C
CADÙCO O CÀDUCO?
La pronuncia corretta è cadùco, che conserva l’accentazione piana propria della base latina (cadùcum). La forma càduco, sconsigliabile, è dovuta a un’errata ritrazione dell’accento. Il plurale è caduchi.
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-co, -go, plurale dei nomi in
CAFFÈ vedi ACCENTO, ACUTO O GRAVE
CALCAGNI O CALCAGNA?
La parola calcagno (‘osso del tallone’) ha due plurali.
• La forma maschile calcagni si utilizza nella sua accezione propria.
• L’antica forma femminile calcagna, invece, è rimasta d’uso nelle locuzioni e nei proverbi
avere qualcuno alle calcagna (= qualcuno che ci insegue)
stargli alle calcagna (= tallonarlo).
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plurali doppi
CALCO
Il calco è un tipo di prestito che può interessare la forma (calco formale) o il significato (calco semantico) di una parola.
• Si ha un calco formale quando all’interno di una lingua si introducono un vocabolo o una locuzione (calco lessicale) o una struttura sintattica (calco sintattico) tradotti dalle rispettive forme esistenti in un’altra lingua
schiaccianoci (dalla parola tedesca Nussknacker, a sua volta da Nuss ‘noce’, e Knacker ‘che schiaccia’)
grattacielo (dalla parola inglese skyscraper, a sua volta da sky ‘cielo’, e scraper ‘che gratta’)
Le vostre speculazioni, se non erro, nascono dai vaneggiamenti di uno studente di teologia […] pronto a confessare non importa cosa (dalla locuzione francese n’emporte quoi ‘qualsiasi cosa’) (V. Evangelisti, Rex Tremendae maiestatis)
Occorre che i cittadini sappiano chi fa che cosa (dal modulo inglese con doppio interrogativo who does what?) (www.parma.repubblica.it)
• Si ha invece un calco semantico quando una parola, che ha in comune con la sua analoga straniera uno o più significati, assume per imitazione una nuova accezione
stella (famoso attore cinematografico, come nell’inglese star).
CAMICIE O CAMICE?
La grafia corretta del plurale di camicia è camicie.
Oltretutto, si evita così l’omografia con il singolare maschile càmice (‘indumento da lavoro’), il cui plurale è càmici.
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-cia, -gia, scia, plurale dei nomi in
CAMPAGNA O CAMPAGNIA?
La grafia corretta è campagna. La i, infatti, non viene pronunciata e risulta superflua anche per la pronuncia del gruppo -gn-.
Diverso il caso di parole come compagnìa in cui la i, accentata, ovviamente viene pronunciata.
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-gna o -gnia, -gne o -gnie, -gno o -gnio?
CAMUFFARE O CAMMUFFARE?
La forma corretta è camuffare. La forma errata cammuffare si deve forse al modello di verbi diversi come camminare o ammuffire.
CANCELLARE O SCANCELLARE?
La forma scancellare è derivata da cancellare tramite l’aggiunta del prefisso s-. Tra scancellare e cancellare c’è lo stesso rapporto che lega sbattere a battere, scacciare a cacciare, o sgocciolare a gocciolare.
Dunque la forma è tutt’altro che scorretta e gode anche di una notevole tradizione letteraria
Così mai scancellata la memoria / fia di te, madre, e del tuo figlio Amore (A. Poliziano, Stanze per la giostra)
Fa male – soggiunsi involontariamente premuroso di scancellare l’impressione di quelle mie parole (L. Capuana, Profili di donne)
le luci erano a tratti / scancellate dal crescere dell’onde (E. Montale, Le occasioni)
Nondimeno, una lunga tradizione grammaticale l’ha ritenuta a torto una forma sbagliata, considerando il prefisso s- negativo e quindi ridondante rispetto al significato del verbo cancellare. Anche se immotivata, la condanna delle grammatica scolastica ha pesato sull’uso corrente, che oggi vede in scancellare una variante più popolare e dunque sconsigliabile in contesti formali.
CANE / CAGNA
La femmina del cane è la cagna, parola che rappresenta l’evoluzione regolare di una base latina *caniam, probabilmente usata nel latino parlato come femminile di canis ‘cane’.
È da questa forma femminile che provengono molti derivati di cane, come cagnaccio, cagnetto, cagnone, cagnesco.
USI
Il femminile cana è usato solo nel linguaggio infantile, o con intento scherzoso
Io, lui e la cana femmina (C. Baglioni).
CANNOCCHIALE O CANOCCHIALE?
Entrambe le forme sono accettabili e largamente utilizzate, anche se oggi quella più frequente appare cannocchiale, che è ancora la forma più fedele all’etimo.
La forma cannocchiale corrisponde esattamente al nome coniato, all’inizio del Seicento, per definire quell’invenzione che Galileo Galilei aveva chiamato cannone o occhiale. Il nome – usato fin dall’inizio al maschile – può essere interpretato come un composto di canna e occhiale o forse, meno probabilmente, delle due parole usate da Galileo: cannone e occhiale.
CAPO-, PLURALE DEI COMPOSTI CON
Il plurale dei composti con capo- cambia in base al rapporto che lega questo primo elemento con il secondo elemento della parola composta e in base al genere (maschile o femminile) di quest’ultima.
• Se capo- indica una persona che è a capo di qualcosa, la flessione al plurale riguarda solo il primo elemento
il capostazione> i capistazione
il capogruppo > i capigruppo
• Se capo- indica una persona che è a capo di qualcuno, la flessione riguarda solo il secondo elemento
il capomastro> i capomastri
il caporedattore> i caporedattori
In entrambi i casi, se il nome composto è di genere femminile, il nome capo- rimane sempre invariato
la capostazione> le capostazione (e non capestazione)
la caporedattrice> le caporedattrici
• Se capo- è inteso nell’accezione di ‘ciò che eccelle sopra gli altri’, la flessione riguarda solo il secondo elemento
il capolavoro > i capolavori
• Nel caso in cui capo- sia seguito da un aggettivo, la flessione riguarda sia il primo, sia il secondo elemento
il caposaldo > i capisaldi (meno comune i caposaldi).
VEDI ANCHE
composte, parole
CAPOVERSO vedi PARAGRAFO
CARDINALI, AGGETTIVI NUMERALI
Gli aggettivi numerali cardinali sono aggettivi che indicano una quantità numerica precisa. Generalmente vengono posti prima del sostantivo e sono invariabili: tutti plurali, tranne uno (che ovviamente è singolare); tutti maschili, tranne uno, che ha il femminile una
Dieci ragazze per me posson bastare (L. Battisti, Dieci ragazze)
Eravamo quattro amici al bar che volevano cambiare il mondo (G. Paoli, Quattro amici al bar)
Le cose che abbiamo in comune son quattromilaottocentocinquanta (D. Silvestri, Le cose che abbiamo in comune)
I numerali cardinali possono anche essere sostantivati
Ti alzerai disfatto rimandando tutto al ventisette (= il giorno ventisette del mese) (F. De André, La città vecchia)
I numerali cardinali non vanno confusi con i numerali ordinali (primo, secondo ecc.).
USI
I numerali cardinali andrebbero scritti in cifre solo in contesti tecnici o scientifici; in qualunque altro tipo di testo sarebbe preferibile scriverli per esteso, tranne nel caso in cui si tratti di una data o di un numero molto alto
Torino, 12 maggio 2011 (o anche: 12.5.2011 / 12.v.2011)
La riparazione mi è costata 4.210 euro
Si possono usare scritture miste (cifre e lettere) con numerazioni alte, ma approssimative
Il loro sito ha avuto 8 milioni e mezzo di contatti
Nella scrittura tecnica o commerciale, il numerale cardinale viene spesso posposto al sostantivo quando questo sia un’unità monetaria o di misura
€ 50,00
kg 13
Il numerale cardinale si mette dopo il sostantivo a cui si riferisce anche quando indica la posizione in una successione
il capitolo 12, nel fascicolo 19 della rivista.
-CARE E -GARE, VERBI IN
Nei verbi che all’infinito finiscono in -care e -gare (come elencare o negare), per far sì che la pronuncia di c e g sia la stessa in tutte le voci, la grafia prevede l’aggiunta di una h davanti alle desinenze che cominciano con -e o con -i, dunque:
• in alcune forme dell’indicativo presente
tu elenc-h-i / neg-h-i
noi elenc-h-iamo / neg-h-iamo
• in tutte le forme dell’indicativo futuro
io elenc-h-erò / neg-h-erò, tu elenc-h-erai / neg-h-erai...
• in tutte le forme del congiuntivo presente
che io elenc-h-i / neg-h-i, che tu elenc-h-i / neg-h-i...
• in tutte le forme del condizionale presente
io elenc-h-erei / neg-h-erei, tu elenc-h-eresti / neg-h-eresti...
VEDI ANCHE
-co, -go, plurale dei nomi in
CAUSA, COMPLEMENTO DI
Nell’analisi logica, il complemento di causa indica il motivo per cui si compie o avviene un’azione o si crea una determinata situazione.
Il complemento di causa è introdotto dalle preposizioni per, di, da, con
La squadra è triste per la sconfitta
Trema di paura
Dalla pioggia che c’è, quasi non ci si vede
Con tutto quello che ho da fare, non farò mai in tempo
o da locuzioni preposizionali come a causa di, per motivo di, per colpa di
A causa di un incidente, la statale è chiusa al traffico
Per colpa di quella distrazione, abbiamo perso la partita.
CAUSA EFFICIENTE, COMPLEMENTO DI vedi AGENTE E CAUSA EFFICIENTE, COMPLEMENTI DI
CAUSALI, CONGIUNZIONI
Le congiunzioni causali sono congiunzioni subordinative che introducono le proposizioni causali esplicite.
Quelle più comuni sono perché, siccome, poiché, giacché, che, se
Non l’ho scelto, perché non mi convinceva del tutto
Siccome sono tuo amico, gli altri mi guardano male
Poiché insisteva, gli disse tutta la verità
Giacché lo sai, non sto qui a ripeterlo
Sbrigati, che è tardi
Se è qui, vuol dire che qualcuno l’ha chiamato
Nell’italiano contemporaneo, le proposizioni causali introdotte da siccome precedono sempre la proposizione reggente; quelle introdotte da perché e da che (o ché) possono solo seguirla.
Quelle introdotte da poiché e da giacché, tradizionalmente poste prima della reggente, nell’uso contemporaneo possono trovarsi anche dopo
viene tirato tutto per le lunghe, giacché gli attori (per pigrizia) non vogliono provare nei giorni dell’opera («Corriere della Sera»)
Un aumento [...] inconcepibile, poiché in totale contraddizione con l’andamento dei consumi (www.agi.it)
Le proposizioni causali possono essere introdotte, inoltre, da una serie di locuzioni congiuntive: per il fatto che, per il motivo che, dal momento che, dato che, visto che.
USI
Tra le congiunzioni causali, quella più usata, nello scritto e nel parlato, è perché. Poiché e giacché sono ormai usate soltanto nello scritto, e soprattutto in quello di una certa formalità. Come congiunzione causale, che è accettabile soltanto nel parlato: quando viene usata nello scritto viene spesso resa con la grafia ché, presentandola come una forma ridotta di perché (o di poiché o di giacché).
CAUSALI, PROPOSIZIONI
Nell’analisi del periodo, le proposizioni causali sono proposizioni subordinate che indicano la causa per cui avviene ciò che è espresso nella proposizione reggente.
Le proposizioni causali possono essere esplicite o implicite.
• Le causali esplicite sono introdotte da congiunzioni come perché, siccome, poiché, giacché, come, che (o ché) o da locuzioni congiuntive come per il fatto che, per il motivo che, dal momento che, dato che, visto che, in quanto (o in quanto che) e di solito vengono espresse all’indicativo
Andrò al cinema da solo, dato che tu non vuoi venirci
ma in alcuni casi possono essere costruite anche con il congiuntivo o con il condizionale
Non supera quello scoglio non perché non ne sia capace, ma perché non vuole
Ti chiamerò più tardi, perché vorrei parlarti
• Le causali implicite possono essere costruite con:
- per + infinito passato
Ecco in che situazione mi trovo, per essere stato troppo buono
- il gerundio, presente o passato
Conoscendolo, so che si comporterà bene
Avendo analizzato a lungo la proposta, ho deciso di non accettare
-il participio passato
Svegliato da un suono brusco, sobbalzò violentemente.
CAUSATIVI, SUFFISSI
I suffissi causativi sono suffissi che, aggiunti a un nome o a un aggettivo, danno vita a un verbo che ha il senso di ‘trasmettere a qualcosa o a qualcuno le caratteristiche di quel nome o aggettivo’.
I suffissi causativi più comuni sono:
- -ificare
diverso> diversificare
vivo> vivificare
- -izzare
martire> martirizzare
multimedia> multimedializzare.
CAUSATIVI, VERBI
I verbi causativi (detti anche fattitivi) sono verbi che esprimono un’azione non compiuta dal soggetto, bensì fatta compiere ad altri
addormentare (rispetto a dormire)
Possono assumere funzione causativa i verbi fare e lasciare seguiti da infinito
Lo hai fatto piangere
Lascia cadere la pistola a terra!
Anche alcuni verbi intransitivi, usati come transitivi, possono assumere valore causativo
invecchiare il vino (= farlo invecchiare)
riposare gli occhi (= farli riposare).
CELEBRE, SUPERLATIVO DI
Il superlativo di celebre è celeberrimo. Celebre infatti è uno degli aggettivi che formano il superlativo assoluto aggiungendo il suffisso -errimo anziché -issimo.
VEDI ANCHE
-errimo, superlativi in
CENTELLÌNO O CENTÈLLINO?
La forma corretta è centellìno.
Il verbo centellinare ‘bere, gustare, assaporare a poco a poco’, deriva infatti dal sostantivo centellìno ‘piccolo sorso di bevanda’.
La forma centèllino, sconsigliabile, è dovuta a un’errata ritrazione dell’accento.
CENTINAIO O CENTINAIA?
Centinaio (maschile) è singolare, centinaia (femminile) è plurale
un centinaio ma due centinaia
È uno di quei casi in cui in italiano un nome maschile in -o presenta un plurale femminile in -a, perché proveniente da un etimo latino di genere neutro: qui il latino tardo centenarium (al plurale centenaria).
USI
Spesso centinaio e centinaia vengono usati con valore approssimativo di ‘circa cento’, o con valore indeterminato di ‘molti, parecchi’
Ho ricevuto un centinaio di lettere
Passeranno centinaia d’anni.
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plurale dei nomi
C’ENTRA O CENTRA?
Nel significato di ‘ha attinenza, ha a che fare con qualcuno o qualcosa’, la grafia corretta è c’entra
Questo tavolo non c’entra niente con il resto dell’arredamento
Infatti, sia pure in un uso figurato, si tratta di una voce del verbo entrare preceduta da ci in funzione di avverbio di luogo, che davanti a vocale è soggetto a elisione (ci entra > c’entra)
Vedi quella casa? Chi c’entra per primo ha vinto
Questa grafia vale per tutte le voci del verbo in cui si ricreano le stesse condizioni
Che c’entro io con questa gente?
Quella cosa che hai detto non c’entrava per niente
Non vale invece per l’infinito, il gerundio e il participio, in cui ci segue la voce verbale
Ha detto di non entrarci nulla
Non entrandoci affatto con il tema, quella frase andava tolta
Centra, senza apostrofo, è invece una forma del verbo centrare (‘colpire il bersaglio’, anche in senso figurato); quindi esiste nella nostra lingua, ma ha un significato diverso
L’Inter centra il grande slam.
CE O CIE, GE O GIE, SCE O SCIE?
Ci sono casi in cui, nella grafia, si usa una i superflua, che non solo non si pronuncia, ma non ha neanche la funzione di determinare la corretta pronuncia della lettera o dei gruppi di lettere precedenti.
• In alcune parole la i è il residuo di un’antica pronuncia
cieco (accecare o acciecare?)
cielo (anche per distinguerla dall’omofona celo ‘nascondo’)
• In alcuni plurali dei nomi in -cia e -gia, la i si conserva per influenza della grafia del singolare
camicie, valigie
• In alcune parole la i si mantiene per influenza della grafia latina
specie, fattispecie, effigie, superficie
In casi come questi non esiste una regola sicura: l’unico modo per non sbagliare è consultare il vocabolario. Per orientarsi, si può ricordare che:
- generalmente la i superflua non si trova in una sillaba non accentata (tra le poche eccezioni: scienziato e coscienzioso)
- la i invece tende a rimanere nella grafia delle parole in -ciente e -cienza, -ciere e -ciera, -giera
cosciente, deficiente, efficiente, prospiciente, sufficiente (ma facente)
coscienza, deficienza, efficienza, scienza, sufficienza
artificiere, lanciere, paciere, pasticciere, usciere
cartucciera, crociera
formaggiera, gorgiera, raggiera.
USI
Le pronunce ciéco, ciélo e simili, che mettono in evidenza la i, sono frequenti nel parlato meridionale, ma sono errate. La i, infatti, è bene ribadirlo, è superflua dal punto di vista del suono e non va resa nella pronuncia.
In generale, la i superflua non è ammessa in sillaba non accentata (tranne qualche caso: scienziato, coscienzioso; d’altra parte: *pasticcieria, *leggierezza ecc.) e tende a sparire rispetto a un secolo fa, quando erano ancora diffuse grafie come messaggiero e passeggiero, oggi non più accettabili.
CERVELLI O CERVELLA?
La parola cervello ha due plurali.
• Il plurale maschile cervelli ha gli stessi usi del singolare, anche figurati
Le scoperte dei ricercatori italiani all’estero: un effetto della fuga di cervelli
Cervelli elettronici dotati di una memoria straordinaria
• La forma femminile cervella, invece, indica specificamente ‘la materia di cui si compone il cervello’. Si usa soprattutto in espressioni idiomatiche
farsi saltare le cervella (= uccidersi con un colpo d’arma da fuoco alla testa)
Inoltre, specie in alcune regioni, è usato in riferimento al cervello degli animali macellati e alle specialità gastronomiche che se ne ricavano
cervella d’agnello
un piatto di cervella fritte.
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plurali doppi
plurale dei nomi
CHE, COSA O CHE COSA?
Tutte e tre le forme del pronome interrogativo cosiddetto ‘neutro’ sono corrette e ampiamente diffuse nell’italiano contemporaneo nelle proposizioni interrogative sia dirette, sia indirette
Che / cosa / che cosa mi volevi dire?
Non mi ricordo più di che / di cosa / di che cosa ti volevo parlare
Cosa appare oggi la forma più comune in tutti i livelli dello scritto e del parlato, ma non ha affatto scalzato dall’uso le più tradizionali che e che cosa.
STORIA
La forma che nella storia dell’italiano si è affermata più tardi è stata proprio cosa, considerata dai grammatici una forma da evitarsi. La fortuna di cosa è cominciata alla metà dell’Ottocento, quando Manzoni – seguendo il modello del fiorentino parlato dalle persone colte – corresse in cosa i che cosa usati nella prima edizione dei Promessi sposi.
CHE O CUI?
Nei complementi indiretti, il pronome relativo che di regola viene sostituito dalla forma obliqua
il viaggio di cui ti ho parlato
l’agenzia a cui si è affidato
il punto da cui sono partiti
la città in cui abbiamo vissuto
le persone con cui abbiamo viaggiato
l’aereo su cui abbiamo volato
il motivo per cui abbiamo litigato
le possibilità tra cui abbiamo scelto
Cui è sempre preceduto da preposizione, tranne nel caso del complemento di termine, in cui la a è facoltativa
l’agenzia a cui si è affidato / l’agenzia cui si è affidato.
USI
Nel parlato informale non è raro sentire l’uso di che anche per i complementi indiretti (il cosiddetto che indeclinato), con o senza ripresa tramite un pronome atono (personali, pronomi)
Alberto è uno che (= di cui) ti puoi fidare
La carta che (= con cui) ci si fanno i giornali.
STORIA
Nei testi antichi non è raro trovare che al posto di cui
Questo è il diavolo di che io t’ho parlato (G. Boccaccio, Decameron).
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relativi, pronomi
CHE O IL QUALE?
In funzione di soggetto e ancor più di complemento oggetto, la forma composta del pronome relativo il quale risulta oggi meno frequente e più formale di che
Ho incontrato un passante che mi ha aiutato a portare le borse
Ho incontrato un passante il quale mi ha aiutato a portare le borse
Come complemento indiretto, invece, il tipo preposizione articolata + quale appare altrettanto comune del tipo preposizione semplice + cui
il funzionario al quale / a cui ho parlato
il film del quale / di cui mi dicevi ieri
Ma le due forme non si possono considerare intercambiabili:
• quando la proposizione relativa aggiunge un’informazione supplementare (relativa esplicativa) si possono usare sia che, sia il quale
I bambini, che / i quali avevano mangiato il gelato, non poterono fare il bagno (tutti i bambini di cui si parla hanno mangiato il gelato)
• quando invece la proposizione relativa determina il nome a cui si riferisce distinguendolo in modo univoco da un insieme più ampio di persone, animali o cose (relativa restrittiva), si può usare solo che
I bambini che hanno mangiato il gelato non possono fare il bagno, tutti gli altri sì! (non I bambini i quali hanno mangiato il gelato)
• le forme dei / delle quali sono invece le uniche possibili quando seguano un numerale cardinale o un pronome indefinito che sono parte della stessa proposizione relativa
C’erano sei agenti, tre dei quali in borghese
Ho fatto un sacco di proposte, alcune delle quali sono state accettate.
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relativi, pronomi
CHE O QUALE?
Quando hanno la funzione di aggettivi interrogativi, sia che, sia il quale sono forme corrette.
Oggi nelle proposizioni interrogative dirette, l’uso di che è forse più frequente rispetto a quello di quale
Che libro stai leggendo?
Quale vino vuole per accompagnare il pesce?
Nelle interrogative indirette, i due aggettivi sembrano essere usati più o meno con la stessa frequenza
Mi piacerebbe sapere che sogni fai (G. Grignani, Mi piacerebbe sapere)
E quali santi pregare per quali amori morire (L. Barbarossa, Dove si va si va).
CHIACCHIERA O CHIACCHERA?
La forma corretta è chiacchiera, con la i come nel verbo chiacchierare, da cui il sostantivo è derivato.
Le forme errate chiacchera e chiaccherare si sono create probabilmente per l’influsso di parole come chicchera e schicchera e soprattutto di verbi come inzaccherare o zuccherare (tutti senza la i).
CHILO- O KILO-?
Entrambe le grafie di questo prefissoide sono comuni e accettate
Il limite di velocità nei centri abitati è di 50 kilometri all’ora
Ieri ho pedalato per qualche chilometro
Nella lingua di tutti i giorni, la parola chilo o kilo si usa esclusivamente come forma accorciata di chilogrammo (o kilogrammo)
Mele golden: un euro al kilo
A quindici mesi pesa già dodici chili.
STORIA
La variante kilo- è entrata nella nostra lingua attraverso il francese. Sia il vocabolo italiano, sia quello francese derivano dal greco khìlioi ‘mille’, ma è in Francia che nel 1795 la Convenzione Nazionale introdusse il sistema metrico decimale come unità di misura ufficiale; le forme con k- iniziale si sono poi diffuse in tutto il mondo.
CHIOCCIOLA vedi @ (AT)
CHIUNQUE
Il pronome chiunque può avere una duplice funzione.
• Come pronome indefinito indica genericamente ‘qualunque persona’
Alla festa del paese chiunque sarà ben accetto
• Come pronome relativo indefinito significa ‘qualunque persona che’
Chiunque lo desideri può scattare delle fotografie al quadro
Per questa ragione va evitata la forma ridondante chiunque che
Chiunque sappia, parli non Chiunque che sappia, parli
In entrambe le funzioni, chiunque è invariabile: ha solo il singolare e serve sia per il maschile, sia per il femminile
chiunque di voi sia stato / chiunque di voi sia stata.
CH O K?
La lettera k è estranea all’alfabeto italiano, ma ormai presente in un certo numero di prestiti da diverse lingue (nel Grande Dizionario della Lingua italiana dell’uso diretto da Tullio De Mauro le grafie con la k sono più di tremila).
Oggi la k si incontra spesso nelle nuove scritture telematiche (e-mail, SMS, chat, forum, blog, social network) in sostituzione del nesso ch, sia all’inizio, sia all’interno di parola
ke, kiedere
anke, riskiare
Ma l’intento, più che quello di risparmiare spazio o tempo, sembra quello di usare una grafia espressiva, diversa, divertente. A insospettire è soprattutto il fatto che spesso la k rende il medesimo suono che renderebbero la sola c o la sola q
kasa, kuello.
USI
Il valore evocativo della k sembra oggi rispondere a una moda telematica internazionale. Anche in francese, la k è usata sia là dove l’ortografia richiederebbe due lettere (kand invece di quand ‘quando’), sia come semplice vezzo grafico (kom per comme ‘come’). In inglese, fra i tanti usi grafici non convenzionali (come quello della z al posto della s in grafie come girlz per girls ‘ragazze’ e pleaz per please ‘per piacere’), la k trova posto in rese del tipo di skool per school ‘scuola’.
STORIA
Nei documenti più antichi della nostra lingua, il suono iniziale di casa o di che era spesso reso con la k (in forza del modello rappresentato dall’alfabeto latino). Così accade, ad esempio, in quello che convenzionalmente è considerato il più antico testo della lingua italiana, il Placito di Capua, del 960 d.C.
Sao ko kelle terre per kelle fini que ki contene
Già negli anni Settanta del Novecento, la lettera k ebbe una notevole fortuna in una serie di usi fortemente espressivi, adottati soprattutto dai movimenti politici extraparlamentari negli scritti di propaganda, nei volantini e nelle scritte sui muri (il cosiddetto kappa politico)
Fascio, okkio al kranio
Poi, passando attraverso il linguaggio pubblicitario, è giunto fino al linguaggio giovanile degli anni Ottanta e Novanta.
CI
Ci (come vi) può avere diversi valori.
1. Può essere un pronome personale atono di 1a persona plurale.
• In funzione di complemento oggetto
Tu ci hai sentito (= hai sentito noi)
• In funzione di complemento di termine
Ci ha portato molti regali (= ha portato a noi)
• Oppure usato con verbi riflessivi o pronominali, e nella costruzione impersonale
Fate i bravi, altrimenti ci arrabbiamo!
Ci si vede più tardi
2. Può essere un avverbio di luogo.
• Quando si intende nel significato di ‘qui, in questo luogo; lì, in quel luogo’ (con verbi di stato o di moto)
Finalmente ci siamo
Conosco bene il posto perché ci vado spesso
• Quando si intende nel significato di ‘per questo, per quel luogo’ (con verbi di moto)
Ci passo spesso
• A volte si usa in costrutti che possono apparire ridondanti, ma corrispondono in realtà a delle dislocazioni
Non pensavo che in questo paese ci si stesse così bene
Mi ci son trovato anch’io in questa situazione
Da quell’orecchio non ci sente
• Sempre con valore locativo, può accompagnarsi al verbo essere, per significare l’esistenza di persone o cose il trovarsi di queste in un determinato ambiente
Ci sono moltissime specie di animali e di piante
C’è qualcuno in casa?
Spero che ci sia pane per tutti
C’è ancora tempo
• È usato anche nelle locuzioni verbali con valore indeterminato
Mi ci vuole più tempo
Ci vuole ben altro!
Ci corre da lui a te!
Io ci sto
• Può essere un pronome dimostrativo:
- riferito a una cosa è preceduto da preposizione ed equivale a una serie di significati diversi
‘a ciò’
Non ci credo
Non ci posso far nulla
‘su ciò’
Ci puoi contare
‘da ciò’
Quanto conti di guadagnarci?
‘in ciò’
Non ci capisco nulla
Io ci rimetto
Che c’entro io?
Non ci vedo chiaro
- riferito a una persona, è corretto solo per significare ‘con lui’, ‘con lei’, ‘con loro’, quando questi pronomi (o il nome della persona) siano già stati espressi o si possano facilmente sottintendere
Con lui è tanto tempo che non ci vado più
Ci usciva già da un anno, quando si sono fidanzati
È invece di uso popolare, quindi da evitarsi, l’uso del ci nel senso di ‘a lui’, ‘a lei’, ‘a loro’
L’ho guardato e ci ho detto
A Maria ci ho telefonato l’altra sera
Ci insegneremo a vivere, a tutti questi bambini.
USI
Nel parlato e nello scritto informale è molto diffuso l’uso di ci per rafforzare il verbo avere (il cosiddetto ci attualizzante)
Aspettate, c’ho un problema con l’avviamento del motore
Soprattutto in frasi come
C(i) ho caldo
C(i) hai sonno?
C(i) avevamo fame
In alcuni casi, l’uso di ci è obbligatorio
«ce l’hai l’ombrello?» «ce l’ho» (non l’ho)
L’uso del ci attualizzante è tipico della lingua parlata e per questo motivo la sua grafia non ha mai ricevuto una codificazione normativa. Sono possibili tre diverse realizzazioni scritte, ma per diverse ragioni risultano tutte insoddisfacenti.
• La grafia con elisione c’ho è molto usata, soprattutto in internet, ma crea un’eccezione alla norma ortografica per la quale la c seguita da lettere diverse da e o i ha valore velare (si dovrebbe leggere ‘co’, non ‘ciò’)
io pure non c’ho capito molto (forum.soleluna.com)
c’hanno fregato ancora (www.stopcensura.com)
• La grafia ci ho è formalmente corretta ma non rispecchia la reale pronuncia, a meno che il lettore non elida mentalmente la i. Questa soluzione era adottata da molti scrittori del secondo Ottocento che intendevano riprodurre le movenze dell’oralità
e ci ho la moglie anch’io (G. Verga, I Malavoglia)
che colpa ci ho io? (L. Capuana, Novelle)
• La grafia univerbata ciò rispecchia la reale pronuncia ma presuppone un’inesistente forma verbale *ciavere
Io ciò un amico (www.rimaiolo.it)
Su l’anticaja a piazza Montanara ciànno scritto: Teatro de Marcello (G. G. Belli, Sonetti).
-CIA, -GIA, -SCIA, PLURALE DEI NOMI IN
Nei plurali dei sostantivi femminili terminanti con le sillabe -cia o -gia non accentate, la grafia segue di solito una regola pratica:
- si conserva la i quando la c e la g sono precedute da vocale
acacia> acacie
ciliegia> ciliegie
- si elimina la i quando c e g sono precedute da consonante
goccia> gocce
spiaggia> spiagge
Si tratta di una questione puramente ortografica: al plurale, infatti, la i non viene pronunciata (come nel singolare) e non serve neanche a indicare la corretta pronuncia della c e della g (come invece accade nel singolare); dunque potrebbe essere eliminata sempre. E questo accade – in una situazione analoga – con i nomi che terminano con la sillaba -scia non accentata
conscia> consce
coscia> cosce
fascia> fasce
Quando invece la i dei gruppi -cia, -gia, -scia è accentata, al plurale (ovviamente) si conserva sempre
farmacìa> farmacìe
strategìa> strategìe
scìa> scìe.
STORIA
La regola pratica che viene qui indicata per le parole in -cia e -gia si è diffusa e imposta solo a partire dalla metà del Novecento. Questo spiega, in testi più antichi, la presenza di grafie che seguono un diverso criterio, ispirato dall’etimologia
provincie (latino provinciae)
ciliege (latino *cereseae)
La prima grafia, ad esempio, si ritrova ancora nelle targhe e nei cartelli stradali di molte città.
CIASCUNO O OGNUNO?
Ciascuno e ognuno sono pronomi indefiniti usati per indicare una quantità non determinata della quale si vogliono considerare i singoli elementi.
• Quando i due pronomi precedono il verbo, questo è coniugato al singolare
Ciascuno riceverà la sua parte
Ognuno è fabbro della sua sconfitta / ognuno merita il suo destino (F. De Gregori, Vai in Africa Celestino)
• Quando i due pronomi seguono il verbo, quest’ultimo è coniugato al plurale
Svolgono ognuno la propria mansione
E non abbiamo ciascuno lo stesso sentimento? (L. Pirandello, Il fu Mattia Pascal)
Ciascuno e ognuno hanno il femminile (ciascuna di voi, ognuna di voi) ma non il plurale. Inoltre possono essere seguiti dal complemento partitivo
Ho pensato a un regalo per ciascuno / ognuno di voi
I pronomi ciascuno e ognuno hanno anche un uso distributivo
Hanno distribuito una caramella ciascuno
Canterete una canzone ognuno
A differenza di ognuno, ciascuno può essere usato anche come aggettivo
È prevista una pausa dopo ciascun atto
Al maschile, la forma dell’aggettivo ciascuno cambia a seconda della parola che viene dopo, seguendo le stesse regole che valgono per l’articolo indeterminativo uno / un
ciascuno iettatore / juventino / gnocco / psicologo / storico / sciocco / zio
ciascun flusso / gradino / amico / dado / terreno/ erede
La forma femminile è sempre ciascuna
Ciascuna coppia fa storia a sé
Ciascuna storia è diversa dall’altra
Ciascuna idea è degna di rispetto.
CIGLI O CIGLIA?
La parola ciglio ha due plurali.
• Il maschile cigli, invece, indicherebbe ‘le estremità di una strada lungo un solco, un fosso, un precipizio’. Con questi significati tuttavia il vocabolo è usato prevalentemente al singolare
il ciglio della strada> i cigli della strada
• Il plurale femminile ciglia si usa in riferimento ai peli che sono sulle palpebre; oppure, in ambito scientifico, a strutture vagamente simili come aspetto ma non come funzione (ad esempio le ciglia che tappezzano le vie respiratorie)
Batteva le ciglia per la luce
I protozoi si muovono tramite flagelli, ciglia o pseudopodi.
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plurali doppi
CILIEGIE O CILIEGE?
In base alla regola empirica che si usa per il plurale dei nomi in -cia, -gia, -scia, la grafia corrente del plurale di ciliegia è ciliegie.
Tuttavia, fino alla metà del secolo scorso ha avuto una certa diffusione anche la grafia ciliege (latino *cereseae). La si ritrova ancora nel titolo dell’ultimo romanzo di Oriana Fallaci, pubblicato postumo: Un cappello pieno di ciliege. In questo secondo caso, la scelta si dovrà o alla formazione linguistica della scrittrice (nata nel 1929) o all’ambientazione storica del romanzo, dato che l’espressione proviene da una lettera che s’immagina scritta nel Settecento.
CIOÈ vedi DICHIARATIVE, CONGIUNZIONI
CIONONOSTANTE O CIÒ NONOSTANTE?
Sono da considerarsi corrette sia le grafie separate ciò nonostante e ciò non ostante, sia le grafie con univerbazione ciononostante e cionnonostante (con raddoppiamento sintattico), anche se quest’ultima è oggi molto meno frequente.
CIRCONFLESSO, ACCENTO
L’accento circonflesso (^), presente in francese (e quindi in alcuni prestiti, come ad esempio crêpe), è un segno che nell’italiano contemporaneo è caduto in disuso quasi del tutto.
Tradizionalmente, tuttavia, assolveva ad almeno tre diverse funzioni:
- la resa del plurale di nomi e aggettivi in -io
vario> varî (o varii o, più anticamente, varj)
- la distinzione, anche in altri casi, tra due omografi
côrso (= della Corsica)
corso ( = participio passato di correre, o sostantivo derivato dallo stesso verbo)
- la segnalazione di alcuni tipi di contrazione propri della lingua antica o poetica
tôrre (= togliere)
côrre (= cogliere).
VEDI ANCHE
accento
CIRCÙITO O CIRCUÌTO?
Si tratta di una coppia di omografi.
• Circùito, con accentazione sdrucciola (come nell’etimo latino circùitum) significa ‘circonferenza, percorso, sistema elettrico’
Sebastian Vettel vinse la sua prima gara sul circùito di Monza
• Circuìto, con accentazione piana, è il participio passato del verbo circuìre
Hanno circuìto una coppia di anziani per poi derubarli.
STORIA
La pronuncia piana circuìto è stata usata nei secoli scorsi anche per il significato di ‘percorso’, forse anche in un passo dantesco
Or perché in circuito tutto quanto / l’aere si volge (D. Alighieri, Purgatorio)
Oggi è tuttavia una pronuncia da considerarsi errata.
CLITICI, PRONOMI vedi PERSONALI, PRONOMI
CODARDÌA O CODÀRDIA?
La pronuncia corretta è codardìa, con accentazione piana come nel caso degli altri nomi astratti derivati tramite il suffisso -ia da aggettivi
codardo> codardìa
allegro> allegrìa
geloso> gelosìa
o anche da nomi
signore> signorìa
tiranno> tirannìa.
USI
La pronuncia codàrdia è da considerarsi errata. Nel caso di termini scientifici come afasia, aritmia, embolia, però, la pronuncia con accentazione sdrucciola è rara ma accettata sulla base della doppia accentazione diffusa nel latino scientifico a partire dal suffisso greco -ìa.
CODESTO
Codesto è usato oggi soltanto in Toscana o nella lingua burocratica per indicare vicinanza a chi ascolta (o legge)
Ti garba codesto libro?
Il sottoscritto chiede a codesta amministrazione la seguente autorizzazione
Altre forme possono avere funzioni analoghe a quelle degli aggettivi dimostrativi.
• Tale (indefiniti, aggettivi e pronomi)
Tale domanda mi lascia perplesso
L’incontro è avvenuto in tale circostanza
• Simile
Un simile uomo fa al caso nostro
Non mi piace una simile domanda
• Stesso, medesimo
Lo stesso uomo risolverà la difficile situazione
La medesima questione pone seri problemi
e tutta una serie di aggettivi caratteristici ormai del linguaggio burocratico o comunque dell’italiano scritto formale, detto, suddetto, anzidetto, citato, succitato, sottoscritto, presente
Il suddetto ufficio richiede chiarimenti in proposito
Il presente documento ha valore ufficiale.
USI
Sto, sta, sti, ste (anche con l’apostrofo ’sto, ’sta, ’sti, ’ste) sono forme tipiche del linguaggio parlato informale, da evitare nello scritto, se non per imitare il registro colloquiale
Cos’è tutto sto casino?
Tommaso lasciò cadere pure stavolta il discorso, non chiedendo altre precisazioni su ’sto ragazzo (P. P. Pasolini, Una vita violenta)
Sta ragazza è un po’ acidella (F. Maphia, Ragazze acidelle)
Nell’univerbazione danno origine alle forme obbligatorie stavolta, stamattina, stamane, stasera, stanotte (più informali rispetto a questa volta, questa mattina, questa sera, questa notte)
Stasera ci facciamo il bagno. Contenta? (N. Ammaniti, Ti prendo e ti porto via)
Qui, ai loro posti, questa sera sedevamo noi, i vivi (G. Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini)
Nell’italiano informale e parlato questo e quello possono essere rafforzati rispettivamente dagli avverbi di luogo qui, qua e lì, là, da collocare dopo il sostantivo
questa casa qui, quel giardino là, questo libro qua, quei fiori lì.
VEDI ANCHE
dimostrativi, aggettivi
quello
questo
COEFFICIENTE O COEFFICENTE?
La grafia corretta è coefficiente (composto di co- + efficiente).
-CO, -GO, PLURALE DEI NOMI IN
I nomi che terminano in -co e -go possono formare il plurale in -chi e -ghi oppure in -ci e -gi. A determinare l’oscillazione è (sia pure non in tutti i casi) la posizione dell’accento:
- i nomi con accentazione piana di solito hanno il plurale in -chi e -ghi
fuòco> fuochi
làgo> laghi
- i nomi con accentazione sdrucciola di solito hanno il plurale in -ci e -gi
mèdico> medici
psicòlogo> psicologi.
COLLETTIVI, NOMI
I nomi collettivi indicano un gruppo generico di persone, animali o cose
folla, esercito
branco, sciame
fogliame, pentolame, paccottiglia
Possono assumere valore collettivo (e concreto) anche altri tipi di parole:
- i numerali che esprimono un’unità o che forniscono un senso approssimativo di quantità
dozzina, decennio
un centinaio
- i nomi astratti utilizzati al posto di una categoria
la gioventù (inteso come ‘i giovani’)
la stampa (inteso come ‘i giornalisti’)
- i nomi concreti che di per sé non sono collettivi, ma sono percepiti come tali per l’uso traslato che se ne fa in alcuni linguaggi settoriali
Trasmissioni che interessano una larga fascia di spettatori
Abbonamenti per l’intera rete autofilotranviaria.
COLLUTORIO O COLLUTTORIO?
La forma corretta è collutorio. La parola, infatti, deriva dal latino collùtus, con una sola t, a sua volta da collùere, ovvero ‘sciacquare’.
La forma errata colluttorio, molto diffusa fino a qualche anno fa anche nella pubblicità dei prodotti farmaceutici, si deve forse al modello di parole come colluttazione
A cosa serve il collutorio antibatterico? (www.inerboristeria.it)
Il colluttorio è un vero e proprio alleato della bocca e delle gengive (www.colluttorio.it).
COLMO O COLMATO?
Si tratta di due diverse forme del participio passato del verbo colmare ‘riempire fino all’orlo’ che nell’italiano contemporaneo hanno diversificato e specializzato il proprio uso.
• Colmo, participio passato senza suffisso (o participio accorciato), si usa solo in funzione di aggettivo qualificativo
Un bicchiere colmo di spumante
La misura è colma
• Colmato si usa come participio passato del verbo colmare
Finalmente ho colmato le lacune in matematica.
DUBBI
Diversa origine ha il sostantivo colmo (dal latino culmen), che indica ‘il punto più alto, l’apice’, sia in senso proprio sia in senso figurato, e oggi si usa soprattutto nell’espressione è il colmo! ‘è troppo, è stato superato il limite!’
Era al colmo della felicità
Basta, questo è il colmo!
STORIA
Il valore propriamente verbale di colmo era vivo nella lingua dei secoli scorsi
Hai colmo la misura de’ cattivi pensieri (C. Cantù, Storia universale).
COLPA, COMPLEMENTO DI
Nell’analisi logica, il complemento di colpa indica la colpa di cui qualcuno è responsabile o per la quale viene accusato.
Può essere introdotto dalle preposizioni di e per
Il colpevole del furto è stato arrestato
Mi sento responsabile per quello che è successo.
COMINCIARE vedi FRASEOLOGICI, VERBI
COMPAGNIA O UNIONE, COMPLEMENTI DI
Nell’analisi logica, il complemento di compagnia indica la persona o l’animale insieme al quale si compie o si subisce un’azione. Può essere introdotto dalla preposizione con o dalle locuzioni preposizionali insieme con, insieme a, in compagnia di ecc.
Paola è andata a fare la spesa con sua sorella
In Francia abitavo insieme alla mia gatta
Il complemento di unione è analogo al precedente, solo che si riferisce a una cosa o a un oggetto
Franco gira sempre con il suo nuovo portatile
Sei uscito ancora con quei pantaloni macchiati!
COMPARATIVE, CONGIUNZIONI
L’unica congiunzione comparativa propriamente detta è che, usata per introdurre il secondo termine di paragone o una proposizione comparativa
Adesso è meglio una tisana che un caffè
È peggio che andar di notte
Il secondo termine di un comparativo di maggioranza o di minoranza può essere introdotto anche dalla preposizione di; nel caso di un comparativo di uguaglianza, si usano gli avverbi quanto e come
Luca è più veloce di Marco
Sei meno attento di me
È buono quanto Giovanni
Mangia come un lupo
Le proposizioni comparative di maggioranza o di minoranza possono essere introdotte anche dalle locuzioni congiuntive di quanto, di quello che, di come (se esplicite) o da piuttosto che, piuttosto di (se implicite); quelle di uguaglianza sono introdotte da come, quanto, quale
Il film era meno interessante di quanto dicesse il giornale
Piuttosto che rinunciare alla festa, sono pronto a studiare il doppio
Andare da lui è come tornare indietro nel tempo.
VEDI ANCHE
grado degli aggettivi
COMPARATIVE, PROPOSIZIONI
Nell’analisi del periodo, le proposizioni comparative sono proposizioni subordinate che introducono una comparazione con la proposizione reggente (principali, proposizioni).
Le proposizioni comparative possono essere di maggioranza, di minoranza o di uguaglianza.
Le comparative di maggioranza e di minoranza possono essere esplicite o implicite:
- quando sono esplicite sono introdotte dalla congiunzione che e dalle locuzioni congiuntive di quanto, di quello che, di come, che entrano in correlazione con alcuni elementi presenti nella proposizione reggente (più o meglio per quelle di maggioranza, meno o peggio per quelle di minoranza); il verbo può essere all’indicativo, al congiuntivo o al condizionale (negli ultimi due casi può anche essere preceduto da un non rafforzativo)
Il libro è più interessante di come lo descrivi
La soluzione è più efficace di quanto tu non creda
L’albergo era peggio di quello che avrei pensato
- quando sono implicite, il verbo è all’infinito, introdotto da che, piuttosto che, piuttosto di
Più che cantare, parlava
Farei qualunque cosa piuttosto che dir di no
• Le comparative di uguaglianza possono essere solo esplicite e sono introdotte da come, quanto, quale, anche in correlazione con vari elementi della proposizione reggente (rispettivamente: così, tanto, tale); il verbo può essere all’indicativo o al condizionale
L’ho detto a lui come faccio di solito
Tanto è bravo Gaetano quanto è pigra Luisa
A parte vanno considerate le comparative di analogia e le comparative ipotetiche.
• Le comparative di analogia stabiliscono un rapporto di analogia o di diversità con la proposizione reggente. Possono essere solo esplicite e sono introdotte dalla congiunzione che o dalle locuzioni congiuntive secondo che, nel modo in cui (o nel modo che); il verbo può essere all’indicativo o al condizionale
Luca è uguale a come appariva in foto
L’ho preparato nel modo in cui s’è detto
• Le comparative ipotetiche sono quelle in cui la comparazione con la proposizione reggente si presenta in forma di ipotesi o di condizione. Possono essere esplicite o implicite:
- quando sono esplicite sono introdotte da come se, quasi, quasi che, come; il verbo è al congiuntivo
Se n’è andato come se avesse ragione
Fa caldo quasi fosse primavera
Non accettare era come dargli torto.
COMPARATIVI, AGGETTIVI vedi GRADO DEGLI AGGETTIVI
COMPARATIVI E SUPERLATIVI DEGLI AVVERBI
Così come avviene per gli aggettivi (grado degli aggettivi), anche la maggior parte degli avverbi possiede il grado comparativo e il grado superlativo
spesso> più (meno) spesso > spessissimo
tardi> più (meno) tardi > tardissimo
Allo stesso modo, anche per gli avverbi esistono forme particolari (dette organiche), come
bene> meglio> ottimamente.
CÓMPITO O COMPÌTO?
Si tratta di una coppia di omografi.
• Cómpito, con accentazione sdrucciola, è un sostantivo maschile (dal latino tardo còmputum) e indica il lavoro assegnato a sé o agli altri e, per estensione, ciò che spetta di fare a qualcuno
La professoressa ci ha assegnato un bel po’ di cómpiti a casa
Il tuo cómpito sarà quello di vigilare
• Compìto, con accentazione piana, è un aggettivo che significa ‘educato, dai modi signorili’
È una persona davvero compìta.
STORIA
Compìto ‘portato a termine’, in origine era il participio passato del verbo compire poi soppiantato dalla variante compiere e dunque dal participio passato compiuto.
COMPLEMENTARITÀ O COMPLEMENTARIETÀ?
La forma corretta è complementarità (dall’aggettivo complementare + il suffisso -ità)
complementare> complementarità
La forma errata complementarietà si deve a una confusione con i nomi astratti che derivano da aggettivi in -io, come precarietà da precario (-ità, -ietà o -eità?).
COMPLEMENTI
Nell’analisi logica, i complementi sono quegli elementi che completano la frase, aggiungendosi al soggetto e al predicato (che ne costituiscono la parte essenziale) e agli eventuali attributi e apposizioni.
Una distinzione fondamentale è quella tra complementi diretti e complementi indiretti.
• Il complemento diretto dipende direttamente dal verbo. Rientrano in questa categoria:
- il complemento oggetto
Ho comprato un libro
- il complemento predicativo del soggetto
Il libro sembra bello
- il complemento predicativo dell’oggetto
Tutti considerano quel libro un capolavoro
• I complementi indiretti – ovvero tutti gli altri complementi – sono collegati indirettamente (cioè tramite preposizioni) all’elemento da cui dipendono. I più comuni sono:
COMPLEMENTO DI >>>ABBONDANZA Il prato è ricco di fiori
COMPLEMENTI DI >>>AGENTE E CAUSA EFFICIENTE Il libro è stato riletto da Pippo; L’esito sarà stabilito dal destino; Claudio è stato colpito dall’influenza
COMPLEMENTO DI >>>ALLONTANAMENTO O SEPARAZIONE Mi sono separata da Gianni
COMPLEMENTO DI >>>ARGOMENTO Ho letto un saggio sul Rinascimento
COMPLEMENTO DI >>>CAUSA Oggi non lavoro per lo sciopero