosi insoffribile intensità che preferì, alla fine, abbassare di nuovo gli occhi sul giornale. Quando li rialzò, dopo un lungo momento, il vecchio e il suo compagno erano scomparsi e il salone era deserto. Di li a poco, uno degli uscieri venne a sussurrargli che poteva passare e Marcello si alzò e lo segui. L’usciere apri una delle porte e lo lasciò passare. Marcello si trovò in una vasta stanza dal soffitto e dalle pareti affrescate, in fondo alla quale era una tavola sparsa di carte. Dietro la tavola sedeva l’uomo dal viso giallo, già intravvisto nel salone; di lato, un altro uomo che Marcello conosceva bene, il suo immediato superiore al Servizio Segreto. All’apparire di Marcello l’uomo dal viso giallo, che era uno dei segretari del ministro, si levò in piedi; l’altro, invece, rimase seduto salutandolo con un cenno del capo. Quest’ultimo, un vecchio magro dall’aspetto militaresco, scarlatto e legnoso in viso, con due baffi di una nerezza e di un’ispidezza posticcia di maschera, ioo formava, come pensò, un contrasto completo con il segretario. Era, infatti, come sapeva, un uomo ligio, rigido, onesto, avvezzo a servire senza discutere, ponendo quello che considerava il proprio dovere al disopra di tutto, perfino della coscienza; mentre il segretario, per quanto ricordava, era uomo di specie piu recente e tutta diversa: ambizioso e scettico, mondano, con il gusto deH’intrigo spinto fino all’efferatezza, fuori di ogni obbligo professionale e di ogni limite di coscienza. Al vecchio andava naturalmente tutta la simpatia di Marcello, anche perché gli pareva di ravvisare in quel viso rosso e sciupato la stessa oscura malinconia che l’opprimeva cosi sovente. Forse, come lui, il colonnello Baudino avvertiva il contrasto tra una fedeltà immobile e quasi stregata che non aveva nulla di razionale e gli aspetti troppo spesso deplorevoli della realtà quotidiana. Ma forse, pensò ancora guardando al vecchio, era soltanto un’illusione; e lui, come avviene, prestava al superiore i propri sentimenti per simpatia, quasi sperando di non esser solo a provarli. Il colonnello disse seccamente, senza guardare Marcello né il segretario : « Questo è il dottor Clerici di cui ebbi a parlarvi qualche tempo fa » ; e il segretario, con una prontezza cerimoniosa e quasi ironica, sporgendosi sulla tavola, gli tese la mano e l’invitò a sedersi. Marcello sedette, il segretario sedette a sua volta, prese una scatola di sigarette e l’offri prima al colonnello che rifiutò, e poi a Marcello che accettò. Quindi, dopo aver acceso anche lui una sigaretta, disse: «Clerici, mi fa molto piacere conoscervi... il colonnello, qui, non fa che cantare le vostre lodi... a quanto pare siete, come si dice, un asso ». Egli sottolineò il «come si dice» con un sorriso e poi prosegui: « Abbiamo esaminato insieme con il ministro il ioi vostro piano c l’abbiamo giudicato senz’altro ottimo... voi conoscete bene il Quadri ? » « Si », disse Marcello, « era mio professore all’università ». « E siete sicuro che il Quadri ignora la vostra qualità di funzionario? » « Lo credo ». « La vostra idea di simulare una conversione politica allo scopo di ispirare fiducia ed entrare nella loro organizzazione e magari farvi affidare un incarico in Italia », proseguì il segretario abbassando gli occhi verso la tavola, su un appunto che aveva davanti a sé, « è buona... anche il ministro è d’accordo che qualche cosa del genere va tentato senza indugio... quando ve la sentireste di partire, Clerici?» « Appena sarà necessario ». « Molto bene », disse il segretario, un po’ sorpreso tuttavia, come se si fosse aspettato una risposta diversa, «benissimo... tuttavia c’è un punto che occorre chiarire... voi vi accingete a portare a termine una missione, diciamo così, piuttosto delicata e pericolosa... si diceva qui col colonnello che per non dare nell’occhio dovreste trovare, escogitare, inventare qualche pretesto plausibile per la vostra presenza a Parigi... non dico che sappiano chi siete né che siano in grado di scoprirlo... ma, insomma, le precauzioni non sono mai troppe... tanto più che il Quadri, come ci dite nella vostra relazione, non ignorava a suo tempo i vostri sentimenti di lealtà verso il regime... ». « Se non ci fossero questi sentimenti », disse Marcello asciutto, « non potrebbe però neppure esserci la conversione... ». « Giusto, giustissimo... ma non si va apposta a Parigi per presentarsi da Quadri e dirgli: eccomi qui... bisogna invece che diate l’impressione di trovarvi a 102 Parigi per motivi privati, non politici, insomma... e di approfittare dell’occasione per rivelare a Quadri la vostra crisi spirituale... bisogna », concluse ad un tratto il segretario levando gli occhi verso Marcello, « che abbiniate la missione con qualche cosa di personale, di non ufficiale». Il segretario si voltò verso il colonnello e soggiunse: «Non vi pare colonnello? » « È anche il mio parere », disse il colonnello senza levare gli occhi. E soggiunse dopo un momento: « Ma soltanto il dottor Clerici può trovare il pretesto che gli conviene ». Marcello chinò il capo senza pensar nulla. Gli pareva che non ci fosse nulla da rispondere, per il momento, perché un tal pretesto andava studiato con calma. Stava per rispondere : « Datemi due o tre giorni di tempo e intanto ci penserò », quando, improvvisamente, la lingua gli parlò quasi suo malgrado: « Io mi sposo tra una settimana... si potrebbe abbinare la missione al viaggio di nozze». Questa volta, la sorpresa del segretario, seppure subito ricoperta da un pronto entusiasmo, fu evidente e profonda. Del tutto impassibile, come se Marcello non avesse parlato, rimase, invece, il colonnello. «Molto bene... benissimo», esclamò il segretario con aria sconcertata, « voi vi sposate... non si poteva trovare un pretesto migliore... il classico viaggio di nozze a Parigi». « Si », disse Marcello senza sorridere, « il classico viaggio di nozze a Parigi ». Il segretario temette di averlo offeso. « Volevo dire che Parigi è proprio il luogo adatto per un viaggio di nozze... purtroppo, non sono sposato... ma se dovessi sposarmi, credo che anch’io andrei a Parigi... ». 103 Marcello questa volta non parlò. Gli avveniva spesso di rispondere in questo modo a coloro che gli riuscivano antipatici: con un silenzio completo. Il segretario, per rinfrancarsi, si voltò verso il colonnello: «Avevate ragione voi colonnello... soltanto il dottor Clerici poteva trovare un simile pretesto... noi, anche se l’avessimo trovato, non avremmo potuto suggerirglielo ». Questa frase, pronunziata in tono ambiguo e semiserio, era, come pensò Marcello, a doppio taglio: poteva essere davvero una lode, seppure un po’ ironica, come a dire: «diavolo, che fanatismo»; e poteva invece essere l’espressione di un sentimento di stupito disprezzo: «che servilità... non rispetta neppure le proprie nozze ». Probabilmente, come pensò, era ambedue le cose, poiché era chiaro che per il segretario stesso il confine tra fanatismo e servilità non era segnato con precisione: ambedue mezzi di cui, volta per volta, si serviva, per raggiungere sempre gli stessi fini. Notò con compiacimento che anche il colonnello rifiutava al segretario il sorriso che colui sembrava impetrare con la sua frase a doppio senso. Segui un momento di silenzio. Adesso Marcello guardava fisso negli occhi al segretario, con una immobilità e una mancanza di soggezione che sapeva e voleva sconcertanti. E, infatti, il segretario non resse lo sguardo, e, tutto ad un tratto, appoggiandosi con le due mani sul piano della tavola, si levò in piedi. « Bene... allora voi colonnello vi metterete d’accordo con il dottor Clerici per le modalità della missione... voi », egli prosegui volgendosi a Marcello, « dovete però sapere che avete tutto l’appoggio del ministro e mio... anzi», egli soggiunse con affettata ca104 sualità, «il ministro ha esternato il desiderio di conoscervi personalmente ». Anche questa volta Marcello non apri bocca, limitandosi a levarsi in piedi e a fare un leggero inchino deferente. Il segretario, che si era forse aspettato parole di gratitudine, ebbe un nuovo movimento di sorpresa, subito represso: «Restate, Clerici... il ministro mi ha ordinato di portarvi direttamente da lui ». Il colonnello si alzò e disse: «Clerici, voi sapete dove trovarmi». Egli tese la mano al segretario, ma costui volle a tutti i costi accompagnarlo fino alla porta, con una cerimoniosità premurosa e ossequiente. Marcello li vide stringersi la mano e poi il colonnello scomparve e il segretario tornò verso di lui: « Venite, Clerici... il ministro è occupatissimo, ciononostante tiene assolutamente a vedervi e a manifestarvi il suo compiacimento... è la prima volta, nev- vero, che siete introdotto dal ministro ? » Queste parole furono pronunziate attraversando una minore anticamera attigua alla stanza del segretario. Il quale andò ad una porta, l’apri, scomparve facendogli cenno di aspettare e poi, quasi subito, si riaffacciò invitandolo a seguirlo. Apparve a Marcello, entrando, la stessa stanza lunga e stretta che poco prima aveva osservato attraverso la fessura della porta; soltanto, adesso, la stanza si presentava ai suoi sguardi per largo, con la tavola di fronte a lui. Dietro la tavola, sedeva l’uomo dalla faccia larga e massiccia e dalla persona corpulenta che egli aveva spiato mentre si lasciava baciare dalla donna dal grande cappello nero. Notò che la tavola era sgombra, lucida da specchiarvisi, senza carte, con un grande calamaio di bronzo e una cartella chiusa di cuoio scuro. «Eccellenza, questo è il dottor Clerici... », disse il segretario. 105 Il ministro si levò in piedi tendendo la mano a Marcello, con una cordialità premurosa ancor più spiccata di quella del segretario, ma priva affatto di amenità, anzi decisamente autoritaria. «Come state Clerici? » Parlava pronunziando con cura e lentezza le parole, imperiosamente, come se fossero state piene di un significato particolare. « Mi è stato parlato di voi in termini elogiativi... il regime ha bisogno di uomini come voi». Adesso il ministro si era riseduto, e, toltosi il fazzoletto di tasca, si soffiava il naso, pur esaminando certe carte che il segretario gli sottoponeva. Per discrezione, Marcello si ritirò verso l’angolo più lontano della stanza. Il ministro guardava le carte mentre il segretario gli sussurrava piano neU’orecchio, quindi guardò il fazzoletto e Marcello vide che il fazzoletto di lino bianco era macchiato di rosso e ricordò che, al momento di entrare, la bocca del ministro gli era sembrata più rossa del naturale: il rossetto della donna dal cappello nero. Pur continuando ad esaminare le carte che il segretario gli mostrava, senza scomporsi né preoccuparsi di essere osservato, il ministro prese a fregarsi fortemente la bocca con il fazzoletto, guardandolo ogni tanto, per vedere se il rossetto resistesse ancora. Finalmente l’esame delle carte e quello del fazzoletto di nuovo la mano a Marcello. «Arrivederci Clerici, finirono insieme, e il ministro si levò in piedi e tese come vi avrà già detto il mio segretario, la missione alla quale vi accingete ha il mio appoggio incondizionato, completo». Marcello si inchinò, strinse la mano spesso e corta, e segui il segretario fuori della stanza. Tornarono nella stanza del segretario. Costui posò sulla tavola le carte esaminate dal ministro e poi accompagnò Marcello alla porta. "Allora, Clerici, in bocca al lupo," egli disse con un sorriso, "e auguri per le nozze." Marcello ringraziò con un cenno del capo, un inchino e una frase indistinta. Il segretario, con un ultimo sorriso, gli strinse la mano. Quindi la porta si chiuse. |
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L’utile e il dilettevole / 2