Italiano
index_italian_m
Gelsomino
Ïåñíè
Treccani
Òåêñòû
Il
conformista Pinocchio
![]() |
Giovanni Verga Novelle 1887 |
| LE STORIE DEL CASTELLO DI TREZZA. |
| IX. Donna Violante non chiuse occhio in tutta la notte. Stava col gomito sul guanciale, fissando uno sguardo intraducibile, immobile, instancabile, su quel marito che dormiva tranquillo accanto a lei, di cui l’alito avvinazzato le sfiorava il viso, e il quale l’avrebbe stritolata sotto il suo pugno di ferro, se avesse potuto immaginare quali fantasmi passassero per gli occhi sbarrati di lei. E all’indomani, colle guance accese di febbre, e il sorriso convulso, gli disse: — Non vi pare che sarebbe tempo di cercare un altro paggio, don Garzia? — Perchè? — Corrado non è più un ragazzo; e voi lasciate troppo spesso sola vostra moglie, perchè egli possa starle sempre vicino senza dar da ciarlare ai vostri nemici. Il barone aggrottò le ciglia, e rispose: — Amici e nemici mi conoscono abbastanza perchè nè la cosa nè le ciarle siano possibili. Sugli occhi della donna lampeggiò un sorriso da demone. — E poi, aggiunse Don Garzia, vi stimo abbastanza per temere che voi, nobile e fiera, possiate scendere sino ad un paggio. E buttandole galantemente le braccia al collo accostò le sue labbra a quelle di lei. Ella, bianca come una statua, gli rese il bacio con insolita energia. Nondimeno, malgrado l’alterigia baronale, e la fiducia nella sua possanza, Don Garzia era tal vecchio peccatore da non dormir più tranquillo i suoi sonni una volta che gli era stata messa nell’orecchio una pulce di quella fatta, e, andato a trovar Corrado: — Orsù, bel giovane, gli disse, eccoti questo borsellino pel viaggio, e queste due righe di benservito, e vatti a cercar fortuna altrove. Il giovane rimase sbalordito, e non potendo aspettarsi da che parte gli venisse il congedo, temette che qualcosa del terribile segreto fosse trapelata; e tremante, non per sè, ma per colei di cui avea sognato tutta la notte gli occhi lucenti, e l’ebbrezze convulse: — Almeno, mio signore, balbettò, piacciavi dirmi, in grazia, perchè mi scacciate! — Perchè sei già in età da guadagnarti il pane dove c’è da menar le mani, invece di stare a grattar la chitarra, ed è tempo di pensare a vestir l’arnese, piuttosto che farsettino di velluto. — Orbè, messere, lasciatemi al vostro servizio, in mercè, se in nulla vi dispiacqui, e in quell’ufficio che meglio vi tornerà. Il barone si grattò il naso, come soleva fare tutte le volte che gli veniva voglia di assestare un ceffone. — Via! gli disse con tal piglio da non dover tornar due volte sulle cose dette; levamiti dai piedi, mascalzone; chè dei tuoi servigi non so che farmene, e bada che se la sera di domani ti trova ancora nel castello non ne uscirai dalla porta. Il povero paggio aveva perduto la testa; malgrado la gran paura che mettevagli addosso il suo signore tentò tutti i mezzi per cercar di vedere quella donna che gli avea irradiato di luce la vita in un attimo, e che amava più della vita. Ma la baronessa lo evitava, come avesse voluto fuggire se stessa, o le sue memorie. Tutti i progetti e i timori più assurdi si affollarono nella testa delirante del giovane innamorato, e credendo la vita di donna Violante minacciata dal barone, decise di far di tutto per salvarla. Finalmente, mentre sollevava una tenda sotto la quale ella passava, fiera, calma e impenetrabile, le sussurrò sottovoce: — Se il mio sangue può giovarvi a qualcosa, prendetevelo, madonna! Ella non si volse, non rispose, e passò oltre. Ei rimase come fulminato. |
Le storie del castello di Trezza
Italiano Giovanni Verga
Novelle