D

 

 

 

D (EUFONICA)

 

Si definisce eufonica la d delle forme ed (per e) e ad (per a). La definizione è legata all’idea che questa d serva a creare “un bel suono” (eufonico viene dal greco euphonìa ‘suono armonico’), evitando la sequenza di due vocali consecutive. 

In realtà, l’effetto di cacofonia (ovvero ‘suono sgradevole’) si verifica soltanto quando c’è una sequenza di due vocali uguali. Per questo, nell’italiano contemporaneo – specie in quello scritto – è consigliabile ricorrere alle forme ed e ad solo quando la parola successiva comincia con la stessa vocale

ed eccoci, ed era, ed Enrico, ed elencò ma e aprì, e obiettò, e inverno, e urlava 

ad arrivare, ad avere, ad Ancona, ad altro maa esibirmi, a indicare, a Ostia, a uso e consumo

Fanno eccezione, perché ormai consolidate dall’uso, sequenze fisse come tu / lui / lei ed io, ad esempio, ad eccezione, fino ad ora, dare ad intendere. 

Le forme con d eufonica vanno evitate anche in altri casi.

• Prima di un inciso

E, ogni volta che arriva, è sempre la stessa storia

C’erano Maria, Francesco e – ecco la sorpresa – Erica

• Davanti all’h aspirata di parole o nomi stranieri (soprattutto inglesi e tedeschi)

Come stiamo a hamburger?

I registi Fassbinder e Herzog

• Quando la presenza nella parola successiva di altre t e d (e in particolare delle sequenze ad o ed) renderebbe l’aggiunta della d non eufonica, ma cacofonica 

Fino a adesso (non fino ad adesso)

Case e edifici (non case ed edifici).

 

 USI 

Fino a non molto tempo fa, la d eufonica veniva aggiunta anche alla congiunzione o, dando vita alla forma od, in disuso ormai da qualche decennio

Versi tronchi od ossitoni (P. P. Pasolini, Passione e ideologia).

 

 STORIA 

Secondo alcuni la d eufonica non è un elemento artificiale, ma trova la sua origine nelle consonanti finali delle basi latine et (da cui l’italiano e), ad (italiano a) e aut (italiano o). Le regole dell’eufonia e della cacofonia, peraltro, sono soggette al gusto e alla sensibilità del tempo e variano dunque di epoca in epoca. Nei secoli passati, la d eufonica poteva essere usata anche con le forme (ned), se (sed) e che (ched)

Né fu ned è né non serà sua pare (Giacomo da Lentini, Poesie)

Sed e’ non s’ardessero, e’ se ne farebbe vèrmini (Marco Polo, Milione)

Voglio ched el conosca la falsanza (Iacopone da Todi, Laude)

Valore eufonico poteva avere anche l’uso della r in forme come sur per su 

dalla benda usciva sur una tempia una ciocchettina di neri capelli (A. Manzoni, I promessi sposi).

 

 

DA (PREPOSIZIONE)

 

La preposizione semplice da collega tra loro due elementi di una frase o di due frasi diverse. Quando si trova prima di un articolo determinativo, si fonde con esso, dando origine alle preposizioni articolate dal, dallo, dalla, dai, dagli, dalle.

La preposizione da svolge diverse funzioni.

• Può collegare due elementi della stessa frase, introducendo diversi tipi di complementi indiretti

L’aereo arriva da Malpensa (= complemento di moto da luogo)

Andrò da Paolo (= complemento di moto a luogo)

Il pipistrello entrò dalla finestra (= complemento di moto per luogo)

Mangerò da Giuseppe (= complemento di stato in luogo)

Brancaleone da Norcia (= complemento di origine o provenienza)

Sono stato derubato da un ladro e Il computer è stato colpito da un virus (= complementi di >>>agente e causa efficiente)

Non ci vedo più dal nervoso (= complemento di causa)

Tuo fratello è diverso da te (= complemento di allontanamento o separazione)

La trasmissione riprenderà da sabato prossimo (= complemento di >>>tempo determinato

Siamo fermi da ore (= complemento di tempo continuato)

Un cellulare da 50 euro (= complemento di prezzo o stima)

Comportarsi da stupidi (= complemento di modo o maniera)

Occhiali da sole e macchina da scrivere (= complemento di >>>fine o scopo)

Un manager dagli occhi di ghiaccio (= complemento di >>>qualità)

Zoppo da una gamba (= complemento di limitazione)

Da adolescente ero molto grasso (= complemento predicativo del soggetto)

• Può collegare due frasi distinte, introducendo diversi tipi di proposizioni implicite

Domani gli porterò l’ultimo capitolo della tesi da leggere (= proposizione >>>finale implicita)

Così bella da far perdere la testa (= proposizione consecutiva implicita).

 

 USI 

Nei complementi di stato in luogo e moto da luogo, la preposizione da si usa quasi sempre con: 

-nomi propri di persona

Vado a studiare da Chiara

-nomi di professione, carica

Mi trovo dal direttore

-pronomi personali

Passi da me?

-nomi di locali

Pranzo da Savini

Una probabile spiegazione sta nel fatto che in questo caso da indica simbolicamente una specie di ‘spazio proveniente, emanato da’ con un valore anche affettivo e personale.

 

 

D’ACCORDO O DACCORDO?

 

La forma corretta è d’accordo, con la preposizione semplice di soggetta a elisione prima del sostantivo accordo.

La forma daccordo, risultato di una univerbazione, è oggi da considerarsi errata.

 

 

DA, DA’ O DÀ?

 

Si tratta di tre omonimi che nella lingua scritta vengono distinti tramite l’uso dell’apostrofo o dell’accento.

Da, senza apostrofo né accento, è la preposizione semplice

Scappo via da Roma

Da’, con l’apostrofo, è la 2a persona dell’imperativo del verbo dare (troncamento di dai)

Da’ una mano a tuo fratello!

, con l’accento, è la 3a persona dell’indicativo presente del verbo dare

La sua presenza gli sicurezza.

 

 USI 

Per la 2a persona dell’imperativo è possibile usare, accanto alla grafia da’, anche la forma piena dai

Lasciale stare tutte queste regole nuove, dai retta a me (R. Petri, Esecuzioni)

La forma dai è l’unica possibile in locuzioni come: 

- e dai (anche con univerbazione: eddai)

Eddai che gliela abbiamo ormai fatta (P. V. Tondelli, Altri libertini)

- dai e dai (usata a volte anche come sostantivo: il dai e dai)

Dai e dai ogni giorno con il tuo sudore una pietra dopo l’altra alto arriverai (Canzone di san Damiano)

nel dai e dai delle meretrici (I. Fossati, Oh, che sarà).

 

 STORIA 

L’imperativo da’ ha sostituito la grafia da, in uso ancora nell’Ottocento

Or da retta a’ miei sensi (Il fiore della letteratura greca).

 

VEDI ANCHE   

accento

apostrofo

 

 

D’ALTRONDE O DALTRONDE?

 

La forma corretta è d’altronde, con la preposizione semplice da soggetta a elisione prima dell’avverbio di luogo altronde.

La forma daltronde, risultato di una univerbazione, è oggi da considerarsi errata.

 

 

DAVANTI O DAVANTI A?

 

Quando l’avverbio davanti è usato in funzione preposizionale, è preferibile farlo seguire dalla preposizione a 

Si è messo davanti allo schermo

Davanti a un tale paesaggio restò a bocca aperta

La forma davanti qualcosa non è da considerarsi scorretta, ma piuttosto antiquata, anche se è stata usata largamente fino alla prima metà del Novecento

davanti le baracche, ci sono gli steccatelli (A. Moravia, Nuovi racconti romani)

Prima di un pronome personale, in ogni caso, si deve usare sempre davanti a

Davanti a me c’è un’altra vita (L. Battisti, Pensieri e parole)

Entrambe le forme possono comunque vantare una ricca tradizione letteraria

Quando giungon davanti a la ruina (D. Alighieri, Inferno)

Davanti San Guido (G. Carducci, Rime nuove).

 

 

DE-

 

De- è un prefisso derivato dal latino de-. Indica per lo più separazione, sottrazione, e si trova in alcune parole composte in cui il secondo elemento può essere: 

- un sostantivo 

decespugliatore, defibrillatore, deforestazione

- un aggettivo 

deforme, desueto

- un participio presente 

decolorante, defatigante, defogliante

- un participio passato

decaffeinato, degenerato, defilato

- un verbo 

derubare, defenestrare, depistare

Il prefisso de- è usato soprattutto nella formazione di verbi parasintetici, a partire da un sostantivo

decodificare (de + codice), derubricare (de + rubrica)

o da un aggettivo

defascistizzare (de + fascista), destabilizzare (de + stabile).

 

 

DECA-

 

Deca- è un prefissoide derivato dal greco deka ‘dieci’ e indica il numero dieci in parole composte appartenenti soprattutto al linguaggio scientifico e tecnico

decaedro (‘poliedro con dieci facce’)

decagono (‘poligono con dieci vertici’)

decasillabo (‘verso con dieci sillabe’)

Davanti al nome di un’unità di misura, ne moltiplica il valore per dieci

decagrammo, decametro, decalitro.

 

 USI 

Piuttosto diffusa, in particolare nell’Italia settentrionale, è la forma maschile sostantivata invariabile deca, usata per indicare in modo scherzoso la banconota da 10 euro (un tempo da 10.000 lire)

Con un deca non si può andar via / non ci basta neanche in pizzeria (883, Con un deca).

 

 

DE I PROMESSI SPOSI O DEI PROMESSI SPOSI? 

 

Quando il titolo di un libro o di un’opera dell’ingegno in generale (quadro, composizione musicale, film, canzone) inizia con l’articolo determinativo, si è soliti fondere la preposizione con l’articolo, dando luogo alla preposizione articolata corrispondente

Nel 1825-27 Manzoni dava alle stampe la prima edizione dei Promessi sposi (C. Marazzini, Da Dante alla lingua selvaggia)

La forma de I Promessi sposi è sconsigliata, benché a lungo in uso, perché la sequenza de i non esiste nell’italiano contemporaneo. Ugualmente sconsigliato per lo stesso motivo è l’uso della preposizione semplice di

di I Promessi sposi

Il problema, invece, non si presenta se il titolo inizia con l’articolo indeterminativo

Il protagonista di Un tranquillo week end di paura

L’obiezione all’uso della preposizione articolata è che il titolo esatto dell’opera viene alterato dalla fusione dell’articolo, per cui nella forma dei Promessi sposi non si capirebbe se il titolo è Promessi sposi o I Promessi sposi. Come alternativa, si può usare l’apposizione libro, romanzo, opera

il romanzo I Promessi sposi

Anche se talora la soluzione potrebbe sembrare forzata o pedante; è dunque consigliabile quando il titolo è particolarmente raro o difficile

nel libro All’insegna del Buon Corsiero di Silvio D’Arzo (in questo caso, se si usasse la forma Nell’Insegna del Buon Corsiero non si capirebbe il titolo esatto).

 

 

DEMO-

 

Demo- è un prefissoide che può avere due diversi significati. 

• In alcune parole composte derivate dal greco (come democrazia) o formate modernamente conserva il suo valore etimologico riferendosi quindi al popolo (dal greco demos ‘popolo’)

demografia (‘scienza che studia la popolazione’)

demologia (‘scienza che studia il folclore popolare’)

• In parole del linguaggio politico e giornalistico di formazione recente, vale invece come abbreviazione di democratico

demoliberale (‘democratico di ispirazione liberale’) 

democristiano (‘democratico-cristiano, cioè del partito della Democrazia Cristiana’).

 

 

DENOMINAZIONE, COMPLEMENTO DI

 

Il complemento di denominazione è un complemento indiretto introdotto dalla preposizione di, anche in forma di preposizione articolata. Indica il nome proprio di un luogo, una persona, un mese, un giorno quando è preceduto da nomi generici come città, isola, penisola, regione, comune, repubblica, regno, principato; nome, cognome; mese, giorno

la città di Udine, la regione del Friuli Venezia Giulia, il nome di Flavio, il mese di marzo

Con le parole nome, cognome, soprannome, pseudonimo ecc. (ma anche regione) può seguire direttamente il nome proprio

la regione Sicilia, il nome Chiara.

 

 

DERIVATE, PAROLE

 

1. Le parole derivate (dette anche complesse) sono parole che derivano da un altro vocabolo italiano. La derivazione può avvenire in diversi modi.

• Mediante prefisso 

educare > diseducare 

• Mediante suffisso 

carta> cartiera

• Mediante prefisso e suffisso (parasintetici, verbi

colonna> incolonnare

• Mediante derivazione immediata (cioè senza suffisso), soprattutto per la creazione di nomi astratti derivati da un verbo 

congiurare> congiura

svagare> svago

La derivazione è una delle maggiori risorse per l’arricchimento continuo del lessico, ed è operante a partire da diverse basi.

• Sostantivi derivanti da verbi 

spargere> spargimento

tessere> tessitore

• Sostantivi derivanti da aggettivi o da altri sostantivi 

sicuro> sicurezza

droga> drogheria

• Aggettivi derivanti da sostantivi o da verbi 

padrone> padronale

notare> notevole

• Avverbi derivanti da aggettivi 

abile> abilmente

• Verbi derivanti da sostantivi o da aggettivi 

nodo> annodare

facile> facilitare

• Verbi, aggettivi, sostantivi derivanti dai rispettivi contrari 

vestire> svestire

logico > illogico

onore > disonore

Altre volte, nella formazione di aggettivi provenienti da nomi, si ricorre a una base latina o greca.

• Ciò può avvenire attraverso l’uso della stessa base dalla quale deriva il nome 

fiore > floreale (dal latino florem)

occhio> oculare (dal latino oculum)

• Oppure attraverso l’uso di una base diversa

guerra> bellico (dal latino bellum ‘guerra’)

fegato > epatico (dal greco hepar ‘fegato’)

In alcuni casi, alle diverse basi possono corrispondere differenziazioni di significato. Per definire qualcosa che ha a che fare con i cavalli, ad esempio, l’italiano ha tre diversi aggettivi tratti da tre basi diverse:

- equino ‘che riguarda il cavallo, che appartiene al cavallo’ (dal latino equus ‘cavallo’)

- ippico ‘che riguarda le corse dei cavalli’ (dal greco hippòs ‘cavallo’)

- cavallino ‘che possiede alcune caratteristiche, per lo più esteriori, del cavallo’ (dall’italiano cavallo).

 

 

DERIVATIVI, SUFFISSI vedi SUFFISSI

 

 

DERIVAZIONE vedi DERIVATE, PAROLE

 

 

DESIDERATIVE, PROPOSIZIONI

 

Nell’analisi del periodo, le proposizioni desiderative (dette anche ottative) sono proposizioni indipendenti che indicano un desiderio, un augurio. 

Di solito sono costruite con il congiuntivo, spesso introdotto da elementi come oh, ah, almeno, che, magari, se

Ti sia leggera la terra

Che tu faccia un buon viaggio!

Magari esistesse la macchina del tempo!

Ma possono essere costruite anche con il condizionale, spesso introdotto da come oppure quanto

Come sarebbe bello rivedersi!

Sarebbe splendido amare veramente (Baustelle, Andarsene così)

oppure con l’infinito

Oh, essere anche noi la luna di qualcuno! (V. Lamarque, Poesie).

 

 USI 

Quando la proposizione desiderativa si riferisce a desideri irrealizzabili, si costruisce con il congiuntivo imperfetto, con il condizionale passato o con l’infinito composto

Fossi Einstein!

Mi sarebbe piaciuto vivere nel Settecento

Averlo saputo prima!

Quando è introdotta da magari o da se, va costruita sempre con il congiuntivo imperfetto

Magari fosse lei! (non Magari sia lei!)

Se l’Udinese vincesse il campionato! (non Se l’Udinese vinca il campionato)

Quando il verbo è alla 1a persona singolare con soggetto espresso (io), deve essere sempre presente l’elemento introduttore (che o se)

Che io sia maledetto! (non Io sia maledetto! mentre Che tu sia maledetto! / Tu sia maledetto!).

 

 

DESIDERATIVO, CONGIUNTIVO

 

Il congiuntivo desiderativo esprime un desiderio. 

Quando è usato al presente, di solito indica un desiderio percepito come realizzabile

Venga almeno un po’ di caldo

Bruci la città e crolli il grattacielo (I. Grandi, Bruci la città

Quando è usato all’imperfetto, indica un desiderio sentito come irrealizzabile

Avesse la tua testa!

Avessi studiato a Oxford!

 

 

DESINENZA

 

La desinenza è l’elemento finale variabile di una parola, unito alla radice, distingue il genere (femminile e maschile) e il numero (singolare e plurale) o, in caso di verbi, il modo, il tempo e la persona.

• Negli articoli

una (= femminile singolare)

uno (= maschile singolare) 

• Nei nomi

lupa (= femminile singolare)

lupo (= maschile singolare)

lupe (= femminile plurale)

lupi (= maschile plurale)

• Negli aggettivi 

bella (= femminile singolare)

bello (= maschile singolare)

belle (= femminile plurale)

belli (= maschile plurale)

• Nei pronomi

essa (= femminile singolare)

esso (= maschile singolare)

esse (= femminile plurale)

essi (= maschile plurale)

• Nei verbi la desinenza si trova:

- dopo la radice e la vocale tematica

ved-e-te (indicativo presente, 2a persona plurale)

ved-e-vano (indicativo imperfetto, 3a persona plurale)

- direttamente dopo la radice

am-iamo (indicativo presente, 1a persona plurale)

am-ino (congiuntivo presente, 3a persona plurale).

 

 

DETERMINATIVI, AGGETTIVI

 

Gli aggettivi determinativi (detti anche indicativi) sono quegli aggettivi che servono a determinare meglio un sostantivo. Appartengono a questa categoria gli aggettivi

 

 

DETERMINATIVI, ARTICOLI

 

Gli articoli determinativi si usano in riferimento a una categoria generale di persone, animali, oggetti, concetti

L’uomo comparve sulla Terra migliaia di anni fa

La matematica è una scienza esatta

o in riferimento a qualcuno o qualcosa di già noto a chi legge, parla o ascolta

L’uomo di cui parliamo ha i capelli neri

La matematica contenuta in quel libro è elementare

Le forme dell’articolo determinativo sono:

 

 

1. Maschili.

• Il singolare lo e il plurale gli si usano:

- davanti a parole che cominciano con i o j + vocale (pronunciate, cioè, come semiconsonanti), con gn (gnomo), con s + consonante, con sc (sci), con x, y, z e con i gruppi pn e ps

lo iettatore

gli juventini

lo gnocco

gli storici

lo sciocco

gli xilofoni

lo yen

gli zii

lo pneumotorace

gli psicologi

- davanti a parole che cominciano con una consonante + consonante diversa da l o r

lo pterodattilo

gli ’ndranghetisti

• Il singolare l’ (con elisione) e il plurale gli si usano davanti a parole che cominciano con una vocale

l’attore

gli orti

• Il singolare il e il plurale i si usano in tutti gli altri casi

il dado

il clima

i bruchi

i libri

 

2. Femminili.

• Si usano sempre il singolare la e il plurale le

la macchina

la scienza

le chiamate

• Tranne davanti a parole singolari che cominciano con una vocale: in questo caso si usa il singolare l’ (con elisione) 

l’amica

l’elettricità

• Il plurale le si usa anche davanti a parole che cominciano per vocale (nell’italiano contemporaneo le non è mai soggetto a elisione)

le età

le amiche.

 

 DUBBI 

• Davanti al plurale della parola dio, non si usa i (come per i diavoli ecc.), ma gli (come riflesso delle forme dell’italiano antico: l’iddio, gli iddei)

gli dei

• Davanti a parole che cominciano con una i, la forma elisa oggi è caduta in disuso  

gli idraulici

anche se nei secoli scorsi era piuttosto comune

Bisogna far gl’italiani (M. D’Azeglio, Aforismi)

• Davanti a parole che cominciano con una i con valore di semiconsonante, le forme del singolare l’ e del plurale i, usate fino all’inizio del secolo scorso, oggi sono sconsigliate

lo iato e non l’iato

lo ieri e non l’ieri

gli iettatori e non i iettatori

• Davanti a parole che cominciano con p + consonante, le forme il, i – che pure hanno una certa diffusione – sono sconsigliabili

lo psicologo e gli psicologi non il psicologo, i psicologi

lo pneumatico e gli pneumatici non il pneumatico, i pneumatici

• Davanti a una sigla, ci si regola in base alla sua pronuncia:

- quando la prima lettera è una vocale, le forme dell’articolo sono quelle usate davanti a vocale, richieste dal genere e dal numero della sigla, sia che venga pronunciata come una parola, sia che venga pronunciata lettera per lettera

gli UFO, l’ASL, l’ATP

- quando la prima lettera è una consonante, se la sigla viene pronunciata come una parola, si usano le forme degli articoli corrispondenti

il CONI, la NATO, la RAI

- quando, invece, la sigla viene pronunciata lettera per lettera generalmente l’articolo viene scelto tenendo in considerazione soltanto la prima; se il nome della lettera comincia con una consonante avremo le forme degli articoli corrispondenti

il CNR, il BTP 

se il nome della lettera, invece, comincia con una vocale, l’uso è oscillante, ma tendenzialmente le forme degli articoli sono quelle che precedono le vocali

l’FMI (pronunciato effe-emme-i), l’MIT (pronunciato all’inglese em-ai-ti)

• Davanti alle parole straniere che iniziano per w, l’articolo viene selezionato in base alla pronuncia:

- se la w viene pronunciata come u semiconsonante (come la u di uovo), l’articolo è lo, gli

lo whisky, gli whisky

ma dal momento che la w è percepita come consonante a pieno titolo, è molto frequente anche l’uso di il, i davanti a w semiconsonantica

il whisky, i whisky

- se la w viene pronunciata come v o non viene pronunciata, l’articolo è il, i

il wafer, i wafer

• Davanti alle parole straniere che iniziano per h, dato che in italiano la lettera non viene pronunciata, ci si dovrebbe regolare in base al suono seguente

l’hamburger (dall’inglese)

gli habitué (dal francese)

l’hidalgo (dallo spagnolo)

gli Hinterland (dal tedesco)

l’harem (dal turco)

gli harakiri (dal giapponese)

ma in alcuni casi di parole provenienti dall’inglese la presenza della h iniziale non è del tutto ininfluente sulla pronuncia, il che porta ad alcune oscillazioni

l’hot dog / lo hot dog 

l’holding / la holding (molto più frequente)

• Con parole che iniziano con j, si usano le forme maschili il, i e le forme femminili la, le, come davanti a una consonante

il j’accuse, i jet-set, le jam-session.

 

 USI 

Nell’Italia settentrionale è tipico del parlato l’uso dell’articolo davanti ai nomi di battesimo, maschili e femminili (l’Alberto, la Silvia). Si tratta di un uso da evitare nello scritto e sconsigliabile anche nel parlato di una certa formalità.

Al maschile, l’articolo si usa comunemente davanti ai nomi d’arte (il Caravaggio) e davanti ai nomi propri che costituiscono il titolo di un’opera (l’Adelchi, la Carmen). 

Tradizionalmente, l’articolo sia usa davanti ai cognomi femminili, ma oggi quest’uso tende a essere evitato, perché considerato una spia del cosiddetto sessismo linguistico. Le due forme, dunque, si alternano

Marcegaglia: “Sacrifici per tutti tranne la politica, inaccettabile” (www.repubblica.it)

La Marcegaglia: Sì all’aumento dell’Iva (www.repubblica.it)

Davanti ai cognomi maschili, l’articolo è usato (sempre meno) nel caso di personaggi famosi del passato (il Carducci), in contesti burocratici (nei verbali: il Rossi prende atto che …) o con intenti ironici (Guarda il Bianchi che pasticcio ha combinato!).

Nel caso dei nomi di parentela con aggettivo possessivo, l’articolo è omesso (mio padre, mia madre, tuo fratello, sua zia), a meno che non ci sia un aggettivo qualificativo prima o dopo il nome (la sua figlia preferita, la sua cara madre), o il nome non sia soggetto ad alterazione (il mio fratellino). Con le varianti affettive mamma e papà, l’articolo è usato quasi soltanto nell’italiano della Toscana: la mia mamma, il tuo babbo; altrove: mia mamma, tuo papà. Si registrano oscillazioni anche con i nomi propri di istituti e aziende, soprattutto femminili

Bernabè: “La Telecom è sana e seria. In futuro tutto ciò non accadrà più” (www.repubblica.it)

I tre giorni di Telecom. In Borsa persi 1,2 miliardi (www.lastampa.it).

 

 STORIA 

Nell’italiano antico e letterario, il singolare maschile lo veniva usato anche in condizioni diverse da quelle odierne: ne resta traccia in espressioni cristallizzate come per lo meno e per lo più. Oltre a i e gli, nell’italiano antico si usava anche il plurale li, che oggi sopravvive solo nell’uso burocratico (documenti, contratti ecc.) 

Pavia, li 17 ottobre 2011.

 

VEDI ANCHE   

omissione dell’articolo

settimana prossima

 

 

DI (PREPOSIZIONE)

 

La preposizione semplice di può presentarsi in diverse forme. 

• Quando si trova prima di un articolo determinativo, si fonde con l’articolo, dando origine alle preposizioni articolate del, dello, della, dei, degli, delle

• Davanti a parole che cominciano per i-, normalmente è soggetta a elisione 

il cielo d’Irlanda, d’inverno, d’istinto

• Davanti a parole che cominciano con altre vocali, l’elisione è:

- obbligatoria in alcune formule ormai cristallizzate

d’amore e d’accordo, d’accatto, d’epoca, d’oro, d’estate, d’autunno, d’agosto

- facoltativa in tutti gli altri casi

mi rimproveri d’averti delusa (L. Tenco, Vedrai, vedrai)

Non riesco a non pensare di avervi offese (www.forum.alfemminile.com) 

La preposizione di può svolgere diverse funzioni.

• Può collegare due elementi della stessa frase, introducendo diversi tipi di complementi indiretti

L’arrivo del treno (= complemento di specificazione)

La città di Cividale (= complemento di denominazione)

Hanno trovato il colpevole del furto (= complemento di >>>colpa)

Mi hanno fatto una multa di trecento euro (= complemento di >>>pena)

È di Milano (= complemento di origine o provenienza)

Parliamo un po’ di te (= complemento di argomento)

Unto d’olio, bagnato di rugiada (= complementi di agente e causa efficiente)

Rivestimento di vetro (= complemento di materia)

Mi sento pieno di energia (= complemento di abbondanza)

Mi hanno svuotato di ogni energia (= complemento di privazione)

A tutti gli uomini di buona volontà (= complemento di >>>qualità)

Una carpa di 6 kg, Una memoria di 50 megabyte (= complemento di >>>peso o misura)

Piango di gioia (= complemento di causa)

Tardo di comprendonio (= complemento di limitazione)

Pochi di voi / Il più bello di tutti (= complemento >>>partitivo)

Questa connessione è più veloce dell’altra (= complemento di >>>paragone)

Ti serva di esempio per la prossima volta (= complemento di >>>fine o scopo)

Esco di casa (= complemento di moto da luogo)

Scappò di (= complemento di moto a luogo)

Di qui non si passa (= complemento di moto per luogo)

Luca è di (= complemento di stato in luogo)

Procede di buon passo (= complemento di modo o maniera)

La piscina riapre d’estate (= complemento di tempo determinato)

Sara ha iniziato un corso di 2 anni (= complemento di tempo continuato)

Ungete la padella di burro (= complemento di mezzo o strumento)

• Collegare due frasi distinte, introducendo diversi tipi di proposizioni implicite

Dice di star bene (= proposizione completiva implicita)

Di questo ti ringrazio: di avermi ascoltato (= proposizione dichiarativa implicita)

Ti scongiuro di venire qua subito (= proposizione finale implicita)

Un testimone degno di essere ascoltato (= proposizione consecutiva implicita)

Andrei in capo al mondo, pur di seguire la mia squadra (= proposizione >>>condizionale implicita).

 

 

DI- (PREFISSO)

 

In italiano esistono due prefissi di-.

• Il primo derivato dal latino de-, si trova in verbi composti che derivano dal latino come

discendere, disperare, divorare, diminuire

ed è usato nella formazione di verbi parasintetici a partire da un sostantivo o da un aggettivo

vampa > divampare

magro > dimagrire

Non va confuso con il prefisso di- di verbi come divulgare, che ha origine dal latino di(s).

• Il secondo prefisso, derivato dal greco dis ‘due volte’, si usa con il significato di ‘due, doppio’ in parole del linguaggio tecnico scientifico derivate dal greco 

digramma (‘sequenza di due lettere’)

dittero (‘insetto provvisto di due ali’) 

o formate modernamente

dimetile (‘sostanza chimica composta da due radicali metilici’)

diodo (‘dispositivo elettronico a due terminali’).

 

 

DIABETE: IL O LA?

 

Il sostantivo diabete è di genere maschile, così come maschile è il nome latino da cui deriva (attraverso il greco): diabètes

Da anni era affetto dal diabete

Un diabete trascurato può provocare serie conseguenze

Popolare, e dunque sconsigliata, è la forma femminile la diabete, nata per probabile influsso della parola malattia.

 

 

DIACRITICI, SEGNI

 

Nella lingua scritta, i segni diacritici sono lettere che non corrispondono a un suono, ma servono soltanto a determinare (dal greco diakritikòs ‘che distingue’) la giusta pronuncia di un’altra lettera o gruppo di lettere. 

In italiano i segni diacritici sono due: la h e la i.

• L’h compare nei gruppi che, chi e ghe, ghi per distinguerne la pronuncia da quella dei gruppi ce, ci e ge, gi

cheto / ceto, chicca / cicca 

ghetto / getto, ghiro / giro

e in alcune voci dell’indicativo presente del verbo avere, per distinguerle da una serie di omofoni

io ho / o (congiunzione)

tu hai / ai (preposizione articolata)

lui, lei ha / a (preposizione semplice)

loro hanno / anno (sostantivo)

• La i compare nei gruppi cia, cio, ciu; gia, gio, giù; scia, scio, sciu; glia, glie, glio, gliu per distinguerne la pronuncia da quella dei gruppi ca, co, cu; ga, go, gu; sca, sco, scu; gla, gle, glo, glu

ancia / anca, ciocco / cocco, ciucco / cucco

giara / gara, mangio / mango, giusto / gusto 

sciala / scala, sciocca / scocca, prosciutto / discusso

soglia / sigla, biglietto / inglese, luglio / inglobare, pagliuzza / glutine.

 

 DUBBI 

Ci sono casi in cui nella grafia si usa una i superflua, che non si pronuncia e non ha neanche una funzione diacritica:

- in alcune parole in cui la i è il residuo di un’antica pronuncia

cieco (accecare o acciecare?)

cielo (anche per distinguerla dall’omofona celo ‘nascondo’)

- in alcuni plurali di parole in -cia, -gia, per influenza della grafia del singolare

camicie, valigie

- in alcune parole in cui la i si mantiene per influenza della grafia latina

specie, fattispecie, effigie, superficie

Non esiste, in casi come questi, una regola sicura: il modo migliore per non sbagliare è controllare la grafia nel dizionario; 

- nella 1a persona plurale dell’indicativo e del congiuntivo e nella 2a persona plurale del congiuntivo dei verbi con radice in nasale palatale gn (bagniamo, sogniate) in cui la i è superflua dal punto di vista fonetico e serve solo a ribadire graficamente la riconoscibilità delle desinenze -iamo, -iate dei verbi in -gnare.

 

 STORIA 

Per l’h del verbo avere si parla di h etimologica, perché ha un modello nelle forme del verbo latino habere

Le forme ò (al posto di ho), ài (al posto di hai), à (al posto di ha), ànno (al posto di hanno), ancora in uso tra fine Ottocento e primi del Novecento, oggi sono grafie errate a tutti gli effetti. 

 

VEDI ANCHE   

-gna o -gnia, -gne o -gnie, -gno o -gnio?

 

 

DIÀTESI vedi FORMA ATTIVA, PASSIVA E RIFLESSIVA

 

 

DIÀTRIBA O DIATRÌBA?

 

Entrambe le pronunce sono accettabili, anche se la prima è decisamente preferibile. 

Diàtriba (con accentazione sdrucciola) infatti riflette la pronuncia del latino diàtribam, attraverso il quale è giunta fino a noi questa parola il cui etimo remoto è il greco antico diatribè ‘conversazione’.

Diatrìba (con accentazione piana), pronuncia oggi molto diffusa, rivela l’influenza del francese diatribe (pronuncia diatrìb) ‘discorso polemico’.

 

 

DICHIARATIVE, CONGIUNZIONI

 

Le congiunzioni dichiarative (dette anche esplicative) sono congiunzioni coordinative (o subordinative) e hanno la funzione di introdurre una frase che spiega, illustra, chiarisce quello che è stato detto nella proposizione precedente. 

Le congiunzioni coordinative più frequenti sono cioè, ossia, ovvero, ovverosia, infatti, difatti

La situazione è critica, cioè molto difficile

Il nostro migliore amico, ovvero il cane

In funzione coordinativa si usano anche le locuzioni congiuntive vale a dire, per essere precisi, in altre parole, in altri termini

È un sistema friendly, vale a dire amichevole

Luigi è spacciato, in altre parole finito

In funzione subordinativa, invece, si usa anche la congiunzione che

Questo mi dispiace: che hai mollato.

 

 USI 

A partire dagli anni Settanta e Ottanta si osserva un massiccio uso della congiunzione cioè nel parlato informale e colloquiale (giovanile e non); spesso a questa congiunzione non viene assegnato un vero valore esplicativo, bensì la funzione di semplice intercalare, privo di un significato riconoscibile. 

Questo buffo aspetto è stato reso famoso da alcuni personaggi del regista e attore Carlo Verdone, che infarciscono i loro discorsi di cioè, e dal libro di Luca Goldoni, intitolato proprio Cioè. Ancora oggi viene usato per caratterizzare un certo tipo di linguaggio

Francesca era una tipa carina della scuola; cioè, erano anche stati insieme (E. Brizzi, Jack Frusciante è uscito dal gruppo).

 

 

DICHIARATIVE, PROPOSIZIONI

 

Nell’analisi del periodo, le proposizioni dichiarative (dette anche esplicative) sono proposizioni coordinate (o subordinate) che servono a spiegare o a precisare il contenuto della principale. 

Le proposizioni dichiarative sono introdotte dalle congiunzioni dichiarative cioè, ossia, ovvero, ovverosia, infatti, difatti e dalle locuzioni congiuntive vale a dire, per essere precisi, in altre parole, in altri termini

Vado da mia madre, cioè vado a rilassarmi 

Continua a dire cose strane: in altre parole, è impazzito

Le proposizioni dichiarative subordinate si costruiscono in maniera diversa a seconda che siano esplicite o implicite.

1. In forma esplicita spiegano un elemento della principale (spesso rappresentato da pronomi o aggettivi dimostrativi o indefiniti o dall’avverbio così), sono introdotte dalla congiunzione che, e presentano il verbo all’indicativo, al congiuntivo o al condizionale

Da tempo mi ero accorto di questa cosa: che eri un tifoso sfegatato

Aspettavamo solo questo, che il concerto del Boss cominciasse 

Sarebbe andata così: che ti saresti ferito

2. In forma implicita, invece, sono introdotte dai due punti o da di e presentano il verbo all’infinito

Questo sarebbe giusto: aiutare i più sfortunati

Di una cosa mi pento, di non aver installato l’antivirus.

 

 DUBBI 

Qualche dubbio può sorgere riguardo alla punteggiatura da usare prima di una proposizione dichiarativa.

Quasi sempre la proposizione subordinata introdotta da che è preceduta dai due punti

Ho notato questo fatto: che sei miope

La coordinata introdotta da cioè o e cioè è invece preceduta dalla virgola

Questo vorrei, e cioè che fossi più attento.

 

VEDI ANCHE   

punteggiatura

 

 

DI, DI’ O DÌ?

 

Si tratta di tre omonimi

Di è la preposizione semplice

Mario è di Genova

Di’ è la 2a persona singolare dell’imperativo del verbo dire, troncamento di dici

Di’ pure quel che pensi

è il sostantivo maschile derivato dal latino diem ‘giorno’, un tempo vivo soprattutto nell’uso letterario

La sera del di festa (G. Leopardi)

ma ormai di uso molto raro e quasi esclusivamente scherzoso

Lo sfottevano notte e dì (www.amicidimariadefilippi.forumcommunity.net).

 

 USI 

Oggi la grafia è usata spesso anche come 2a persona singolare dell’imperativo del verbo dire

pure quel che pensi

La grafia si sta diffondendo con una certa larghezza anche per l’uscita dall’uso dell’omografo ‘giorno’, che riduce obiettivamente il rischio di confusione. 

Tuttavia, anche per omogeneità con gli altri imperativi monosillabici (da’, fa’, va’), sarebbe bene usare per l’imperativo del verbo dire solo la forma con l’apostrofo.

 

 

DIEDI O DETTI?

 

Nell’italiano contemporaneo la forma più frequente del passato remoto del verbo dare è diedi (dal perfetto latino dedi)

 

 

Le forme delle 1a e 3a persone singolari e della 3a plurale detti, dette, dettero sono presenti nella tradizione letteraria dei secoli scorsi

Dette a Rinaldo una percossa pazza, / Tanto che cadde (L. Pulci, Morgante)

ma oggi sono in uso solo in Toscana.

 

 

DIETRO O DIETRO A?

 

Sono corrette entrambe le forme

Dietro a ogni grande uomo c’è una grande donna

Cercalo dietro quel mobile

• Il costrutto dietro a è l’unico da usare con i verbi di movimento come andare, camminare e correre

Io camminavo dietro a Mario

Corre sempre dietro a suo fratello più grande

• Prima di un pronome personale tonico, la sequenza preferibile è dietro di

Quante briciole restano dietro di noi (L. Ligabue, L’amore conta).

 

 USI 

Oggi la forma dietro qualcuno / qualcosa è quella più usata; il tipo dietro a tende a essere sentito come più letterario, legato soprattutto all’italiano scritto del Novecento. 

Anche se oggi è piuttosto diffuso anche l’uso di dietro a

Se spuntasse fuori il sole dietro a te (Stadio, Bella più che mai)

un uso, peraltro, ben attestato già nella lingua letteraria dei secoli scorsi

Vien dietro a me, e lascia dir le genti (D. Alighieri, Purgatorio).

 

 

DIFENSORE / DIFENDITRICE 

 

I nomi maschili in -sore hanno il femminile in -itrice e un cambiamento nella radice, che termina in -d

difensore> difenditrice

possessore> posseditrice

ma professore fa professoressa, incisore fa incisora.

Alcuni nomi, accanto alla forma in -itrice, hanno quella di registro popolare, dunque sconsigliata, in -sora

difensora, possessora.

 

VEDI ANCHE   

femminile dei nomi

 

 

DIFETTIVI, NOMI

 

Sul modello della categoria dei verbi difettivi, si considerano difettivi (cioè ‘mancanti’) alcuni nomi usati soltanto o prevalentemente al plurale (dunque difettivi del singolare) oppure soltanto o prevalentemente al singolare (difettivi del plurale). 

• Tra i difettivi del singolare si considerano di solito:

- nomi che indicano oggetti formati da due o più elementi

i pantaloni, i calzoni, gli occhiali, le forbici, le redini, le manette, le bretelle, le cesoie

- nomi che si riferiscono a una pluralità

le stoviglie, i dintorni, le vicinanze, le spezie, le vettovaglie, le masserizie, le viscere, i viveri, le percosse, i bronchi, le assise

- nomi di uso letterario, che già in latino avevano soltanto il plurale

le idi, le calende, le none, le ferie, i fasti, gli annali, i posteri, le nozze, le tenebre

• Tra i nomi difettivi del plurale:

- molti nomi astratti

la pazienza, il coraggio, la superbia, l’amore

- nomi che indicano oggetti o cose uniche in natura

l’Equatore, il nord, il sud, l’Oriente

- nomi di malattia

il tifo, la malaria, il vaiolo, l’Aids, il morbillo

- nomi che indicano un prodotto alimentare

il cioccolato, il pane, il miele, il riso

- nomi collettivi di uso consolidato

la gente, la prole, la roba, il fogliame

- i nomi di elementi chimici e metalli

l’idrogeno, l’uranio, il mercurio, il ferro

- i nomi dei mesi

aprile, maggio, giugno

Molti nomi difettivi presentano in realtà anche la forma mancante, con varie sfumature di significato. 

• I nomi che indicano vestiti o oggetti dell’abbigliamento (pantaloni, calzoni, occhiali) spesso sono usati al singolare per riferirsi a un ‘singolo paio’, ‘un singolo modello’

Ho solo un pantalone

Quell’occhiale le sta proprio bene

Nel parlato e nello scritto di livello colloquiale oggi è molto diffuso (di solito con uso ironico) anche il singolare mutanda

Ci sono quelli che come per i jeans, fanno vedere la mutanda di marca (www.it.answers.yahoo.com)

La bretella, invece, si usa quasi soltanto con il significato diverso di ‘raccordo, collegamento’

Completato il consolidamento della bretella autostradale (www.gazzettadelsud.it)

Forbice si usa spesso al singolare, specie nell’espressione colpo di forbice e con il significato figurato di ‘distanza, differenza, scarto’

Passami quella forbice!

Zac non è il colpo di forbice / del sarto zoppo (G. Parise, Poesie)

Btp-Bund, la forbice torna ad allargarsi (www.corriere.it)

• Accanto alla forma le assise (‘assemblea giudiziale’), si usano anche le forme la assise, le assisi, soprattutto con il significato generico di ‘riunione’

L’assise di Enna, così come quella di Fiuggi, sarà aperta ai contributi esterni (www.siciliainformazioni.com)

un percorso condiviso che porti il partito alle celebrazioni delle assisi congressuali (www.strill.it)

• Al plurale i nomi dei metalli indicano gli oggetti realizzati con quel materiale

gli ori della cattedrale, gli argenti della famiglia, gli ottoni dell’orchestra, i ferri del mestiere

• I nomi astratti e i nomi dei prodotti alimentari, usati al plurale, indicano il genere specifico

gli amori di George Clooney, i cioccolati del Belgio, i risi del Pavese 

La gente ha il plurale le genti, ‘popoli, nazioni’, di uso ormai poetico

le genti / del bel paese là dove ’l sì suona (D. Alighieri, Inferno)

Genti diverse venute dall’Est (F. De André, Il testamento di Tito).

 

VEDI ANCHE   

collettivi, nomi

 

 

DIFETTIVI, VERBI

 

I verbi difettivi sono verbi che mancano di alcuni tempi, modi e persone verbali. 

Quelli ancora in uso nell’italiano contemporaneo, soprattutto scritto e di registro alto, sono ormai pochi.

Addirsi nelle forme si addice, si addicono; si addiceva, si addicevano; si addica, si addicano; si addicesse, si addicessero, e nel participio passato sostantivato addetto

un linguaggio che non si addice al suo ruolo, gli addetti alla sicurezza

Aggradare nella forma del presente indicativo aggrada, spesso in senso ironico

fate pure come vi aggrada (= come più vi piace)

Fallare nel participio passato fallato

un vaso fallato (= difettoso)

Fèrvere nelle forme ferve, fervono; ferveva, fervevano; fervente, spesso in espressioni cristallizzate

fervono i preparativi, un fervente cattolico

Ostare è rimasto nell’espressione burocratica nulla osta ‘niente si oppone, è contrario’, nella forma sostantivata nulla osta (o nullaosta), nella preposizione e congiunzione concessiva nonostante (in origine non + il participio presente ostante)

se nulla osta al provvedimento, concedere il nullaosta, nonostante le difficoltà, ce l’abbiamo fatta

Secèrnere nelle forme secerne, secernono, ma soprattutto nel participio presente secernente, nel participio passato secreto (anche sostantivato), nel gerundio secernendo

il nostro corpo secerne sudore, quel liquido viene secreto da un organo particolare

Solére nelle forme suole, soleva, ma soprattutto solito nell’espressione essere solito

come si suol dire, sono solito mangiare alle otto

• I verbi prùdere, ùrgere, vèrtere, vìgere presentano la 3a persona singolare e plurale dei tempi semplici (indicativo presente, imperfetto, futuro; congiuntivo presente, imperfetto; condizionale presente; participio presente; gerundio presente), ma mancano del participio passato, dunque non hanno i tempi composti.

• Alcuni verbi come competere, concernere, convergere, dirimere, discernere, esimere, incombere, inerire, soccombere, splendere, transigere non hanno il participio passato, quindi non possono formare i tempi composti.

Tàngere ‘toccare’ e delìnquere ‘commettere un delitto’, si usano ancora oggi nelle forme del participio presente tangente, delinquente, usato in funzione di aggettivo o di sostantivo

retta tangente, partire per la tangente, un feroce delinquente

Consùmere ‘consumare, distruggere’ presenta il participio passato consunto, di uso letterario

Un povero consunto vestitino di casa (I. Svevo, La coscienza di Zeno).

 

 STORIA 

Si tratta per lo più di verbi impersonali e di uso ormai antiquato come ire, gire ‘andare’; licére ‘essere lecito’; mólcere ‘addolcire’; récere ‘vomitare’; redire, rièdere ‘tornare’; calére ‘importare’; lùcere ‘splendere’; prostèrnere ‘gettare a terra’, e così via.

 

 

DIMINUTIVI, SUFFISSI

 

I suffissi diminutivi sono suffissi che indicano una diminuzione di tipo quantitativo o qualitativo. 

Possono essere usati in combinazione con:

- nomi: casa> casetta

- aggettivi: caro> caruccio

- avverbi: tardi> tardino

I suffissi diminutivi più usati sono -etto, -ino, -ello

chiesa> chiesetta

paese> paesino 

vino> vinello

• Il suffisso -ino si può aggiungere ulteriormente ai suffissi -ello, -etto, -otto, creando così un doppio suffisso

storia> storiella> storiellina

foglio> foglietto> fogliettino

basso> bassotto> bassottino

Inoltre, i suffissi -ino, -ello possono essere preceduti dall’interfisso -ic-, -ol-

posto> post -ic- ino

topo> top -ol- ino

sole> sol -ic- ello

• Il suffisso -otto ha un valore attenuativo, ma anche spregiativo

stupidotto, sempliciotto, borghesotto, provincialotto

oppure si usa per i cuccioli di alcuni animali

tigre> tigrotto

passero> passerotto

Nella forma -acchiotto ha un valore vezzeggiativo

l’orsacchiotto preferito di Giulia 

• Il suffisso -uccio può avere significato vezzeggiativo o peggiorativo

Che bel calduccio!

Un povero impiegatuccio

• Il suffisso -uzzo è la variante dialettale di -uccio, spesso cristallizzata in nomi di luoghi e persone

viuzza, pietruzza, Galluzzo, Santuzza

• Ormai poco usati sono -icchio e -ucolo, che hanno valore dispregiativo

Che avvocaticchio!

Un misero professorucolo

• Poco frequenti sono anche -icciolo, -(u)olo, -iciattolo

La barca è nel porticciolo

Il film è pieno di mostriciattoli.

 

 USI 

Tra i vari usi del diminutivo ci sono anche casi che hanno una particolare funzione comunicativa:

- attenuare un ordine, addolcire una richiesta (il cosiddetto diminutivo sociale)

Sta’ fermo un attimino

È possibile avere uno sconticino?

- sminuire, almeno apparentemente, qualcosa (diminutivo di modestia)

Ho una casettina con piscina a Montecarlo

- ironizzare (diminutivo ironico)

Ha un caratterino!

 

VEDI ANCHE   

peggiorativi, suffissi

vezzeggiativi, suffissi

 

 

DIMOSTRATIVI, AGGETTIVI

 

Gli aggettivi dimostrativi sono aggettivi che indicano la posizione di qualcuno o qualcosa da un punto di vista:

- spaziale

questa casa, quel bar, quel palazzo

- temporale

quest’anno, quella volta, quel giorno

I dimostrativi inoltre si usano per richiamare qualcosa detto in precedenza

Quella frase, che hai citato prima, mi piace proprio

o per anticipare qualcosa che si dirà in seguito

Questo progetto verrà spiegato più avanti

Le forme dell’aggettivo dimostrativo sono

 

 

Gli aggettivi dimostrativi questo, quello, codesto possono essere usati anche in funzione di pronomi (dimostrativi, pronomi).

 

 

DIMOSTRATIVI, PRONOMI

 

I pronomi dimostrativi più frequenti nell’uso sono questo e quello (dimostrativi, aggettivi)

Non capisco questo: come fai a vincere sempre

Quello che senti è il mio cane

A questi si affiancano alcuni dimostrativi usati solo come pronomi

 

 

Si tratta di forme utilizzate quasi esclusivamente nello scritto di registro formale. Al loro posto, nel parlato e nello scritto meno formale si usano molto più spesso gli aggettivi dimostrativi con funzione pronominale o i pronomi personali

Ciò non mi piace> Questo non mi piace

Colui che vedi è mio marito>Quello che vedi è mio marito

Costei sostiene > Lei sostiene 

Costoro affermano>Loro affermano.

 

 USI 

- A differenza di quanto accade per l’aggettivo, la forma pronominale quello non è soggetta a elisione o troncamento come la corrispondente forma aggettivale, e dunque presenta le forme regolari integre quelli, quella, quelle

Vedi quelle persone? Quello vecchio è un avvocato, quella elegante è mia moglie

- In una frase che fa riferimento a due nomi questo indica il secondo nome (più vicino), quello il primo (più lontano)

Rivera e Mazzola furono due grandi calciatori: questo giocava nell’Inter, quello nel Milan

- Questi (più frequente) e quegli (meno frequente) non vanno confusi con il plurale degli aggettivi questo e quello: sono pronomi che si usano soltanto per il soggetto maschile singolare e sempre in relazione a una persona che è già stata menzionata

Giacomo Leopardi nacque a Recanati il 28 giugno 1798. Questi studiò nella biblioteca del padre Monaldo

Il castellano avea già pagato lo zecchino […]; quegli avea già in tasca la sentenza (I. Nievo, Le confessioni di un italiano)

- Costui, costei, costoro si possono usare anche in senso ironico

Sigfried: chi è costui? (www.close-up.it)

o spregiativo

Costui è pazzo! (www.finanzaonline.com)

- Ciò ha un valore neutro con il significato di ‘questa cosa, quella cosa’ e si usa sia come soggetto

Ciò non mi piace

sia come complemento

Di ciò parlerà l’articolo di domani

- Nel parlato si preferisce usare questo, quello

Questo non mi va giù

Di quello parlerai con Fabio.

 

 

DIO / DEA

 

Il femminile di dio è dea. A differenza del maschile (dal latino deum), il femminile – molto meno frequente nell’uso – è rimasto uguale alla base etimologica (latino deam).

 

 USI 

Il plurale è per il maschile gli dei (non i dei), per il femminile le dee

gli dei dell’Olimpo, le dee dell’antica Grecia

Di solito il maiuscolo si usa soltanto in riferimento alle religioni monoteistiche; perciò dea viene sempre scritto minuscolo

il Dio di Giacobbe, il dio Marte, la dea Atena.

 

VEDI ANCHE   

determinativi, articoli

maiuscole, uso delle

 

 

DIPENDENTI, PROPOSIZIONI vedi SUBORDINATE, PROPOSIZIONI

 

 

DIRE, COMPOSTI DEL VERBO

 

I verbi benedire, maledire, contraddire, disdire, predire, ridire seguono la coniugazione del verbo dire

benediceva, maledisse, contraddetto, disdirò, predicevi, ridico

L’unica differenza è nella seconda persona singolare dell’imperativo, che termina in -dici

Maledici tutti quanti!

Disdici subito l’appuntamento!

tranne che per ridire

Ridì la lezione!

 

 USI 

Nell’italiano contemporaneo le forme dell’indicativo imperfetto e del passato remoto benedivo, benedii (al posto di benedicevo, benedissi) e maledivo, maledii (al posto di maledicevo, maledissi) sono da considerarsi scorrette, anche se hanno una notevole tradizione nell’italiano poetico e letterario

ogni oprar suo biasmava, / ogni mio benediva (V. Alfieri, Agide)

Madre, Madre! S’io ti maledii, tu m’accogli più amorosa (S. Slataper, Il mio Carso).

 

 

DIRETTO, COMPLEMENTO vedi OGGETTO, COMPLEMENTO

 

 

DISCORSO DIRETTO 

 

Il discorso diretto riporta le parole e le frasi nella forma esatta in cui sono state dette o scritte. 

Di solito è introdotto dal verbo dire o da verbi analoghi come sostenere, affermare, dichiarare, chiedere, domandare, rispondere, cui seguono i due punti e le virgolette o i trattini

Giulio Cesare disse: «Il dado è tratto!»

Steve Jobs ha esortato tutti: «Siate affamati, siate folli»

Il verbo del dire può trovarsi:

- prima della battuta di discorso diretto

Giulio Cesare disse: «Il dado è tratto!»

- in un inciso (incidentali, proposizioni) che interrompe la battuta

«Il dado» disse Giulio Cesare «è tratto!»

- dopo la fine della battuta

«Il dado è tratto!» disse Giulio Cesare

Il verbo può anche non essere espresso, e dunque essere:

- implicito e sostituito da un verbo di altro tipo

«Il dado è tratto!» esplose Giulio Cesare

- del tutto implicito

«Il dado è tratto!». I soldati ascoltavano attenti Giulio Cesare

- assente, specie in uno scambio di battute tra due o più personaggi

«Il dado è tratto!». «Faccio preparare subito le truppe».

 

 

DISCORSO INDIRETTO

 

Il discorso indiretto comporta una riformulazione delle parole o delle frasi proprie o altrui. Si può presentare come proposizione oggettiva o interrogativa indiretta

- sia esplicita

Giulio Cesare disse che il dado era stato tratto

Gli chiese che cosa stesse facendo

- sia implicita

Steve Jobs ha esortato tutti a essere affamati, a essere folli

Gli domandai cosa fare

Nel passaggio dal discorso diretto a quello indiretto si verificano alcuni cambiamenti.

• Quando il verbo della proposizione reggente è alla 3a persona, la 1a e 2a persone singolari e plurali del discorso diretto diventano rispettivamente 3a singolare e 3a plurale, con i relativi pronomi personali e aggettivi possessivi

Paolo dice: «Io non sono d’accordo» > Paolo dice che non è d’accordo

Paolo dice: «Tu non mi hai convinto»> Paolo dice che Mario non lo ha convinto

Paolo dice: «State zitti, voi > Paolo dice a Mario e a Giovanni di stare zitti 

• Secondo la consecutio temporum dei verbi, con il verbo reggente al passato si hanno le seguenti modifiche

Disse: «Parto» > Disse che partiva 

Disse: «Sono partito» > Disse che era partito

Disse: «Partirò»> Disse che sarebbe partito

• L’aggettivo dimostrativo questo diventa quello; gli avverbi di luogo qui, qua diventano , ; tra gli avverbi di tempo, ora diventa allora, oggi diventa quel giorno, ieri diventa il giorno prima, domani diventa il giorno dopo o l’indomani, fa diventa prima e così via

Disse: «Questo libro mi piace» > Disse che quel libro gli piaceva 

Disse: «Il libro sta qui»> Disse che il libro stava

Disse: «Ora va bene» > Disse che allora andava bene

Disse: «Oggi è festa» > Disse che quel giorno era festa

Disse: «Ieri sono rimasto a casa» > Disse che il giorno prima era rimasto a casa 

Disse: «Domani sarà diverso» > Disse che il giorno dopo sarebbe stato diverso

Disse: «Tre mesi fa era tutto nuovo»> Disse che tre mesi prima era tutto nuovo

• Le interiezioni, i vocativi, le formule di saluto e alcuni tratti colloquiali scompaiono, perché non possono essere riprodotti, se non con perifrasi

Disse: «Ehi, sta’ attento!» > Gli disse di stare attento 

Disse: «Oh caro amico, mi sei mancato» > Disse che gli era mancato 

Disse: «Buongiorno, il libro è arrivato» > Salutò e disse che il libro era arrivato

Disse: «Mortacci tua > Imprecò in romanesco.

 

 USI 

Se il soggetto della proposizione reggente è lo stesso della subordinata, nella subordinata si può usare anche la forma implicita

Dice: «Sto benone» > Dice di stare benone

Invece, quando i soggetti sono diversi, si usa la forma esplicita per evitare possibili ambiguità

Chiara dice a Mauro: «Vado a cucinare» > Chiara dice a Mauro che (lei) va a cucinare

Se si fosse scritto Chiara dice a Mauro di andare a cucinare, il soggetto della subordinata sarebbe sembrato Mauro.

 

 

DISCORSO INDIRETTO LIBERO

 

Il discorso indiretto libero riporta un discorso in forma indiretta, ma con alcune caratteristiche specifiche.

• A differenza di quanto accade di solito nel discorso indiretto, non è introdotto da verbi come dire, sostenere, affermare, dichiarare ecc. 

• Come accade sovente nel discorso diretto, spesso presenta al suo interno interiezioni, esclamazioni, avverbi di luogo e tempo, frasi interrogative dirette, frasi ellittiche e vari costrutti tipici del parlato.

• I tempi verbali più usati sono l’indicativo imperfetto e il condizionale passato (il cosiddetto futuro nel passato), che permettono una maggiore vicinanza di chi scrive a ciò che si racconta.

Molto in voga nella prosa narrativa tra Ottocento e Novecento, il discorso indiretto libero ha lo scopo di riferire in 3a persona le parole e i pensieri di un personaggio, combinandoli con quelli della voce narrante

Carlo D’Andrea, con gli occhi fissi dietro le grosse lenti da miope, attese un pezzo, senza trovar parole, non sapendo ancor credere a quella rivelazione, né riuscendo a immaginare come mai quella donna, finora esempio, specchio di virtù, d’abnegazione, fosse potuta cadere nella colpa. Possibile? Eleonora Bandi? Ma se aveva in gioventù, per amore del fratello, rifiutato tanti partiti, uno più vantaggioso dell’altro! Come mai ora, ora che la gioventù era tramontata… – Eh! Ma forse per questo… (L. Pirandello, Scialle nero).

 

 

DISFARE, SODDISFARE

 

A differenza di tutti i composti del verbofare, disfare e soddisfare presentano, oltre alle forme regolarmente coniugate come fare, alcune forme diverse rispetto al verbo da cui derivano

 

 

 USI 

È ormai da tempo in disuso la forma della 1a persona dell’indicativo presente soddisfò, sul modello del toscano fo

Prima di chiudere soddisfò a un rendiconto che le devo («Giornale agrario toscano» 1835)

Sconsigliabile anche la forma della 3a persona dell’indicativo presente disfà

Zamparini fa e disfà a suo piacimento (www.newspalermocalcio.it)

pure usata in passato da scrittori che volevano imitare le movenze del parlato

Quando è fatta, è fatta, e non si disfà più (C. Goldoni, L’amante di sé medesimo)

e che rimane viva in alcuni proverbi

Chi la fa, chi la disfà, e chi la trova fatta.

 

 

DISGIUNTIVE, CONGIUNZIONI

 

Le congiunzioni disgiuntive (dette anche alternative) sono congiunzioni coordinative o subordinative che hanno la funzione di introdurre un’alternativa tra due parole, due concetti o due frasi, a volte escludendo uno dei due.

Le congiunzioni disgiuntive più frequenti sono o, oppure, ovvero, altrimenti

Si può mangiare il prosciutto o la mortadella 

Si beve vino oppure acqua 

Mi chiedo se sia meglio vincere o perdere

Se gli elementi coordinati sono due, la congiunzione o può essere ripetuta davanti a ogni parola

o te o me, o bianco o nero, o sole o luna

Quando l’alternativa riguarda più di due elementi, la o precede di solito soltanto l’ultimo

La busta bianca, rossa o blu: quale sceglie?

Quando una congiunzione disgiuntiva coordina due o più soggetti, la concordanza di solito è al singolare, soprattutto se si configura un’alternativa netta

stasera vieni tu o lei?

altrimenti è possibile anche una concordanza al plurale

se vuoi c’è una mela o una banana / se vuoi ci sono una mela o una banana.

 

 USI 

La congiunzione o può avere anche una funzione esplicativa

Il sommelier, o esperto dei vini, è un lavoro sempre più diffuso

Nell’italiano contemporaneo la congiunzione ovvero è usata soprattutto con valore dichiarativo (dichiarative, congiunzioni)

Lavora all’FBI, ovvero Federal Bureau of Investigation

È scorretto l’uso, molto frequente soprattutto nel linguaggio giornalistico, di piuttosto che come congiunzione disgiuntiva

Abbiamo mele o / oppure pere (e non Abbiamo mele piuttosto che pere).

 

VEDI ANCHE   

d (eufonica)

 

 

DISGIUNTIVE, PROPOSIZIONI

 

Nell’analisi del periodo, le proposizioni disgiuntive (o alternative) sono quelle proposizioni coordinate o subordinate che servono a introdurre un’alternativa rispetto alla principale. 

Le proposizioni disgiuntive sono introdotte da congiunzioni disgiuntive come o, oppure, ovvero

Mangia questa minestra o salta dalla finestra

Essere o non essere

Svolta a destra oppure torna indietro

Rientra tra le proposizioni disgiuntive anche un particolare tipo di proposizioni interrogative dirette e indirette

Che fai? Studi o vai a nuoto?

Bisogna decidere se restare a casa oppure andare a Roma.

 

 

DISSUADÉRE O DISSUÀDERE?

 

La forma corretta è dissuadére, con l’accentazione piana, come nell’etimo latino. 

La forma scorretta dissuàdere è dovuta a un’errata ritrazione dell’accento, sul modello di verbi molto frequenti come lèggere, còrrere, difèndere, piàngere ecc.

 

 

DISTANZA, COMPLEMENTO DI

 

Nell’analisi logica, il complemento di distanza è il complemento indiretto che indica la distanza tra due luoghi, cose o persone. 

Può essere introdotto dalle preposizioni semplici a, tra o fra

Luigi si trova a pochi metri da te

Tra / Fra un metro svolta a destra

Quando è introdotto dal verbo distare, dall’aggettivo distante o da espressioni come essere lontano ecc., non è preceduto da nessuna preposizione

Casa mia dista appena un chilometro da te

Udine è lontana 50 km da Trieste

È distante un paio di chilometri.

 

 

DISTORSIONE O DISTORZIONE?

 

La forma corretta è distorsione, con la s (dal latino tardo distorsionem). Non bisogna farsi trarre in inganno dalla pronuncia con la z diffusa in alcune regioni italiane (la stessa per cui si pronuncia erroneamente corza invece di corsa, e simili).

 

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-sione o -zione?

 

 

DISTRIBUTIVI, AGGETTIVI vedi NUMERALI, AGGETTIVI

 

 

DISTRIBUTIVI, PRONOMI

 

I pronomi distributivi sono pronomi indefiniti usati per indicare la distribuzione di una qualità o un’azione tra vari elementi presi singolarmente. 

• Nell’italiano contemporaneo i più usati sono ciascuno e ognuno. Per evidenziare il valore distributivo rispetto a quello indefinito, questi pronomi vengono posti alla fine della frase, a volte preceduti dalla preposizione semplice per

Consegnò un computer ciascuno 

Avevamo un foglio per ognuna

Ciascuno e ognuno possono anche essere seguiti da un complemento partitivo

Consegnò un computer per ciascuno di loro

• Molto meno frequenti sono ciascheduno e cadauno:

- ciascheduno è ormai uscito dall’uso, e si ritrova dunque solo in testi letterari dei secoli scorsi

Dieci passi liberi per ciascheduno (G. Verga, Una peccatrice)

o in usi scherzosi

Che ciascheduno pensi alle cornaccia sue!

- cadauno si usa soltanto nel linguaggio commerciale per indicare il prezzo di ogni singola unità

Al prezzo di dieci euro cadauno.

 

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ciascuno o ognuno?

 

 

DISTRIBUTIVO, COMPLEMENTO 

 

Nell’analisi logica, il complemento distributivo (o di distribuzione) indica la modalità con cui avviene la distribuzione di un fatto o di un’azione in relazione al tempo, allo spazio o alla quantità. 

Può essere introdotto da un aggettivo numerale, un pronome indefinito, dalle preposizioni semplici a, per, su

Facciamo la spesa ogni due giorni

Procedono a due a due

Costa un euro per ciascuno.

 

 

DISTRIBUZIONE, COMPLEMENTO DI vedi DISTRIBUTIVO, COMPLEMENTO

 

 

DITI O DITA?

 

La parola dito ha due plurali, i quali rispondono a sfumature di significato diverse.

• Il plurale maschile diti si riferisce ai singoli, considerati separatamente

i diti indici, i diti mignoli

• Il plurale femminile dita è usato per indicare l’insieme

le dita di una mano, a dita divaricate.

 

 USI 

Per indicare una modica quantità di un liquido, si possono usare entrambe le forme due dita, due diti

Versami due dita / due diti di vino.

 

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plurali doppi

plurale dei nomi

 

 

DITTONGO

 

Il dittongo (dal greco dìphthongos ‘suono doppio’) è un gruppo di due vocali consecutive all’interno di una stessa sillaba. Una delle due vocali è sempre o una i o una u, corrispondente – a seconda della posizione nel gruppo – a una semiconsonante o a una semivocale.

• Si dicono dittonghi ascendenti i gruppi in cui la i o la u semiconsonanti si trovano in prima posizione:

- ia, ie, io, iu

pianura, schiena, passione, fiume

- ua, ue, ui, uo

tregua, duemila, suicida, suono

• Si dicono dittonghi discendenti i gruppi in cui la i o la u semivocali si trovano in seconda posizione:

- ai, ei, oi, ui

zaino, farei, foiba, lui

- au, eu

aumento, europeo

Si parla di dittonghi mobili per indicare i dittonghi ie e uo che si conservano quando si trovano in una sillaba accentata che termina in vocale; e si riducono rispettivamente alle sole vocali e e o quando si trovano in una sillaba non accentata (o in una accentata che termina per consonante). 

Il fenomeno si verifica in diversi casi.

• Nella coniugazione di verbi come venire, sedere, muovere, morire, potere, volere

tu vie-ni / voi ve-nite, io mi sie-do / io mi se-devo, lui p / lui po-té, lei vuo-le / voi vo-lete (= sillaba accentata che termina in vocale / sillaba non accentata)  

Tuttavia, se la sillaba accentata termina in consonante il dittongo scompare

tu vie-ni / io ven-go, muo-re / mor-to, p / pos-so, vuo-le / vor-rei (= sillaba accentata che termina in vocale / sillaba accentata che termina per consonante)

Muovere e i suoi composti, e verbi come suonare, risuonare, tuonare, scuotere, tendono a mantenere il dittongo anche in sillaba non accentata

io mi muovevo, lui si sta commuovendo, la campana suonò, loro scuotevano

Alcuni verbi mantengono sempre il dittongo: in certi come presiedere, risiedere, mietere, chiedere, allietare si tratta di un dittongo ormai cristallizzato; in altri verbi come lievitare, abbuonare, nuotare, vuotare si conserva per evitare confusione con levitare, abbonare, notare, votare.

In altri casi, invece, come per i verbi giocare, negare, levare si usa sempre il monottongo, ormai cristallizzato

lui gioca, loro levano, io nego (ma il sostantivo diniego)

• Nella creazione di nomi alterati (alterazione) derivati da una base con dittongo

uomo > omone

uovo > ovetto

Ci sono però anche delle oscillazioni, con una possibile distinzione di significato

piede> pedone (‘chi cammina a piedi’) e piedone (‘grosso piede’)

• Nella creazione di nomi e aggettivi derivati da una base con dittongo

buono > bontà

scuola > scolarizzazione

uomo > umano

Anche qui ci sono delle eccezioni: il dittongo si conserva in sillaba non accentata in alcune parole composte (soprattutto sostantivi con buono, fuori, e avverbi in -mente)

buono > buonissimo 

nuovo> nuovamente

e in forme come buongiorno, buongustaio, fuoriuscito.

 

 STORIA 

Il dittongo mobile era maggiormente rispettato nei secoli passati

Movesi il vecchierel canuto et bianco (F. Petrarca, Canzoniere)

La gente si moveva, davanti e di dietro (A. Manzoni, I promessi sposi)

Forme come moveva o commovendo, in uso fino alla metà del XX secolo, risultano oggi antiquate

Carla non si moveva né parlava (A. Moravia, Gli indifferenti)

Questa specie di primato sentimentale che stava commovendo il pio pellegrino (M. Moretti, G. Prezzolini, Carteggio, 1920-1977)

Resistono, invece, alcune cristallizzazioni come Federazione Italiana Giuoco Calcio, che si spiegano con il carattere ufficiale della denominazione.

 

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iato

trittongo

 

 

DIVISIONE IN SILLABE vedi SILLABE, DIVISIONE IN

 

 

DO O DÒ?

 

La grafia corretta della 1a persona singolare dell’indicativo presente del verbo dare è do, senza accento

L’accento è superfluo, mancando un vero rischio di confusione con omonimi di largo uso. 

Visti i diversi contesti, sarebbe di fatto impossibile confondere il verbo con il do nota musicale. Altrimenti dovremmo porci lo stesso problema anche con il fa (fa, fa’ o fà?), con il mi e con il sol, e scrivere – per assurdo – *mì piace Maria o il *sòl dell’avvenire.

La grafia è decisamente sconsigliabile, anche se gode ancora oggi di un certo uso

Te la io la “frustata” all’economia! (www.gadlerner.it).

 

 STORIA 

Nei secoli scorsi, la lingua letteraria tollerava oscillazioni molto più ampie riguardo alla grafia. 

Di qui la presenza, in testi di varie epoche, della grafia

Or or tel ferito (G. B. Marino, Adone)

Ti anche un altro bacio (I. Svevo, La coscienza di Zeno).

 

 

DOPODOMANI O DOPO DOMANI?

 

Nell’italiano contemporaneo, la grafia corretta è dopodomani con univerbazione

Dopodomani ci vediamo per firmare i contratti (S. Veronesi, Live)

prima era prima / ora è ora, e dopodomani si spera (D. Silvestri, Prima era prima).

 

 STORIA 

Come accade in molti di questi casi, l’univerbazione si è definitivamente affermata nell’ortografia solo a partire dal Novecento. 

Nei secoli precedenti era normale trovare anche in testi letterari una grafia diversa

«Dopo domani», rispose ancora Geltrude (A. Manzoni, Fermo e Lucia).

 

 

DOVERE

 

Il verbo irregolare dovere alterna – a seconda dei modi, dei tempi e delle persone – tre diverse radici: dev-, dov-, dobb-. 

• Quando la radice è accentata, si usa dev-

io devo, tu devi, lui deve 

• Quando non è accentata, si usano dov- e dobb-

noi dobbiamo, voi dovete, io dovevo, io dovrò, io dovrei, dovuto, dovendo 

• C’è poi una quarta radice: debb- che viene usata in alternativa a dev- nella 1a persona singolare e nella 3a persona plurale dell’indicativo 

devo / debbo, devono / debbono

nella 1a, 2a e 3a singolari e nella 3a plurale del congiuntivo presente

deva / debba, devano / debbano

Di solito, la forma in debb- è sentita come più letteraria e formale, anche se soprattutto nel congiuntivo oggi è prevalente

Ma debbo riconoscere che quei contadini nella capanna si trovavano benissimo (A. Moravia, La ciociara)

Devo uscire, devo scappare (P. V. Tondelli, Pao Pao)

Dove sta scritto che uno debba sapere chi è mai il grande Lebowski? (www.ilfattoquotidiano.it).

 

 STORIA 

In passato, nella tradizione letteraria fino all’Ottocento, si sono usate anche le forme deggio, deggiono (per devo, devono) e deggia, deggiano (per debba, debbano), sopravissute

duolmi che di fronte io deggia, / Serenissimo Doge, oppormi a voi (A. Manzoni, Il conte di Carmagnola)

e deggio anche confessare (I. Nievo, Le confessione di un italiano)

Più arcaiche le forme dei (per devi) e debbia (per debba)

déi tu fede alcuna o speme darli (T. Tasso, La Gerusalemme liberata)

E detto l’ho perché doler ti debbia! (D. Alighieri, Inferno).

 

 

DOVETTE O DOVÉ?

 

Il passato remoto del verbo dovere ammette la possibilità di usare (nella 1a e 3a persone singolari e nella 3a plurale) sia le forme con la desinenza -etti, sia le forme con la desinenza -ei

 

 

Entrambe le forme sono corrette, ma oggi dovetti, dovette, dovettero risultano più comuni e frequenti.

 

 

DOVUNQUE O D’OVUNQUE?

 

La forma corretta è dovunque, composta da dove e dall’elemento -unque che si trova anche in chiunque, qualunque, comunque.

La forma errata è dovuta probabilmente all’errata interpretazione di dovunque come incontro della forma ovunque e della preposizione di, come in d’altronde, d’ora in poi e simili.

 

 

DUBBIO, AVVERBI DI

 

Gli avverbi di dubbio indicano un’incertezza riguardo al significato di un verbo, di un aggettivo o di un altro avverbio. I più usati sono forse, quasi, probabilmente, eventualmente

Forse sto male

È diventato rosso, quasi viola

Probabilmente hai torto.

 

 

DUBITATIVO, CONGIUNTIVO

 

Il congiuntivo dubitativo esprime un dubbio, un’incertezza. Si usa nelle proposizioni interrogative dirette, soprattutto con il verbo essere, in forma assoluta oppure introdotto dalla congiunzione che

Fosse vero?

Che sia una bugia?

 

 USI 

Nelle interrogative retoriche è possibile usare in questa funzione anche l’indicativo futuro semplice e futuro anteriore

Oseranno rifiutare? 

Avranno detto la verità?

Si tratta di un uso oggi molto frequente, soprattutto con il verbo essere

Sarà vero?

Sarà stata solo un’impressione?

 

 

DUE PUNTI

 

Nella punteggiatura, i due punti hanno la funzione di spiegare, chiarire, dimostrare quello che è stato affermato nelle frasi precedenti. Si trovano dunque a introdurre:

- una dimostrazione, la conseguenza logica di un fatto, l’effetto di una causa

Premette il pulsante: il computer si accese 

- una frase con funzione di apposizione della precedente

Conobbe Chiara: una ragazza deliziosa

- una battuta di discorso diretto

Gli dissi: «Sto benone»

- un elenco di vario genere

Ho fatto molti lavori: giornalista, manager, consulente

Se l’elenco è formato dal soggetto o dal complemento oggetto della frase, i due punti non si devono usare

A scuola si studiano inglese, francese e tedesco (e non A scuola si studiano: inglese, francese e tedesco)

Ho mangiato tre biscotti e uno yogurt (e non Ho mangiato: tre biscotti e uno yogurt)

I due punti sono invece necessari quando gli stessi elenchi sono usati in funzione di apposizione

A scuola si studiano molte materie: inglese, francese e tedesco

Ho mangiato diverse cose: tre biscotti e uno yogurt.

 

 USI 

Anche se nella scrittura letteraria possono incontrarsi usi in sequenza dei due punti

Una certa praticaccia del mondo, del nostro mondo […] doveva di certo avercela: una certa conoscenza degli uomini: e anche delle donne (C. E. Gadda, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana)

Nulla è cambiato da allora: ostentazioni: imperterrite ostentazioni (A. Piperno, Con le peggiori intenzioni)

Usare i due punti più di una volta nello stesso periodo sintattico è un errore da evitarsi in tutti i tipi di scrittura non creativa.

 

 

DURARE: AVERE O ESSERE?

 

Il verbo durare può essere usato nei tempi composti sia con l’ausiliare essere sia con l’ausiliare avere

La guerra è durata cinque anni

L’agonia ha durato a lungo

Quando si vuole mettere in rilievo la durata dell’azione, si preferisce l’ausiliare avere

Ha durato più di un’ora a parlare

Naturalmente, in base alle norme della concordanza, quando si usa l’ausiliare essere il participio passato deve essere accordato in genere e numero con il soggetto

Questa situazione è durata troppo.

 

 USI 

Durare ha anche un uso transitivo con il significato di ‘sopportare’, presente nella tradizione letteraria dei secoli scorsi

Il rigido impero, le fami durar (A. Manzoni, Adelchi)

uso che è ancora vivo nell’espressione durare fatica ‘avere difficoltà, stentare’

Non duro fatica neanche a immaginare il successo (O. Fallaci, Un cappello pieno di ciliege)

e nei proverbi

Chi la dura, la vince.

 

VEDI ANCHE   

avere o essere?