A

 

 

 

@ (AT)

 

Il simbolo @ (detto anche a commerciale o chiocciola) è utilizzato nella lingua italiana soltanto in ambito informatico; in particolare, negli indirizzi di posta elettronica, serve a separare il nome (o lo pseudonimo) dell’utente dal dominio presso il quale è registrato l’indirizzo

iaia@treccani.it

Nei forum, nei blog e in generale nelle discussioni in rete a più voci, la chiocciola si usa per indicare il destinatario specifico a cui ci si rivolge

@iaia: grazie delle notizie! :-)

 

 STORIA 

Il segno della chiocciola non è affatto una novità. La sua origine si può ritrovare nell’uso (normale nella scrittura dei mercanti medievali) della lettera a con una linea sovrapposta, che poteva valere come abbreviazione delle parole latine a(nnus) ‘anno’, a(ut) ‘o’, a(lius) ‘altro’, a(nte) ‘prima’.

Più tardi, nella lingua inglese, questo simbolo si è specializzato con il valore di a(t) ‘presso’. Di qui il suo successivo impiego negli indirizzi di posta elettronica.

 

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simboli 

 

 

A (PREPOSIZIONE)

 

La preposizione semplice a può presentarsi in diverse forme: 

• quando si trova prima di una parola che comincia con la vocale a (più raramente con altre vocali) può assumere la forma ad, con d (eufonica)

passiamo ad altro, dare ad intendere, ad onor del vero 

• seguita da parola con consonante iniziale, produce il cosiddetto raddoppiamento sintattico. Il raddoppiamento della consonante è visibile nella resa grafica delle parole derivate da a + altro elemento che hanno assunto una grafia univerbata (univerbazione

accanto, appena, accapo, affatto 

• il raddoppiamento è reso nella pronuncia standard, ma non nella grafia, quando le due parole vengono scritte separate

a casa (ma nella pronuncia standard accàsa)

• quando si trova prima di un articolo determinativo, si fonde con l’articolo, dando luogo alle preposizioni articolate

al, allo, alla, ai, agli, alle

 

La preposizione a svolge diverse funzioni:

• può concorrere alla formazione di locuzioni avverbiali

a caso, a precipizio, a mano a mano, a poco a poco  

a volte anche in forma di preposizione articolata

alla cieca, alla carlona

• può collegare due elementi della stessa frase, introducendo diversi tipi di complementi indiretti

Questa la dedico a te (= complemento di termine) 

Da due mesi abito a Milano (= complemento di stato in luogo)

I soldati attaccheranno all’alba (= complemento di tempo)

• può collegare due frasi distinte, introducendo diversi tipi di proposizioni

Hai fatto male a fidarti (= proposizione causale)

Sei venuto a litigare? (= proposizione finale).

 

 USI 

In alcuni italiani regionali, la preposizione a viene usata anche in altri contesti e con altre funzioni:

• al posto della preposizione di, in espressioni come

sorella a Mario, cugina a mio nipote 

• in alcuni tipi di esclamazione

Beato a te!, Poveri a noi! 

• per introdurre il complemento oggetto

Senti a me!, Lo conosci a Mario? 

• davanti a un infinito retto da un altro verbo

L’ho sentito a dire cose brutte

Sono tutti usi molto marcati in senso locale: decisamente sconsigliabili non solo nello scritto, ma anche nel parlato. 

Diverso il caso dell’uso (originariamente romano e meridionale) di a al posto di in con i nomi di strade e piazze

Abito a via Garibaldi in alternativa ad Abito in via Garibaldi

Questa soluzione – ormai largamente diffusa in tutta Italia, sul modello del costrutto usato con i nomi di città (abito a Venezia) – può essere considerata un’alternativa accettabile rispetto a quella più tradizionale.

Sono accettabili entrambe le soluzioni anche in alternative come:

insieme a o insieme con?

vicino o vicino a?

dietro o dietro a?

sotto o sotto a?

sopra o sopra a?

anche se tradizionalmente si tende a preferire la seconda.

In altri casi, anche se entrambe le alternative sono frequenti nell’uso, l’unica corretta è quella con la a.

• Riguardo a (riguardo a o riguardo?)

Riguardo alla questione che sai, è tutto risolto

• Inerente a (inerente a o inerente?)

L’articolo inerente all’ultimo scandalo

• Relativo a / relativamente a

Il provvedimento relativo alle pensioni.

 

 STORIA 

Alcune locuzioni avverbiali costruite con la preposizione a (normali nell’uso odierno) sono state a lungo condannate dai puristi, perché rifatte su un modello francese (prestiti). Tra queste, molte espressioni della moda 

alla Pompadour, alla Luigi XIV 

e della gastronomia 

risotto alla marinara, spaghetti al burro, uova al tegame, pollo allo spiedo 

Più recente la diffusione di a portar via

pizza a portar via

che, sul tipo di espressioni come vuoto a rendere o a perdere, traduce l’inglese (to) take away. Meglio sarebbe dire da portar via.

Il costrutto con un verbo di percezione (vedere, sentire e simili) seguito da a + infinito era normale nell’italiano antico e diffuso ancora all’inizio del secolo scorso

Mi sono sentito a dire da lui, come roba sua, le cose che io gli avevo detto (V. Pareto, Lettere a Maffeo Pantaloni 1890-1923).

 

 

A- (PREFISSO)

 

Esistono in italiano due prefissi a-.

Il primo prefisso a- (dalla preposizione latina ad) è usato per la formazione di verbi parasintetici a partire da un sostantivo o da un aggettivo. 

• Se la parola a cui si aggiunge inizia per consonante, il prefisso a- provoca il raddoppiamento sintattico

fianco> affiancare

dolce> addolcire

breve> abbreviare

• Se la parola comincia per vocale, alla a segue una d eufonica

ombra> adombrare

esca> adescare

opera> adoperare

Ci sono anche casi in cui questo prefisso viene usato per creare un verbo da un altro verbo

rischiare> arrischiare

quietare> acquietare 

Il secondo prefisso a- (proveniente dal prefisso greco composto dalla sola lettera alfa) si usa in combinazione con aggettivi e sostantivi per indicare mancanza, privazione (e per questo è detto alfa privativo)

partitico (‘di partito’) > apartitico (‘indipendente dai partiti’)

Quando la parola che segue comincia per vocale, il prefisso assume la forma an- (propria già dell’etimo greco)

alcolico (‘che contiene alcol’) > analcolico (‘che non contiene alcol’)

alfabetismo (‘saper leggere e scrivere’) > analfabetismo (‘non saper leggere e scrivere’).

 

 USI 

È da notare la differenza di significato fra alcuni aggettivi composti con a- come areligioso, amorale e aggettivi analoghi composti con il prefisso di origine latina in-, come irreligioso, immorale. Qui, il prefisso a- indica più propriamente indifferenza, atteggiamento passivo (in questo caso di fronte al problema religioso o morale); il prefisso in- esprime avversione e più aperto contrasto (immorale è chi o ciò che si oppone alla moralità, che la viola e l’offende).

 

 

ABBONDANZA, COMPLEMENTO DI

 

Nell’analisi logica, il complemento di abbondanza è un complemento indiretto che indica un elemento (concreto o astratto) di cui si dispone in abbondanza. È introdotto dalla preposizione di ed è retto da verbi, aggettivi o nomi che indicano, appunto, abbondanza: traboccare, abbondare, pieno, colmo, ricchezza ecc.

Il vaso trabocca d’olio

È un ragazzo pieno di risorse

Il parco presenta una grande ricchezza di fiori e piante.

 

VEDI ANCHE   

privazione, complemento di

 

 

ABBREVIAZIONI

 

L’abbreviazione è una riduzione grafica di parole adottata nella scrittura per risparmiare tempo e spazio. I modi in cui si realizza sono tre:

• per contrazione (quando in una parola sono soppresse lettere o sillabe intermedie)

fratelli> f.lli 

dottoressa> dott.ssa

gentilissimo> gent.mo

Se la contrazione dà origine ad abbreviazioni di sole due o tre lettere, il punto si sposta alla fine (per segnalare comunque che si tratta di un’abbreviazione) oppure si omette (visto che in fine di parola non cade nulla)

dottor > dr. oppure dr

confer> cfr. oppure cfr

• per compendio (utilizzando una o più lettere iniziali della parola)

dottor > dott.

ingegnere > ing.

eccetera> ecc.

• per sequenza consonantica (ricorrendo alla consonante iniziale e ad alcune altre consonanti della parola)

seguente> sg., seguenti> sgg.

 

 USI 

Le abbreviazioni sono frequentissime nelle nuove scritture telematiche (e-mail, sms, chat, forum e social network). Tra le più comuni, si trovano sequenze consonantiche come

nn (= non), cn (= con), cmq (= comunque), qst (= questo / i / a / e)

Un caso leggermente diverso è quello delle lettere dell’alfabeto usate per rendere pronomi o preposizioni equivalenti nella pronuncia

c (= ci), t (= ti), d (= di)

In questo specifico tipo di scrittura, d’altra parte, l’abbreviazione può riguardare qualunque parola e qualunque lettera e può non essere necessariamente segnalata dal punto finale proprio perché considerata perfettamente normale e lecita (abitudine da evitare assolutamente quando ci si trova a scrivere testi di tipo diverso). 

 

 STORIA 

Anche se oggi queste soluzioni vengono associate ai mezzi di comunicazione telematici, si tratta di espedienti molto antichi, correntemente usati nella scrittura già da molti secoli. Basti pensare, per il latino, a sigle come DD per donum dedit ‘donò’, ad abbreviazioni come hab per habere ‘avere’, a contrazioni come ãglus per angelus ‘angelo’ o geñlis per generalis ‘generale’. Ancora nell’Ottocento, erano normali – nelle lettere private – forme come T.V. ‘tutto vostro’, Aff.mo ‘affezionatissimo’, nȓo ‘nostro’ gño ‘giorno’ e così via.

 

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acronimi

 

 

ABBRIVO O ABBRIVIO?

 

Sono corrette entrambe le forme. Quella più antica e più frequente nella storia dell’italiano è abbrivo, sostantivo derivato a suffisso zero dal verbo abbrivare, che ha il significato sia di ‘mettere in moto’, sia di ‘acquistare velocità’.

Oggi però abbrivio (variante dovuta forse a un incrocio con la parola avvio) risulta molto più frequente, soprattutto nelle espressioni figurate dare o prendere l’abbrivio

Da lì prese l’abbrivio per altre imprese («Quitouring»).

 

 

ÀBROGO O ABRÒGO?

 

La pronuncia corretta è àbrogo: come in dèrogo e intèrrogo si è mantenuta l’accentazione sdrucciola che la parola aveva in latino. La pronuncia abrògo (come derògo e interrògo) è dunque sconsigliabile. 

L’accento si sposta sulla penultima sillaba (la pronuncia è quindi piana) solo nella 1a e 2a persona plurali, perché per queste persone cade sempre sulla desinenza e non sulla radice.

 

 

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accento

 

 

ACCECARE O ACCIECARE?

 

La grafia preferibile in tutte le voci del verbo è 

io acceco, tu accechi ecc.

Nell’italiano cieco, da cui il verbo deriva, la i non è etimologica (la base è il latino caecum) e non viene pronunciata: la sua presenza si deve alla cristallizzazione grafica di un’antica pronuncia in cui la i ancora si sentiva (come, ad esempio, in piede, dal latino pedem). Nella grafia delle parole derivate da cieco, questa i non si è sempre conservata.

• Nelle parole composte in cui la provenienza è immediatamente riconoscibile, la i tende a conservarsi

moscacieca, sordocieco

Lo stesso accade in ciecamente (più comune e preferibile rispetto a cecamente).

• In altri derivati, come appunto accecare, tende invece a scomparire, pur lasciando una traccia nelle voci in cui su quella sillaba cade l’accento (accieco e accieca sono un po’ meno rare di acciecare o acciecato).

 

 

ACCELERARE O ACCELLERARE?

 

La forma corretta è accelerare: il verbo deriva infatti dall’aggettivo celere (a sua volta dal latino celerem ‘veloce’). La diffusione dell’errato raddoppiamento si deve probabilmente al modello di altri vocaboli che nel passaggio dal latino all’italiano hanno dato esiti diversi.

• Per i casi in cui il raddoppiamento avviene dopo la sillaba accentata, come accellero o accelleri, potrebbe aver contato il modello di macchina, dal latino machinam, o collera, dal latino choleram.

• Per i casi in cui avviene prima della sillaba accentata, come accellerare o accellerato, il modello potrebbe essere stato quello di accademia, dal latino academiam, o seppellire, dal latino sepelire.

 

 

ACCENTO

 

In italiano l’accento consiste nell’aumento dell’intensità con cui viene pronunciata una sillaba (detta sillaba tonica), che acquisisce così maggior rilievo rispetto alle altre sillabe della stessa parola. 

Le parole si distinguono a seconda della sillaba sulla quale cade l’accento.

• Sono tronche (o ossitone) le parole con l’accento sull’ultima 

liquidità, così, interpretò

• Sono piane (o parossitone) le parole con l’accento sulla penultima 

caténa, farfallìna, piàno

• Sono sdrucciole (o proparossitone) le parole con l’accento sulla terzultima 

fabbricàrono, èpico, invisìbile

• Molto più rare sono le parole bisdrucciole, con l’accento sulla quartultima 

assottìgliameli, ricòrdatela

• Altrettanto rare sono le parole trisdrucciole, con l’accento sulla quintultima 

telèfonaglielo, òccupatene

La resa nello scritto dell’accento di parola corrisponde all’accento grafico, che in italiano può essere acuto (´) o grave (`): accento, acuto o grave.

Nell’italiano contemporaneo, l’accento grafico è obbligatorio soltanto in pochi casi.

• Nelle parole tronche che hanno più di una sillaba

carità , però, virtù, comò 

comprese quelle formate da più parole, l’ultima delle quali, da sola, andrebbe scritta senza accento

tre> ventitré

me> nontiscordardimé

• In alcuni monosillabi che potrebbero essere erroneamente pronunciati come bisillabi

più, può, ciò, già, giù

• In alcuni monosillabi che devono essere distinti da parole omonime 

- (verbo dare) / da (preposizione)

La somma dà come risultato dodici / Il prezzo è stato pagato interamente da me

- è (verbo essere) / e (congiunzione)

Jessica Alba è bellissima / Ho fatto merenda con pane e salame

- (avverbio di luogo) / la (articolo o pronome)

Guarda là / La mela / La vedi?

- (avverbio) / li (pronome)

Vengo lì / Li ho tutti in tasca 

- (congiunzione) / ne (avverbio o pronome)

Né carne pesce / Me ne andrò da qui / Di soldi ne hai?

- (pronome) / se (congiunzione)

La cosa in / Se sapessi!

- (avverbio affermativo) / si (pronome)

Alla fine ha detto / Si prende troppo sul serio

- (bevanda) / te (pronome)

Un tra amiche / Parlami di te

 

L’accento grafico invece è facoltativo, ma consigliabile, nel caso in cui ci siano parole scritte nello stesso modo ma che vanno pronunciate diversamente (omografi). 

Àltero / altèro 

Àltero l’ordine delle cifre per confondere i possibili ladri / Ha uno sguardo torvo e altèro

Àmbito / ambìto 

È un àmbito ristretto / Baggio conquistò l’ambìto premio messo in palio da France Football

Nòcciolo / nocciòlo

Il nòcciolo della questione / Un albero di nocciòlo

Prìncipi / princìpi

I prìncipi e le principesse di tutto il mondo / È un uomo di sani princìpi

Séguito / seguìto 

Il séguito alla prossima puntata / Ho seguìto la lezione attentamente

Sùbito / subìto

Esci sùbito da casa mia! / Gol sbagliato, gol subìto.

 

 USI 

Spesso l’accento viene erroneamente utilizzato al posto dell’apostrofo. I casi più diffusi sono, nell’italiano contemporaneo, la grafia al posto di quella corretta po’ (un po’ o un pò?) e la grafia dì per la 2a persona dell’imperativo del verbo dire, al posto di quella corretta di’ (di, di’ o dì?).

 

 STORIA 

Oltre all’accento grave e a quello acuto, fino alla prima metà del Novecento era disponibile in italiano anche l’accento circonflesso (^), che aveva diversi usi.

• Anticamente indicava, soprattutto in poesia, forme contratte

andarono> andâr 

furono> fûr

togliere> tôrre

• Fino a tempi più recenti era usato per rendere la doppia i dei plurali in -io (soprattutto in presenza di omografi), come varî (plurale di vario), distinguibile così dalla forma plurale di varo e dalla 2a persona singolare dell’indicativo presente di variare (entrambe scritte vari). 

Questo uso oggi risulta rarissimo e ostentatamente raffinato.

 

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se o sé? 

do o dò?

da, da’ o dà?

si o sì?

va, va’ o và?

 

 

ACCENTO, ACUTO O GRAVE  

 

Gli accenti acuto e grave sono i due accenti grafici usati nell’italiano contemporaneo.

• L’accento acuto, posto sulle vocali e e o, indica che queste devono essere pronunciate chiuse

réte, mése, cómpito, giórno 

• L’accento grave, nelle stesse condizioni, indica che quelle vocali  devono essere pronunciate aperte

chièsa, còsa, bène, fuòri

Questo tipo di indicazioni, però, si trova solo nei dizionari o in altri testi che (per esigenze informative o didattiche) abbiano la necessità di indicare esplicitamente il timbro aperto o chiuso della e e della o che si trovano in sillaba accentata. Di solito l’uso dell’accento grafico all’interno di parola è molto raro: facoltativo e limitato a pochi casi di possibile ambiguità, come

pésca (= dal verbo pescare) / pèsca (= il frutto del pesco)

Nelle parole con l’ultima sillaba accentata, invece, l’accento grafico va indicato obbligatoriamente. 

• Nel caso in cui la vocale finale sia e si possono trovare entrambi gli accenti:

- si deve usare l’accento acuto quando la vocale si pronuncia chiusa, come in , e nei composti di che

perché, affinché, benché

nei composti di tre

ventitré, trentatré

nella 3a persona del passato remoto di alcuni verbi in -ere

poté, ripeté

e in qualche altro caso

viceré, nontiscordardimé

- si deve usare l’accento grave quando la vocale si pronuncia aperta

è, cioè, tè, caffè, bebè, Noè, karatè

• Nel caso in cui la vocale finale sia o, l’accento è sempre grave, perché in italiano la o finale accentata viene sempre pronunciata aperta

andò, farò, però, oblò

• Nel caso in cui la vocale finale sia a, i, u, l’accento è per convenzione sempre grave, anche se la pronuncia non è né aperta, né chiusa

libertà, sarà, partì, colibrì, però, menabò, più, tabù.

 

VEDI ANCHE   

omografi

 

 

ACCHITO O ACCHITTO?

 

La forma corretta è acchito. Seppur frequente nel parlato, e anche nello scritto informale, la variante acchitto è decisamente sconsigliabile.

La parola deriva dal francese acquit, che nel gergo del biliardo indicava la posizione della biglia all’inizio del gioco. In italiano, si è diffusa dapprima nella forma (oggi scomparsa) achitto; la variante oggi corretta acchito è registrata nei vocabolari solo a partire dalla fine dell’Ottocento.

Acchitto è in realtà un regionalismo meridionale, diffusosi probabilmente per influenza di un’altra parola molto comune nei dialetti meridionali: acchitto ‘mucchio, cumulo’.

 

 

ACCLIMARE O ACCLIMATARE? 

 

Anche se meno comune nell’uso, la forma preferibile sarebbe acclimare (e acclimarsi invece di acclimatarsi, acclimazione invece di acclimatazione).

Acclimare infatti è il verbo parasintetico che si ottiene dal sostantivo italiano clima tramite il prefisso a-; acclimatare, invece, viene dal francese acclimater, tratto a sua volta dal francese climat.

 

 

ACCORCIATI, NOMI

 

I nomi accorciati sono forme ridotte di parole usate al posto delle forme piene

automobile> auto

cinematografo> cinema / cine

fotografia> foto

metropolitana> metro 

motocicletta> moto

professore> prof

subacqueo> sub

televisione> tele

Di solito, i nomi accorciati mantengono la stessa forma al singolare e al plurale

Alla gara parteciperanno almeno trenta moto

Alcuni di questi nomi accorciati hanno assunto anche la funzione di prefissoidi, dando vita a famiglie di nuove parole

auto> autorimessa, autostrada, autotrasporto

cine> cinepresa, cineoperatore, cineclub

foto> fotomodello, fotoromanzo, fototessera

tele> telegiornale, teleromanzo, televendita.

 

 

ACCORCIATI, PARTICIPI

 

I participi accorciati sono forme del participio passato di alcuni verbi della prima coniugazione che si presentano prive di suffisso; oggi sono usate in funzione di aggettivi.

Colmo (da colmare, originariamente in alternativa a colmato, colmo o colmato?)

Una stanza colma di mobili

Domo (da domare)

Il Napoli è riuscito a spuntarla su un Milan mai domo

Guasto (da guastare

L’ascensore è guasto: dobbiamo salire a piedi.

 

 STORIA 

Nell’italiano antico (e fino alla fine dell’Ottocento in quello poetico) i participi accorciati erano piuttosto frequenti e mantenevano ancora un pieno valore verbale

l’ho mostro anco a pochi (A. Caro, Lettere familiari)

Mie brame ho dome (F. M. Piave, Ernani).

 

 

ACCORDO vedi CONCORDANZA

 

 

ACCRESCITIVI, SUFFISSI

 

Nell’ambito dei meccanismi dell’alterazione, i suffissi accrescitivi indicano un accrescimento di tipo quantitativo o qualitativo. Possono essere usati in combinazione con diversi elementi grammaticali:

• nomi: libro> librone

• avverbi: bene> benone

• aggettivi: pigro> pigrone

Gli accrescitivi degli aggettivi sono usati per lo più come sostantivi

sudicio> sudicione (‘persona sudicia’)

grasso> grassone (‘persona grassa’)

Il suffisso accrescitivo più comune è -one; il suo corrispondente femminile è -ona

casa> casona

bella> bellona 

ma spesso anche ai nomi femminili viene aggiunto -one, creando così un accrescitivo maschile

una donna> un donnone 

una barca> un barcone

una testa> un testone

Meno usati sono -acchione e -accione

furbo> furbacchione

buono> bonaccione

Nel caso di matto > mattacchione, il suffisso -acchione serve anche a evitare la possibile confusione con il sostantivo mattone, che ha tutt’altro significato e tutt’altra origine (falsi alterati). 

 

VEDI ANCHE   

suffissi

 

 

ACCUSATIVO ALLA GRECA vedi OGGETTO, COMPLEMENTO

 

 

ACCUSATIVO DI RELAZIONE vedi OGGETTO, COMPLEMENTO

 

 

ACERRIMO vedi ACRE, SUPERLATIVO DI

 

 

ACME: MASCHILE O FEMMINILE?

 

Il sostantivo acme (‘il momento di maggior splendore di una civiltà, di una nazione, di una persona’) è di genere femminile, così come è femminile il nome greco da cui deriva: akmè ‘punta’

Atene raggiunse la sua acme nel V secolo a. C. 

L’uso erroneo al maschile, come in acne (che deriva dallo stesso etimo) e in altri casi simili (epitome ecc.), si deve al fatto che in italiano le parole terminanti con -e possono essere sia maschili, sia femminili.

 

VEDI ANCHE   

genere dei nomi

 

 

A COMMERCIALE vedi @ (AT)

 

 

ACQUA, COMPOSTI DI vedi CU, QU O CQU?

 

 

ACQUERELLO O ACQUARELLO?

 

La forma preferibile è acquerello, fedele al modello toscano da cui ha preso le mosse la lingua italiana. Tuttavia, come accade in casi simili, anche acquarello è da considerarsi accettabile.

 

 

ACRE, SUPERLATIVO DI

 

Acre è uno degli aggettivi che formano il superlativo assoluto aggiungendo il suffisso -errimo anziché -issimo (-errimo, superlativi in)

acre> acerrimo

In genere, acerrimo rafforza il significato di acre nel senso di ‘fiero, accanito’

Fu un suo acerrimo nemico

Nell’uso comune, dunque, il valore di superlativo è molto attenuato, tanto che oggi si sentono e si leggono spesso frasi in cui acerrimo è impropriamente usato per costruire un superlativo relativo o un comparativo

Anche i più acerrimi nemici della modernità non lo possono negare («Corriere della Sera»)

Fu il suo più acerrimo nemico

La forma acrissimo, molto più rara, oggi di solito si riferisce al significato ‘di sapore agro, di odore pungente’

C’era nell’aria un odore acrissimo difficilmente si direbbe C’era nell’aria un odore acerrimo.

 

 STORIA 

Il superlativo acrissimo è attestato nel Vocabolario degli accademici della Crusca fin dalla terza edizione (1691), acerrimo solo dalla quarta (1729-1738).

 

 

ACRIBÌA O ACRÌBIA?

 

La forma corretta è acribìa.

La parola, che ha il significato di ‘esattezza, precisione meticolosa’, deriva dal greco akrìbeia ‘accuratezza’.

La pronuncia acribìa si deve probabilmente al modello del tedesco Akribìe, attraverso il quale la parola (usata soprattutto in ambito filologico) è giunta in italiano.

 

VEDI ANCHE   

accento

 

 

ACRONIMI

 

Gli acrònimi (o sigle) sono nomi formati unendo con modalità diverse le lettere o le sillabe iniziali di più parole

FIAT (= Fabbrica Italiana Automobili Torino)

BCE (= Banca Centrale Europea)

Cobas (= Comitati di base)

Polfer (= Polizia ferroviaria)

Spesso sigle usate correntemente in italiano si riferiscono a sequenze di parole straniere

Radar (dall’inglese radio detection and ranging ‘radiorilevamento e misurazione di distanza’)

Aids (dall’inglese acquired immuno-deficiency syndrome ‘sindrome da immunodeficienza acquisita’)

Gulag (dal russo Glavnoe upravlenie lagerej ‘direzione generale dei campi [di lavoro]’)

Un tipo particolare di acronimi è costituito da quei vocaboli (detti anche parole macedonia) che nascono dalla fusione di due o più vocaboli

cartolibreria (= cartoleria + libreria)

stagflazione (= stagnazione + inflazione)

eliporto (= elicottero + aeroporto)

cantautore (= cantante + autore).

 

 

ACUTO, ACCENTO vedi ACCENTO, ACUTO O GRAVE 

 

 

AD vedi D (EUFONICA)

 

 

ADÙLO O ÀDULO?

 

La forma corretta è adùlo, con l’accento sulla penultima sillaba come nella base latina adùlor. Dunque:

 

 

La forma àdulo, sconsigliabile, è dovuta a un’errata ritrazione dell’accento.

 

 

AERO-, PAROLE CHE COMINCIANO CON

 

La grafia corretta delle parole composte con un primo elemento che si riferisce all’aria è aero- (dal latino aer, aeris), non aereo-, né areo

aeronautica, aerofagia, aeroporto, aeroplano, aerodinamico, aerosol 

In alcuni casi, la forma non etimologica risulta ormai molto più diffusa. Così è, ad esempio, per il verbo areare rispetto ad aerare

Grazie alle ampie finestre, è una stanza bene areata

Areare il locale dopo avervi starnutito (salute24.ilsole24ore.com)

Non bisogna dimenticare, poi, che aereo è la forma corretta dell’aggettivo (dal latino aereum)

una veduta aerea

e per influenza dell’aggettivo, aereo è anche il nome accorciato di aeroplano

un aereo di linea.

 

 

AFFATTO

 

L’avverbio affatto originariamente significava ‘del tutto, interamente’

È affatto sordo (= completamente sordo)

Con il tempo, tale valore rafforzativo ha preso a essere usato soprattutto in frasi negative

Non è stato affatto gentile (= per niente gentile)

Di qui una diversa percezione del significato, che porta ad assegnare erroneamente ad affatto il valore negativo di ‘per niente, per nulla’.

 

 USI 

Il valore esclusivamente negativo ormai attribuito all’avverbio spiega il suo uso assoluto in risposte come

«Ti disturbo?» «Affatto»

In casi come questo, per evitare fraintendimenti, sarebbe molto meglio rispondere con

Per niente oppure Nient’affatto.

 

 

AFFERMAZIONE, AVVERBI DI

 

Gli avverbi di affermazione servono a confermare o a intensificare il significato dell’elemento al quale si riferiscono, sia esso una frase, un aggettivo o un altro avverbio. I più comuni sono appunto, certamente, certo, precisamente, proprio, sicuramente, sicuro

Fulvio scia proprio bene

«Non mi dire che ti sei sposata!» «Precisamente!».

 

 

AFFINCHÉ vedi ACCENTO, ACUTO O GRAVE 

 

 

AGENTE E CAUSA EFFICIENTE, COMPLEMENTI DI

 

In una frase di forma passiva, i complementi di agente e di causa efficiente indicano rispettivamente la persona (o l’animale) e la cosa (o il fatto) che provocano l’azione subita dal soggetto.

Entrambi i complementi sono introdotti dalla preposizione da

La casa è stata arredata da un architetto

L’esito sarà deciso dalla sorte.

 

VEDI ANCHE   

forma attiva, passiva e riflessiva

 

 

AGGETTIVALI, LOCUZIONI

 

Le locuzioni aggettivali sono locuzioni composte da due o più parole che hanno nel loro insieme la funzione di aggettivo 

era stanco morto (= stanchissimo)

sono amici per la pelle (= inseparabili)

è un uomo di parola (= che mantiene la parola data, affidabile). 

 

 

AGGETTIVI

 

L’aggettivo è una parte variabile del discorso che esprime gli attributi di qualità, quantità ecc. della persona o della cosa indicata dal sostantivo a cui si riferisce. 

Gli aggettivi si distinguono comunemente in qualificativi e determinativi (o indicativi).

• Gli aggettivi qualificativi indicano una qualità del nome

Ho comprato una bella maglia

Mario è un bambino molto buono

Di questa categoria fanno parte anche gli aggettivi di relazione, che esprimono appunto una relazione immediata con il nome da cui derivano

pietra lunare (= della luna)

un marchio italiano (= dell’Italia)

un passo dantesco (= di Dante)

• Gli aggettivi indicativi o determinativi determinano meglio il nome e sono a loro volta suddivisi in

 

 

In base alla funzione che svolgono all’interno della frase, gli aggettivi possono essere:

- attributivi quando sono collegati a un nome

Paolo ha un carattere forte

- predicativi quando fanno parte di un predicato nominale

Paolo è forte

- avverbiali quando modificano il significato di un verbo e assumono un valore indeclinabile

Paolo corre forte.

 

VEDI ANCHE  

genere e numero degli aggettivi

grado degli aggettivi

sostantivati, aggettivi

 

 

AGGETTIVI PRIVI DEL GRADO POSITIVO

 

• Alcuni aggettivi non possiedono il grado positivo, ma solo quello comparativo

- anteriore (= che si trova più avanti)

- posteriore (= che si trova più indietro) 

• Altri, invece, hanno solo il grado comparativo e quello superlativo

- inferiore (= che si trova più in basso), infimo (= che si trova il più in basso possibile)

- interiore (= che si trova più all’interno), intimo (= che si trova il più all’interno possibile)

- ulteriore (= che si trova oltre), ultimo (= che si trova il più lontano possibile)

- superiore (= che si trova più in alto), supremo e sommo (= che si trova il più in alto possibile)

- esteriore (= che si trova più all’esterno), estremo (= che si trova il più all’esterno possibile)

• Infine, alcuni altri hanno solo il grado superlativo

- primo (= che si trova all’inizio)

- prossimo (= che si trova molto vicino)

Come nel caso di migliore / ottimo (da buono) o minore / minimo (da piccolo), tutti questi comparativi terminano in -ore e tutti questi superlativi terminano in -mo e non sono suscettibili di ulteriori gradazioni: non si può dire più superiore o superiorissimo.

 

 USI 

Per ragioni legate alla ricerca di espressività nel linguaggio pubblicitario, in quello giornalistico e in quello televisivo ormai da tempo si fa largo uso di superlativi come ultimissimo o primissimo

nuovi aggiornamenti e ultimissime notizie sul calciomercato (www.oggisport.it)

dall’alto del suo ruolo di primissimo piano (www.lagazzettadelmezzogiorno.it)

e di altri superlativi a rigore non grammaticali, come quelli dei sostantivi

Occasionissima per Klose al 70’ (www.ilsole24ore.com)

Offertissima ponte 8 dicembre (www.agriturismo.com)

Vendo due biglietti poltronissima (www.concertionline.com).

 

 

AGGETTIVI PRIVI DI COMPARATIVO E SUPERLATIVO

 

In genere gli aggettivi che esprimono qualità assolute (cioè qualità che non possono essere accresciute o diminuite) sono privi dei gradi comparativo e superlativo, perché non sono graduabili. Si tratta di:

- aggettivi che indicano appartenenza a un determinato luogo o a una determinata epoca

francese, padovano, rinascimentale

- aggettivi che indicano la materia o la forma geometrica

ferroso, triangolare

- aggettivi che esprimono una qualità straordinaria, fuori dal comune

immenso, straordinario, eccelso, enorme

- aggettivi di relazione

un testo dantesco, manzoniano 

- aggettivi alterati, per i quali è ammessa la forma comparativa ma non quella superlativa

più bellina ma non *bellinissima.

 

 USI 

In alcuni casi, come uso scherzoso o espressivo, si può incontrare anche la forma comparativa o superlativa di alcuni degli aggettivi descritti sopra, soprattutto di quelli che indicano appartenenza a un luogo

Più napoletano di lui non c’è nessuno

Kevin è davvero inglesissimo!

 

 

AGGIUNTIVE, PROPOSIZIONI

 

Nell’analisi logica, le proposizioni aggiuntive sono proposizioni subordinate che aggiungono un’informazione ulteriore rispetto a quanto espresso nella proposizione reggente. Sono introdotte dalle locuzioni oltre a e oltre che, e nell’italiano contemporaneo si presentano solo in forma implicita, ovvero con il verbo all’infinito

Oltre a fare l’attrice, è anche un’ottima cantante.

 

 STORIA 

Nell’italiano antico era possibile usare proposizioni aggiuntive in forma esplicita, con il verbo all’indicativo o al condizionale, introdotte da oltre che

Oltre che tu sei destinata a vivificare un corpo umano; e tutti gli uomini per necessità nascono e vivono infelici (G. Leopardi, Dialogo della natura e di un’anima).

 

 

ÀLACRE O ALÀCRE?

 

La pronuncia più corretta è àlacre, in cui si conserva l’accentazione sdrucciola che la parola aveva in latino.

La pronuncia alàcre, con avanzamento dell’accento rispetto all’etimo (come in allégro), è comunque accettabile.

 

VEDI ANCHE   

accento

 

 

A L’AQUILA O ALL’AQUILA?

 

Per i nomi di luogo preceduti da articolo, nella lingua scritta si è soliti usare la preposizione semplice, anche se l’incontro tra la preposizione e l’articolo dà origine a una sequenza (a la, de la) che nell’italiano contemporaneo non esiste. Per questa ragione risulta preferibile la resa con preposizione articolata, anche se essa non rispetta del tutto l’integrità del nome. Entrambe le forme comunque sono perfettamente accettabili

Sto andando a L’Aquila / Sto andando all’Aquila.

 

 USI 

In altri casi analoghi, come quello di La Spezia, l’uso corrente degli abitanti della città (almeno nel parlato) è quello di omettere l’articolo 

Sto andando a Spezia.

 

 

ALCOL O ALCOOL?

 

Si possono usare entrambe le forme, anche se oggi si tende a preferire alcol (e ancora più nettamente i derivati alcolico, alcolista, alcolizzato ecc.). 

 

 STORIA 

L’incertezza nella grafia si deve al fatto che la parola (proveniente dall’arabo al kuhul, poi passata nel latino moderno alcohol vini ‘spirito di vino’) è entrata in italiano attraverso il francese alcohol (alcoolique, alcoolisme ecc.).

 

 

ALCUNO vedi NESSUNO O ALCUNO?

 

 

AL DI LÀ O ALDILÀ?

 

In casi come questo non esiste una norma generale che regoli la scelta tra la grafia con univerbazione e la grafia separata. Nell’uso, tuttavia, è invalsa una distinzione tra:

al di là, con grafia separata, si usa con valore di locuzione avverbiale o preposizionale 

al di là del confine

aldilà, con grafia univerbata, si usa in funzione di sostantivo maschile (con il valore di ‘oltretomba’, ‘vita dopo la morte’) 

L’aldilà resta un mistero per ognuno di noi.

 

 STORIA 

La locuzione al di là è rifatta sul francese au-delà. La forma italiana tradizionale è di là da, oggi ancora possibile come alternativa più elegante, ma di fatto poco usata, se non nella frase

di là da venire.

 

 

ALFA PRIVATIVO vedi A- (PREFISSO)

 

 

ALLOCUTIVI, PRONOMI

 

Per rivolgersi a uno o più interlocutori, si usa una particolare categoria di pronomi personali detti allocutivi. I pronomi allocutivi si distinguono in due tipologie:

- confidenziali, da usare in contesti più informali, con interlocutori con i quali si ha un certo grado di confidenza

- di cortesia (o di rispetto o reverenziali), da usare in contesti più formali

 

 

Tu, Mario, sei sempre il benvenuto

Voi siete matti, ragazzi!

Signor Bianchi, lei mi stupisce sempre! 

Ella comprenderà, signor Presidente

Loro sanno consigliarmi un buon ristorante?

 

 DUBBI 

Quando si usa il pronome allocutivo lei, il participio passato del predicato si accorda con il genere della persona alla quale si riferisce 

Caro Professore, a lezione ieri è stato davvero brillante

Se però l’allocutivo è in forma di pronome atono, il participio può accordarsi al femminile anche se ci si riferisce a un maschio

Caro Professore, l’ho sentita parlare alla conferenza di ieri

Con il pronome allocutivo Ella si ricorre più spesso alla concordanza femminile

Ella, Reverendissimo Vescovo, è stata chiarissima.

 

 USI 

Ella è limitato agli usi burocratici o altamente formali (in questo secondo caso, in riferimento ad alte cariche religiose o civili) e di solito si accompagna all’uso delle maiuscole di reverenza. Anche loro è marcato ormai come molto formale, e viene usato sempre più di rado: per rivolgersi collettivamente a persone alle quali singolarmente si darebbe del lei, oggi si ricorre quasi sempre al voi (lei, uso del).

 

 STORIA 

Negli anni del Fascismo si impose l’uso dell’allocutivo voi al posto del lei, che veniva considerato un prestito spagnolo. Oggi il voi rimane solo come uso di provenienza dialettale in alcune regioni del Meridione: un uso decisamente sconsigliabile.

 

 

ALLONTANAMENTO O SEPARAZIONE, COMPLEMENTO DI

 

Nell’analisi logica, si definisce complemento di allontanamento o separazione una particolare fattispecie del complemento di moto da luogo: introdotto dalla preposizione da, indica il luogo o la persona da cui ci si allontana o ci si separa, sia in senso proprio che figurato 

Il quadro si è staccato dal muro

Ho preso le distanze da questo comportamento.

 

 

ALMENO O AL MENO?

 

La grafia corretta è almeno, con univerbazione

Penso che andrò a trovare il vecchio Kurtz laggiù in Africa almeno per qualche tempo (M. Mari, Tu, sanguinosa infanzia).

 

 STORIA 

La grafia separata al meno, che oggi rappresenta un errore di ortografia, è ampiamente attestata nei secoli scorsi, specie nelle scritture private

se non tutti al meno i maggiori (G. Galilei, Epistolario).

 

 

AL PUNTO DA, AL PUNTO DI O AL PUNTO CHE?

 

Al punto da e al punto di sono locuzioni preposizionali e sono intercambiabili; al punto che, invece, è una locuzione congiuntiva.

Tutte e tre introducono una proposizione subordinata consecutiva.

Al punto da e al punto di richiedono un verbo all’infinito e introducono quindi una consecutiva implicita

Sono affamato al punto da svenire / Sono affamato al punto di svenire

Al punto che richiede il verbo all’indicativo e quindi introduce una consecutiva esplicita

Sono affamato al punto che mi sento svenire.

 

 

ALTERATI LESSICALIZZATI vedi FALSI ALTERATI

 

 

ALTERAZIONE

 

L’alterazione è un tipo particolare di derivazione di nomi, aggettivi e verbi realizzata tramite l’uso di suffissi, che aggiungono al vocabolo originario una sfumatura di qualità, quantità o tono, senza modificarne il significato fondamentale. I principali tipi di alterazione sono: 

 

 

Nella formazione dei sostantivi alterati può accadere che l’accrescitivo e il diminutivo cambino genere rispetto al vocabolo originario

la febbre> il febbrone

la villa> il villino

il sapone > la saponetta

Meno frequente è l’alterazione degli aggettivi

lungo> lunghetto

dolce> dolciastro

Gli aggettivi alterati con suffisso accrescitivo o peggiorativo sono spesso sostantivati

sei villano> sei un villanzone

sei ignorante> sei un ignorantaccio

A volte gli alterati assumono un significato diverso da quello del vocabolo di origine

la carta> il cartone

I verbi alterati si formano aggiungendo al verbo alcuni suffissi alterativi specifici, diversi da quelli che si usano per l’alterazione di nomi e aggettivi. In genere questi suffissi modulano il significato del verbo in un senso che può essere: 

• attenuativo

canticchiare (= cantare sottovoce)

piovigginare (= piovere con scarsa intensità)

• leggermente peggiorativo

vivacchiare (= vivere stentatamente)

leggiucchiare (= leggere con stento o con poco impegno).

 

 USI 

Nel linguaggio affettivo, anche i nomi di persona possono subire alterazioni

Flavietta, Giorgino, Marione

Nel parlato e nello scritto molto informale è possibile incontrare il suffisso -azzo con valore non dispregiativo, ma scherzosamente accrescitivo

carne> carnazza

panino> paninazzo

porno> pornazzo. 

 

VEDI ANCHE   

verbi alterati

suffissi alterativi dei verbi

falsi alterati

derivate, parole

 

 

ALTERNANZA DI GENERE E DI SIGNIFICATO

 

In alcune parole italiane l’alternanza di genere (cioè tra maschile e femminile) dà vita – in parole derivanti da una stessa base – anche a un’alternanza di significato, e questo può accadere in diversi casi.

• Quando maschile e femminile hanno due forme diverse, uscenti rispettivamente in -o e in -a

banco / banca

foglio / foglia

bilancio / bilancia

masso / massa

• Quando le due parole sono omografe (in questi casi, la differenza di genere è segnalata solo dalla presenza di un aggettivo o dell’articolo)

il capitale (= somma di denaro) / la capitale (= città sede degli organi di governo)

il fine (= scopo) / la fine (= punto o termine estremo)

il fronte (= linea di combattimento) / la fronte (= parte del viso)

In alcuni casi l’alternanza di significato tra maschile e femminile segue criteri coerenti e dunque prevedibili. 

• Un’alternanza frequente è quella tra i nomi di pianta (al maschile) e i nomi di frutto (al femminile)

arancio / arancia

melo / mela

pesco / pesca 

• Un’altra è quella tra il nome di una disciplina (al femminile) e il nome dello studioso o del tecnico che la pratica (al maschile, ma suscettibile di essere usato al femminile quando questi sia una donna)

chimica / chimico

matematica / matematico

A volte l’alternanza non produce sostanziali cambiamenti di significato, ma dà origine soltanto a diverse sfumature

tavolo (= tavola adibita a usi particolari) / tavola (= asse di legno, specialmente su cui si mangia)

fosso (= grande fossa, anche naturale) / fossa (= scavo praticato nel terreno)

Talvolta, alternanze simili a quelle appena viste si determinano anche fra parole che non hanno lo stesso etimo. Potrebbero sembrare casi di alternanza di genere e significato, ma si tratta di semplici coincidenze che si sono venute a creare durante la vita e lo sviluppo della lingua, casi come

busto / busta

maglio / maglia

pianto / pianta.

 

VEDI ANCHE   

falsi alterati

femminile dei nomi 

 

 

ALTERNATIVE, CONGIUNZIONI vedi DISGIUNTIVE, CONGIUNZIONI

 

 

ALTERNATIVE, PROPOSIZIONI vedi DISGIUNTIVE, PROPOSIZIONI

 

 

ALTO- E BASSO-, PLURALE DEI COMPOSTI CON

 

Le parole composte con alto- e basso- possono subire alcune oscillazioni rispetto alle norme che regolano la formazione del plurale delle parole composte

Questo infatti può essere formato volgendo al plurale soltanto il secondo elemento (com’è normale per i composti in cui un aggettivo precede un nome), ma anche volgendo al plurale sia il primo, sia il secondo elemento

altoforno> altoforni / altiforni 

altopiano> altopiani / altipiani

bassorilievo> bassorilievi / bassirilievi

Entrambe le forme sono accettabili e la minore o maggiore frequenza cambia da parola a parola (i plurali più frequenti nelle scritture in rete risultano altiforni e altipiani, ma bassorilievi). 

 

 

ALTROCHÉ O ALTRO CHE?

 

La grafia univerbata altroché si usa quando l’avverbio ha il valore di esclamazione affermativa

Se mi piace? Altroché!

La grafia separata altro che, invece, si usa quando la locuzione indica esclusione o preferenza rispetto a un altro elemento

Fatti, altro che chiacchiere

Altro che il luna park, altro che il cinema, altro che Internet (Jovanotti, Il più grande spettacolo dopo il big bang).

 

 USI 

La grafia altrocché, presente con una certa frequenza anche nelle scritture in rete, è da considerarsi errata e va dunque evitata.

 

VEDI ANCHE   

univerbazione

 

 

AMÀCA O ÀMACA?

 

La pronuncia corretta è amàca. La parola, infatti, è giunta in italiano attraverso lo spagnolo hamàca, a sua volta proveniente dal caribico hammàka. La pronuncia àmaca è dovuta a un’errata ritrazione dell’accento.

 

 

A MANO A MANO / A POCO A POCO / A DUE A DUE

 

Nelle locuzioni avverbiali composte da due elementi identici, la forma preferibile è quella con la doppia preposizione

a mano a mano meglio di mano a mano

a faccia a faccia meglio di faccia a faccia

a poco a poco meglio di poco a poco

a fianco a fianco meglio di fianco a fianco

a corpo a corpo meglio di corpo a corpo

a due a due meglio di due a due

Quando invece queste locuzioni vengono usate in funzione di sostantivo, la prima a va sempre omessa

Questa sera i due leader si sfideranno a faccia a faccia / Questa sera andrà in onda il faccia a faccia tra i due leader

Il soldato combatté a corpo a corpo contro il nemico / Il soldato si gettò in un violento corpo a corpo contro il nemico.

 

 USI 

Al posto della locuzione a mano a mano, è molto frequente l’espressione man mano

Man mano che si scende, il Po si ingrossa (www.tg24.sky.it). 

 

VEDI ANCHE   

preposizioni

 

 

ÀMBITO O AMBÌTO?

 

Si tratta di una coppia di omografi.

• La parola sdrucciola àmbito è un sostantivo

dentro l’àmbito delle pareti domestiche

• La parola piana ambìto, invece, è il participio passato di ambire

ottenere l’ambìta ricompensa

In casi come questi, quando si scrive è consigliabile segnare l’accento in modo da evitare possibili ambiguità.

 

VEDI ANCHE   

accento

 

 

A ME MI, A TE TI

 

A me mi e a te ti sono casi particolari di quel fenomeno sintattico (detto dislocazione) che consiste nell’anticipare o posticipare un elemento della frase riprendendolo tramite un pronome. Un fenomeno attestato nell’uso dell’italiano fin dalle sue origini. Qui la ripresa riguarda il pronome personale, usato prima nella forma tonica (me), poi in quella atona (mi). Non si tratta propriamente di un pleonasmo (cioè di una ripetizione inutile), ma di una sottolineatura ottenuta mettendo in evidenza l’elemento che si ritiene più importante

A me mi sembra che le cose stiano molto diversamente.

 

 USI 

Nel linguaggio parlato informale, un costrutto come a me mi è certamente consentito. Ma nel parlato formale (un colloquio di lavoro o una prova di esame orale, un dialogo con un superiore – docente, capoufficio ecc.) e ancor più nello scritto è decisamente da evitare, perché darebbe la sensazione che chi parla o scrive non sia capace di adeguare il proprio registro linguistico alla situazione in cui si trova.

Il costrutto è largamente attestato nell’uso letterario

A me mi par di sì: potete domandare nel primo paese che troverete andando a diritta (A. Manzoni, I promessi sposi)

e ritorna con una certa frequenza nelle canzoni degli ultimi trent’anni

coca cola sì coca cola / a me mi fa impazzire (V. Rossi, Bollicine)

perché a me mi piace andare veloce (Jovanotti, La mia moto).

 

 

AMPISSIMO O AMPLISSIMO?

 

Si può dire e scrivere in tutti e due i modi.

Ampissimo, forma un po’ meno frequente nell’uso, è il superlativo regolare dell’aggettivo ampio (come bello > bellissimo ecc.).

Amplissimo è una forma dotta che deriva dal superlativo latino amplissimum e, rispetto ad ampissimo, è oggi la variante leggermente più diffusa. 

 

VEDI ANCHE   

grado degli aggettivi

 

 

ANALISI DEL PERIODO

 

L’analisi del periodo individua la tipologia e la funzione delle proposizioni che costituiscono una frase. 

Uffa! Piove talmente tanto che Giulio e io abbiamo dovuto rimandare la nostra sospiratissima gita in campagna

Uffa! Piove talmente tanto: proposizione principale 

che Giulio e io abbiamo dovuto rimandare la nostra sospiratissima gita in campagna: proposizione subordinata consecutiva. 

 

 

ANALISI GRAMMATICALE

 

L’analisi grammaticale identifica il valore grammaticale delle parti del discorso che compongono un periodo e, nel caso queste siano variabili, le forme che assumono per effetto della flessione: il genere (maschile o femminile), il numero (singolare o plurale), la persona (prima, seconda, terza). Le parti del discorso si distinguono in variabili e invariabili

Le parti variabili del discorso sono:

 

 

Le parti invariabili del discorso sono:

 

 

Qui di seguito abbiamo un esempio di analisi grammaticale

 

Uffa! Piove talmente tanto che Giulio e io abbiamo dovuto rimandare la nostra sospiratissima gita in campagna

Uffa: interiezione

Piove: voce del verbo piovere, II coniugazione, modo indicativo, tempo presente, forma attiva, 3a persona singolare, intransitivo, impersonale

talmente tanto: locuzione avverbiale di modo

che: congiunzione 

Giulio: nome proprio di persona, maschile, singolare

e: congiunzione

io: pronome personale, 1a persona singolare

abbiamo dovuto: voce del verbo dovere, II coniugazione, modo indicativo, tempo passato prossimo, forma attiva, 1a persona plurale, intransitivo, servile 

rimandare: voce del verbo rimandare, I coniugazione, modo infinito, tempo presente, forma attiva, transitivo 

la: articolo determinativo, femminile, singolare

nostra: aggettivo possessivo, femminile, singolare

sospiratissima: aggettivo qualificativo, femminile, singolare, grado superlativo assoluto

gita: nome comune di cosa, femminile, singolare, primitivo

in: preposizione semplice 

campagna: nome comune di cosa, femminile, singolare, primitivo.

 

 

ANALISI LOGICA

 

L’analisi logica individua la funzione sintattica di ciascun costituente all’interno di una frase:

 

 

Qui di seguito abbiamo un esempio di analisi logica

 

Uffa! Piove talmente tanto che Giulio e io abbiamo dovuto rimandare la nostra sospiratissima gita in campagna

Uffa! Piove: predicato verbale

talmente tanto: complemento di quantità

Giulio e io: soggetto

abbiamo dovuto rimandare: predicato verbale

la nostra sospiratissima gita: complemento oggetto + attributo

in campagna: complemento di moto a luogo.

 

 

ÀNANAS: MASCHILE O FEMMINILE? 

 

Ananas è un sostantivo maschile

Questo ananas è davvero gustoso!

Il nome del frutto deriva da nanà, il modo in cui era chiamato nella lingua guaranì dei nativi d’America. 

La parola, però, è giunta in italiano attraverso il portoghese ananaz (pronuncia: anànas) ed è stata a lungo diffusa nella forma ananasso (oggi rara), che non lasciava dubbi quanto al genere.

 

VEDI ANCHE   

genere dei nomi

 

 

ÀNCORA O ANCÒRA?

 

Si tratta di una coppia di omografi.

• La parola sdrucciola àncora indica lo strumento con cui si ormeggia la nave al fondo marino

gettare l’àncora

• La parola piana ancòra, invece, è un avverbio di tempo

Ancòra tu / non mi sorprende lo sai (L. Battisti, Ancora tu).

 

 

ANCORCHÉ O ANCOR CHE?

 

Nell’italiano contemporaneo la forma corrente è ancorché, con univerbazione

risultati incoraggianti ancorché contradditori (www.levantenews.it)

La variante ancor che è molto rara e si avvia a scomparire, com’è già successo per le forme ancoraché e ancora che, normali nell’italiano antico.

 

 

ANNAFFIARE O INNAFFIARE?

 

Entrambe le forme sono corrette e usuali

cresciuto senza che nessuno se ne prendesse cura, senza un giardiniere che lo annaffiasse (N. Ammaniti, Ti prendo e ti porto via)

distrattamente continua il gesto di innaffiare le verdure (L. Malerba, Il sogno di Epicuro).

 

 STORIA 

Annaffiare e innaffiare, derivate probabilmente dallo stesso etimo latino (in e afflare ‘soffiare’) sono entrambe usate dal Medioevo fino a oggi. Tuttavia, già nella prima edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca (1612), alla voce Innaffiare si legge «Oggi più comunemente annaffiare».

 

 

ANÒDINO O ANODÌNO?

 

La pronuncia corretta di questo aggettivo che significa ‘scialbo, senza carattere’ è anòdino. Si è mantenuta l’accentazione sdrucciola, che la parola aveva nel latino tardo e prima ancora nel greco anòdynos ‘senza dolore’ (da cui lo specifico significato in ambito medico di ‘calmante, lenitivo’).

La pronuncia anodìno, dovuta al modello delle numerose e diffusissime parole in -ino con accentazione piana (carino, latino, tavolino), anche se piuttosto diffusa, è sconsigliabile.

 

VEDI ANCHE   

accento

 

 

ANTE-

 

Prefisso che, in parole derivate dal latino (come anteporre) o formate modernamente (come antefatto, anteguerra ecc.), indica precedenza nel tempo e più raramente nello spazio. Talvolta viene usato come parola a sé in locuzioni del tipo ante 1914 (= prima del 1914), ante rivoluzione (prima della rivoluzione).

 

VEDI ANCHE   

anti-

derivate, parole

prefissazione

 

 

ANTI-

 

Esistono in italiano due prefissi anti-.

1. Il primo – dal latino ante ‘davanti, prima’ – indica anteriorità, precedenza nel tempo o nello spazio e si trova all’inizio di parole derivate dal latino 

anticipare (dal latino ante ‘prima’ e càpere ‘prendere’)

antimeridiano (dal latino antemeridianum, da ante meridiem ‘prima di mezzogiorno’)

o di parole formate modernamente

antibraccio, anticamera, antidiluviano

2. Il secondo, dal greco antì ‘contro’, è usato in parole composte in cui il secondo elemento può essere un sostantivo (antincendio, antiruggine), un aggettivo (antigiuridico, anticlericale), un participio presente (antiabbagliante, antiappannante) e assume diversi significati.

• Opposizione, avversione, antagonismo verso qualcosa

antipapa, antischiavista, antidemocratico

• Attitudine a combattere o prevenire qualcosa 

antiallergico, antisettico, antispasmodico

• Capacità di evitare o impedire qualcosa 

anticoagulante, antifurto, antisismico

• Contraddizione, contrasto, o anche indipendenza da qualcosa (con significato simile all’alfa privativo, a-)

antiestetico, antistorico

• Posizione contraria, movimento in senso opposto, posizione speculare 

anticiclone, antipodi.

 

 DUBBI 

Nella scrittura, tra anti- (nel significato di ‘contro’) e il secondo elemento composto si può usare il trattino, specie quando si tratta di neologismi o di composti occasionali o rari. Il trattino viene usato con maggiore frequenza quando la parola successiva comincia per vocale: l’uso resta comunque molto oscillante, e si alterna anche alla grafia separata dei due elementi. 

Nei giornali degli ultimi anni, tra le centinaia di nuovi prefissati con anti-, si possono trovare

antiburqa, anti-burqa

anti-carovita, anti carovita

antidegrado, anti-degrado, anti degrado

Nei casi in cui anti- precede una parola che comincia per i, si tende a evitare la sequenza di due vocali identiche: antincendio è molto più frequente di anti-incendio o di antiincendio.

 

VEDI ANCHE  

derivate, parole

prefissazione

 

 

ANTISUFFISSO vedi INTERFISSO

 

 

ANTROPOFAGI O ANTROPOFAGHI? 

 

Il plurale più diffuso è antropofagi, come sempre quando i nomi in -fago e -logo si riferiscono a persone e non a cose. Meno comune, e meno consigliabile, la forma antropofaghi.

 

VEDI ANCHE   

-fago, -logo, plurale dei nomi in

-co, -go, plurale dei nomi in

 

 

ANTROPOLOGI O ANTROPOLOGHI? 

 

Il plurale più diffuso è antropologi, come sempre quando i nomi in -fago e -logo si riferiscono a persone e non a cose. Meno comune, e meno consigliabile, la forma antropologhi.

 

VEDI ANCHE   

-fago, -logo, plurale dei nomi in

-co, -go, plurale dei nomi in

 

 

ANZICHÉ O ANZI CHE?

 

La grafia corretta nell’italiano contemporaneo è anziché, con univerbazione

Preferisce giocare anziché studiare

Le tue parole, anziché rabbonirlo, l’hanno inasprito.

 

 USI 

La grafia anzi che continua oggi a essere usata solo nella locuzione scherzosa anzi che no, con valore rafforzativo, che tuttavia spesso si trova scritta anche come un’unica parola, in ossequio a una lunga tradizione letteraria

Educazione metafisica, anzichenò (N. Lagioia, Occidente per principianti)

Una specialità corroborante, anzichenò (D. Buzzati, Le cronache fantastiche).

 

 STORIA 

Nell’italiano antico, in cui anzi conservava il significato etimologico del latino ante ‘prima’, era normale l’uso di anzi che (scritto staccato) con valore temporale 

non so s’io mi speri / Vederla anzi ch’io mora (F. Petrarca, Canzoniere).

 

VEDI ANCHE   

altroché o altro che?

piuttosto che

 

 

APICI vedi VIRGOLETTE

 

 

APOCOPE vedi TRONCAMENTO

 

 

APODOSI

 

L’apòdosi è la proposizione reggente (principali, proposizioni) che insieme con la protasi forma il periodo ipotetico

Se lavoro troppo, mi stanco

Chiamami, se pensi di venire

Credo che ci avrebbe chiamato, se fosse già arrivato.

 

VEDI ANCHE   

condizionali, proposizioni

 

 

APOSTROFO 

 

Nell’ortografia italiana, l’apostrofo () si usa per segnalare la caduta di una o più lettere di una parola. 

• Generalmente indica l’elisione di una vocale finale

la arte> l’arte 

una ape > un’ape 

quello albero> quell’albero 

grande uomo> grand’uomo 

santo Antonio> sant’Antonio

venti anni > vent’anni

• Ma viene usato anche per indicare alcuni casi di troncamento che danno vita a parole terminanti in vocale, e più precisamente:

- nella 2a persona dell’imperativo dei verbi dare, dire, fare, stare, andare

dai> da’

dici> di’

fai> fa’ 

stai> sta’

vai> va’

- in qualche altra parola in cui si verifica il troncamento dell’intera sillaba finale

bene  > be’

poco> po’

modo> mo’ (a mo’ di = come) 

- secondo un’abitudine ormai in disuso, in alcune preposizioni articolate nelle quali il troncamento riguarda il secondo elemento di un dittongo

ai> a’

dei> de’

coi> co’.

 

 DUBBI 

In tutti gli altri casi di troncamento, l’apostrofo non va mai usato. Si scrive perciò

un uomo e non un’uomo 

nessun altro e non nessun’altro

alcun amico e non alcun’amico

buon appetito e non buon’appetito 

Negli stessi casi, invece, al femminile va usato sempre l’apostrofo, perché non si tratta di troncamento ma di elisione. A differenza di quanto accade al maschile infatti (un albero, ma anche un palo), la vocale finale cade solo nel caso dell’incontro con la vocale iniziale della parola successiva (un’ape, ma una palla). Dunque

un’isola, alcun’amica, buon’anima

Non così per qual e tal, in cui anche la forma femminile si deve a troncamento (si dice anche qual vista, la tal via), e dunque non va mai scritta con l’apostrofo 

qual è tuo marito / qual è tua moglie?

il tale e il tal altro / la tale e la tal altra 

Rientrano fra i casi di troncamento da scrivere senza apostrofo anche espressioni come nobil uomo (o nobiluomo), suor Agnese, fin allora, ben accolto, far entrare, venir avanti, sapor amaro.

 

 USI 

L’apostrofo è usato anche per indicare la caduta di una o più cifre nell’indicazione di una data. In questo caso, poiché indica la caduta di un elemento che precede, l’apostrofo va orientato verso sinistra

la guerra del ’15-’18

Una vecchia regola scolastica vietava l’uso dell’apostrofo in fine di rigo. Si tratta di un’abitudine legata all’uso tipografico e non di una vera regola grammaticale. Sono perfettamente lecite, dunque, soluzioni come

del // l’anno > del- // l’anno

Da evitare, invece, la soluzione dello // anno, che darebbe vita a una sequenza (dello + parola cominciante per vocale) inaccettabile per la norma dell’italiano.

 

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articoli 

qual è o qual’è?

talora o tal’ora?

sillabe, divisione in

 

 

APPARTENERE: AVERE O ESSERE?

 

Il verbo appartenere può essere usato nei tempi composti sia con l’ausiliare essere, sia con l’ausiliare avere

Quel castello (era / aveva) già appartenuto per più d’un secolo ai suoi avi

Nell’italiano contemporaneo, tuttavia, l’ausiliare essere risulta molto più comune.

 

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avere o essere?

 

 

APPELLATIVI, VERBI

 

I verbi appellativi (come chiamare, definire, denominare, appellare) rientrano nella categoria dei verbi copulativi.

• Nella forma attiva si costruiscono con il complemento predicativo dell’oggetto 

Tutti mi chiamano Gigi

• Nella forma passiva con il complemento predicativo del soggetto 

Per anni sono stato chiamato Gigi.

 

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effettivi, verbi

elettivi, verbi

estimativi, verbi

 

 

APPENDÌCE O APPÈNDICE?

 

La forma corretta è appendìce.

La forma appèndice, sconsigliabile, è dovuta a un’errata ritrazione dell’accento, forse sul modello del verbo appendere, con cui però la parola non ha alcuna relazione.

 

 

APPLAUDO O APPLAUDISCO?

 

La forma oggi più frequente è di gran lunga applaudo. Solo per alcuni modi (indicativo e congiuntivo presente, imperativo) e solo per alcune persone (1a, 2a, 3a singolare e 1a plurale) è ancora possibile usare varianti del tipo di applaudisco, coniugate come nei verbi cosiddetti incoativi.

 

 

In tutti gli altri casi, il verbo applaudire presenta oggi solo la forma senza l’interfisso -isc-.

 

 

APPOSIZIONI

 

L’apposizione è un sostantivo che ne accompagna un altro per determinarlo e attribuirgli una proprietà particolare.

• Può precedere il nome a cui si riferisce

il console Cicerone

o seguirlo (in questo caso, è preceduta da una virgola)

Pietro Rossi, meccanico

• Può essere:

- semplice (cioè costituita solo da un sostantivo)

il dottor Bianchi

- oppure composta (quando al sostantivo si aggiungono altri elementi)

Tacito, il grande storico romano

Come l’attributo, l’apposizione può riferirsi sintatticamente: 

• sia al soggetto

Mario, idraulico italiano, ha salvato la sua bella

• sia a un complemento qualunque

Sono stato a Saint Etienne, città del centro della Francia

Un particolare costrutto appositivo è quello che prevede la presenza del dimostrativo quello e della preposizione di

Quel gran genio del mio amico (L. Battisti, Sì viaggiare).

 

VEDI ANCHE   

analisi logica

 

 

APRII O APERSI?

 

Il passato remoto del verbo aprire (così come nel caso di coprire, di offrire e dei loro composti) presenta la possibilità di usare (nella 1a e 3a persone singolari e nella 3a plurale) sia le forme con radice apr-, sia le forme con radice apers-.

 

 

 USI 

Benché in passato le due forme fossero usate indifferentemente, oggi aprii, aprì e aprirono sono decisamente più comuni (e consigliabili) di apersi, aperse e apersero.

 

 

A PROPOSITO O APPROPOSITO?

 

La grafia corretta è a proposito 

I numeri a proposito dello spread tornano ad essere incoraggianti (www.milanofinanza.it)

La grafia approposito (con univerbazione, come negli avverbi appunto, soprattutto ecc.), piuttosto diffusa fino ai primi del Novecento, oggi è rara e sconsigliabile.

 

VEDI ANCHE   

avverbiali, locuzioni 

 

 

ARANCIO O ARANCIA? 

 

Come accade spesso in questi casi, il maschile (arancio) indica l’albero; il femminile (arancia) indica il frutto di quell’albero. Il sostantivo arancio può riferirsi anche al colore, chiamato più comunemente, arancione.

 

 USI 

È comunque molto diffuso in tutta Italia l’uso del maschile arancio/aranci anche per indicare il frutto 

in questa stagione di aranci succosi (www.coquinaria.it).

 

VEDI ANCHE   

alternanza di genere e di significato

 

 

ARCHEOLOGI O ARCHEOLOGHI?

 

Il plurale più diffuso è archeologi, come sempre quando i nomi in -fago e -logo si riferiscono a persone e non a cose. Meno comune, e meno consigliabile, la forma archeologhi.

 

VEDI ANCHE  

-fago, -logo , plurale dei nomi in

-co, -go, plurale dei nomi in

 

 

ARCI-

 

Il prefisso arci- (dal greco àrkhein ‘comandare’) forma nomi composti come 

arcidiavolo, arcivescovo, arciduca

È anche usato (oggi solo in modo scherzoso) come prefisso rafforzativo di aggettivi, a cui dà valore di superlativo

arcinoto, arcicontento, arcistufo.

 

 STORIA 

Nell’italiano dei secoli scorsi non era raro l’uso scherzoso di arci- seguito da un superlativo assoluto: arcibellissimo, arcilunghissimo ecc. 

 

VEDI ANCHE  

alterazione

stra-

 

 

ARGOMENTO, COMPLEMENTO DI

 

Nell’analisi logica, il complemento di argomento indica la cosa o la persona della quale si parla.

Può essere introdotto dalle preposizioni di e su o da locuzioni preposizionali come a proposito di, intorno a, riguardo a e così via

parlare di sé

discutere a proposito di cose futili

indugiare su un particolare

un trattato riguardo all’origine del linguaggio.

 

 STORIA 

Era molto diffuso nei secoli scorsi (ma può essere usato anche oggi, come ripresa di un gusto antiquato) l’uso del complemento di argomento nei titoli 

Sulla decadenza dell’agricoltura e sul feudalismo in Italia (V. E. Emiliani)

Sulla teoreticità delle norme costituenti (A. Filipponio)

Sul parlato (R. Sornicola)

L’uso più comune era quello con la preposizione di, che ricalcava il complemento di argomento latino, molto frequente in tanti capolavori dell’antichità (il De bello gallico di Cesare, il De senectute di Cicerone ecc.)

Dei sepolcri (U. Foscolo)

Del perché l’economia africana non è mai decollata (M. Milani)

Del fregarsene di tutto e del non fregarsene di niente (Fratelli Calafuria).

 

 

ARTERIOSCLÈROSI O ARTERIOSCLERÒSI?

 

Sono corrette entrambe le pronunce. In questi e in altri casi di termini medici derivanti dal greco, l’accento può essere posto in entrambe le posizioni.

• Sulla terzultima sillaba (sdrucciola, accentazione) si conserva l’accentazione dell’etimo greco

arteriosclèrosi, anchìlosi, èdema, flògosi

• Sulla penultima sillaba (piana, accentazione) si conserva l’accentazione che i termini avevano nel latino

arterioscleròsi, anchilòsi, edèma, flogòsi.

 

 USI 

Dato che tutte queste parole provengono sì dal greco, ma sono giunte in italiano tramite il latino scientifico, sarebbe consigliabile la pronuncia piana “alla latina”. 

Tuttavia, nell’uso dei medici (e di conseguenza anche in quello di molti pazienti) risulta più diffusa la pronuncia sdrucciola, “alla greca”.

 

 

ARTICOLATE, PREPOSIZIONI vedi PREPOSIZIONI

 

 

ARTICOLI

 

L’articolo è una parte variabile del discorso che precede un sostantivo o una parte del discorso sostantivata

Il concerto (sostantivo) è stato molto bello

Il bello (aggettivo sostantivato) del concerto è stato il momento finale

Il mangiare (verbo sostantivato) nella mensa aziendale è scadente

Il perché (avverbio sostantivato) rimane oscuro

L’articolo concorda (concordanza) in genere e numero con la parte del discorso a cui si riferisce e può essere determinativo o indeterminativo.

 

L’ARTICOLO DETERMINATIVO

È usato in riferimento a: 

• una categoria generale, cioè una classe di persone, animali, oggetti, concetti

Il bambino impara a parlare verso i 12 mesi

• qualcuno o qualcosa che si considera già noto a chi legge o ascolta

Il bambino ha già imparato a parlare? 

Le forme dell’articolo determinativo sono:

 

 

L’ARTICOLO INDETERMINATIVO

È usato in riferimento a:

• un individuo che fa parte di una determinata classe

C’è un bambino che piange

• qualcuno o qualcosa che viene introdotto all’interno del discorso come un dato nuovo

Aspetto un bambino

Le forme dell’articolo indeterminativo, che ha soltanto il singolare, sono:

 

 

VEDI ANCHE

omissione dell’articolo

partitivo, articolo

 

 

ASINDETO

 

L’asindeto è la relazione di paratassi tra due proposizioni coordinate realizzata per giustapposizione, cioè senza l’uso delle congiunzioni. Il collegamento tra le proposizioni coordinate avviene solo attraverso la punteggiatura

Luca è arrivato, ha pranzato, è partito a gran velocità

L’asindeto si contrappone al polisindeto, in cui il collegamento tra proposizioni è realizzato replicando la congiunzione davanti a ciascuna delle proposizioni che vengono coordinate.

 

 

ASMA: MASCHILE O FEMMINILE?

 

La parola si trova usata sia al maschile, sia al femminile. L’oscillazione deriva dal fatto che tanto in greco quanto in latino asma era di genere neutro. Di solito le parole di genere neutro che l’italiano ha preso dalle lingue classiche hanno assunto il genere maschile (il tema, il problema, l’enigma).

In effetti, nel linguaggio medico, la parola asma è usata più spesso al maschile 

asma allergico, asma cardiaco, asma isterico

Al plurale presenta due possibili forme

gli asmi (rifatto sull’italiano antico asmo) / gli asma (invariabile)

Tuttavia, la terminazione in -a ha fatto sì che la parola fosse sentita come femminile. Di qui l’uso, oggi di gran lunga più comune al di fuori dei testi di medicina, di asma come parola femminile

Ho sofferto di un’asma fortissima

L’asma può diventare pericolosa.

 

 

ASPETTO VERBALE

 

L’aspetto è una caratteristica del verbo che fornisce alcune informazioni supplementari sull’azione descritta: la sua durata; se si è conclusa, si sta svolgendo o si sta per svolgere; se è stata portata a compimento; in che modo si svolge.

L’aspetto verbale può essere espresso in diversi modi.

• Il tempo verbale può dare informazioni sullo svolgimento dell’azione. Si parla di:

- aspetto perfettivo, quando l’azione si presenta come conclusa (mangiai la minestra);

- aspetto imperfettivo, quando l’azione è presentata nel suo svolgimento (mentre mangiavo la minestra, mi chiamarono);

- aspetto durativo, quando l’azione dura nel tempo (dalle dodici alle tredici si mangia la minestra).

• Il significato stesso di alcuni verbi può indicare la durata dell’azione: 

- cadere, entrare, colpire esprimono un’azione momentanea, cioè che si svolge in un unico momento;

- lavorare, dormire, viaggiare esprimono un’azione durativa, cioè che dura nel tempo;

- crescere, arrossire, invecchiare esprimono un’azione progressiva, cioè che evolve e si compie nel tempo.

• Alcune perifrasi verbali e verbi fraseologici danno informazioni sul modo in cui un’azione si colloca rispetto al tempo: 

- stare per, essere in procinto di, essere sul punto di indicano l’imminenza di un’azione, cioè il fatto che quell’azione si sta per svolgere;

- stare seguito da un gerundio indica un’azione progressiva (sto mangiando);

- cominciare a seguito da infinito indica l’inizio di un’azione (comincio a mangiare);

- continuare a seguito da infinito indica il proseguimento di un’azione (continuo a mangiare);

• Alcuni suffissi verbali danno informazioni sul modo in cui si svolge un’azione:

- canticchiare ‘cantare distrattamente, sommessamente, a tratti ecc.’;

- parlottare ‘chiacchierare a voce bassa’;

- leggiucchiare ‘leggere senza impegno’.

 

 

ASPETTUALI, VERBI vedi FRASEOLOGICI, VERBI

 

 

ASPRO, SUPERLATIVO DI

 

Aspro è uno degli aggettivi che formano il superlativo assoluto aggiungendo il suffisso -errimo anziché -issimo

aspro> asperrimo.

 

 USI 

È diffusa anche la forma asprissimo, coniata sul modello dei superlativi regolari e attestata già nella prima edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca (1612).

 

VEDI ANCHE   

-errimo, superlativi in

 

 

ASSAI

 

Quando l’avverbio assai viene usato con il significato di ‘molto’, precede l’aggettivo o l’avverbio a cui si riferisce

assai buono, assai bello, assai prima.

 

 USI 

È molto frequente, in alcune regioni del Meridione, l’uso di assai posto dopo l’aggettivo o l’avverbio a cui si riferisce (buono assai, bello assai, prima assai). 

Si tratta di un uso fortemente connotato in senso locale, dunque da evitarsi nello scritto, ma anche nel parlato di una certa formalità.

 

 

ASSE: MASCHILE O FEMMINILE?

 

Asse maschile e asse femminile sono due omonimi di genere diverso.

Il femminile ha il significato generale di ‘tavola’

asse per il pane, asse per la pasta, asse da stiro

Il maschile si usa nel significato geometrico e figurato

asse di simmetria, asse delle ascisse, asse di rotazione, asse del timone, asse delle ruote, asse Roma-Berlino

La distinzione si mantiene anche al plurale 

le assi / gli assi.

 

 

ASSERTIVE, PROPOSIZIONI vedi ENUNCIATIVE, PROPOSIZIONI

 

 

ASSIEME O INSIEME?

 

Le due parole hanno lo stesso significato e si usano per esprimere unione o compagnia. Possono essere usate indifferentemente in quasi tutti gli usi:

• in funzione di avverbio

Paolo e Marco faranno un viaggio assieme / Paolo e Marco faranno un viaggio insieme

• nella formazione delle locuzioni preposizionali assieme / insieme a e assieme / insieme con

Carlo ha scritto un libro assieme a (con) suo fratello / Carlo ha scritto un libro insieme a (con) suo fratello

• come sostantivi, con il significato di ‘gruppo di cose, o di persone, coordinate e coese’ la forma assieme si può usare ma è piuttosto rara

La squadra forma ormai un assieme affiatato / La squadra forma ormai un insieme affiatato

Nella specifica accezione matematica si usa solo insieme

La teoria degli insiemi fa parte del programma di quest’anno.

 

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insieme a o insieme con?

 

 

ASSOLUTAMENTE

 

Il significato originario dell’avverbio è ‘in maniera assoluta, senza limitazione’. Con il tempo, però, assolutamente ha acquisito un valore rafforzativo in frasi sia positive, sia negative 

un film assolutamente perfetto

una posizione assolutamente non condivisibile.

 

 USI 

Soprattutto nella lingua parlata, si è diffuso negli ultimi anni l’impiego di assolutamente da solo, come forma di risposta che può avere valore tanto affermativo quanto negativo 

«Sei stanco?» «Assolutamente» (= no, per niente)

«Ti è piaciuto?» «Assolutamente» (= sì, moltissimo)

Dato che assolutamente di per sé non ha valore né positivo né negativo, sarebbe sempre meglio evitare ambiguità e rispondere almeno assolutamente sì o assolutamente no

 

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affatto

 

 

ASSORBO O ASSORBISCO?

 

Al presente indicativo, la coniugazione del verbo assorbire presenta una doppia forma con l’interfisso -isc- nelle tre persone singolari e nella terza plurale.

 

 

 STORIA 

Anche il participio passato del verbo assorbire presentava storicamente due forme:

- assorbito (usata sia in senso proprio, sia in senso figurato)

La carta ha assorbito tutta l’acqua

Il trasloco mi ha assorbito completamente

- assorto, oggi usata soltanto come aggettivo

E sei fantastica quando sei assorta / nei tuoi problemi, nei tuoi pensieri (V. Rossi, Albachiara)

Nella lingua antica e poetica, era normale l’uso di assorto anche come participio passato

Pur, se nell’onta della Patria assorte / Fien mie speranze (U. Foscolo, Alla donna gentile).

 

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incoativi, verbi

 

 

ASTERISCO

 

L’asterisco è un segno grafico (*) che può avere molteplici funzioni.

• Rinvia a una nota a margine o a piè di pagina.

• Indica il tipo car* tutt*

Era figliuolo di un mercante di *** (questi asterischi vengono tutti dalla circospezione del mio anonimo) (A. Manzoni, I promessi sposi).

 

 USI 

Un impiego dell’asterisco che ha preso piede negli ultimi anni è quello legato alla volontà di evitare il cosiddetto uso “sessista” della lingua. Con soluzioni come car* tutt* si intende evitare l’uso del maschile generalizzato previsto dalla norma grammaticale (cari tutti riferito a donne e uomini), ma anche la dicotomia di genere implicita in una frase come care tutte e cari tutti 

Videolettera di Nichi a* ragazz* del 9 aprile (www.sinistraecologialiberta.it)

Tale soluzione sembra derivare dall’impiego dell’asterisco come “carattere jolly” tipico dei sistemi informatizzati di ricerca. 

In linguistica poi l’asterisco ha due funzioni specifiche.

1. In riferimento alle basi etimologiche, viene preposto a una parola per indicare che non esistono prove documentate della sua esistenza, ma si tratta di una forma deducibile soltanto in via ipotetica

Il verbo bruciare deriva dal latino parlato *brusiare

2. In riferimento all’uso linguistico, viene anteposto a una frase per segnalare che si tratta di una struttura agrammaticale, cioè non accettabile dalla coscienza linguistica dei parlanti nativi di una lingua

*Io parlare italiano

*Il più bellissimo del mondo.

 

 

ASTRATTI, NOMI

 

I nomi astratti, contrapposti a quelli concreti, si riferiscono a entità non percepibili fisicamente ma conoscibili soltanto attraverso la mente, come quelli che indicano stati d’animo, sensazioni o sentimenti

felicità, paura, amicizia, amore

Non si tratta, tuttavia, di una distinzione così nitida e facile da applicare, dato che molti sono i casi cui il grado di astrazione o di concretezza è relativo

partenza, risalita, odore

Inoltre, in determinati contesti, alcuni sostantivi che in generale sarebbero classificati come astratti, diventano invece nomi concreti

le celebrità del mondo del cinema (celebrità = attori).

 

 

ATMOSFERICI, VERBI

 

Si definiscono atmosferici (o meteorologici) i verbi che indicano fenomeni meteorologici, come piovere, nevicare, grandinare, tuonare, gelare, albeggiare ecc.

Si tratta quasi sempre di verbi impersonali, che possono assumere forma personale solo quando il soggetto è rappresentato da parole come goccia e simili

Piovevano gocce sempre più rade.

 

 DUBBI 

Questi verbi possono creare qualche dubbio sull’ausiliare da scegliere nei tempi composti. Tradizionalmente si distinguono i casi in cui s’intende sottolineare la durata dell’azione, nei quali si preferirebbe l’ausiliare avere, e tutti gli altri casi, in cui l’ausiliare sarebbe essere

Ieri ha nevicato per tre ore

È nevicato un po’ stanotte

La realtà è che nell’italiano contemporaneo è perfettamente normale l’uso dell’uno o dell’altro ausiliare, senza distinzioni di registro o di significato.

 

VEDI ANCHE   

avere o essere?

 

 

ATONI E TONICI, PRONOMI vedi PERSONALI, PRONOMI

 

 

ATTENUATIVI, SUFFISSI

 

Nell’ambito dei meccanismi dell’alterazione, si dicono attenuativi i suffissi che attenuano il significato della parola alla quale si aggiungono.

Questi suffissi possono essere utilizzati con aggettivi

malato> malaticcio

rosso> rossiccio

ma anche con alcuni verbi (in questo caso il suffisso può avere funzione, oltre che attenuativa, anche leggermente peggiorativa)

cantare> canticchiare

vivere> vivacchiare.

 

 

ATTERRARE: AVERE O ESSERE?

 

La scelta dell’ausiliare essere o avere cambia a seconda che questo verbo sia usato in forma transitiva o intransitiva.

• Usato come transitivo, il verbo atterrare ha il significato di ‘gettare a terra’ e richiede l’ausiliare avere

Ha atterrato un avversario

• Quando è intransitivo, il verbo atterrare è utilizzato soprattutto per indicare il ‘posarsi a terra’ dei velivoli o nel significato più generico di ‘ricadere al suolo’. In questi casi, si può usare come ausiliare sia essere, sia (meno comune) avere

L’aereo è atterrato in ritardo / L’aereo ha atterrato in ritardo.

 

VEDI ANCHE   

avere o essere?

 

 

ATTIMINO

 

Attimino è il diminutivo del sostantivo attimo, che indica di per sé uno spazio temporale brevissimo. Per questo motivo sarebbe improprio l’uso del diminutivo, anche se il suo impiego con valore temporale è del tutto accettabile, soprattutto nella lingua parlata 

aspetta un attimino 

se fosse arrivato un attimino più tardi! 

È invece sconsigliabile, sia nello scritto sia nel parlato, l’uso di attimino con valore modale, cioè con il significato di ‘un po’’, ‘davvero’, ‘veramente’. Questo uso estensivo si è sviluppato negli ultimi decenni ed è oggi molto comune nel parlato e nella lingua del Web

è un attimino troppo alto

mi sento un attimino poco considerata (www.cercounbimbo.net)  

a me sembra un attimino strano come metro di giudizio (www.mad4games.it).

 

 

ATTINENTE A O ATTINENTE?

 

L’aggettivo attinente ‘che concerne’, ‘che è in relazione con qualche cosa’, regge la preposizione a. La forma deriva infatti dal participio presente del verbo intransitivo attenere (da latino attinere)

le carte attinenti al processo, le mansioni attinenti alla sua carica

La costruzione senza preposizione (attinenti il processo) è errata; la sua diffusione è dovuta al modello di aggettivi di significato affine come concernente o riguardante, che derivano da verbi transitivi e che quindi non reggono la preposizione a (concernenti il processo, riguardanti il processo). 

 

 

ATTIVI, VERBI vedi FORMA ATTIVA, PASSIVA E RIFLESSIVA

 

 

ATTRIBUTO

 

Nell’analisi logica l’attributo è un aggettivo o un participio che concorda in genere, numero e funzione sintattica con il nome a cui si riferisce. 

L’attributo può riferirsi, in particolare:

• al soggetto

Il gatto affettuoso fa le fusa

• al nome del predicato (predicato nominale)

Il gatto è un animale domestico

• al complemento oggetto

Il gatto fa molte fusa

• a un complemento indiretto

Il gatto gioca con la pallina colorata

• all’apposizione

Il gatto, animale domestico, fa le fusa

In alcuni particolari contesti anche gli avverbi possono svolgere la funzione di attributi

Non ho mai visto un uomo così.

 

 

AUSILIARI, VERBI vedi AVERE O ESSERE?

 

 

AUSPICARE O AUSPICARSI?

 

L’unica forma corretta è auspicare

Il Presidente auspica una rapida soluzione della crisi

La forma auspicarsi è errata e si deve a una confusione con il verbo augurare, che – a differenza di auspicare – si può usare anche come riflessivo

Il Presidente si augura una rapida soluzione della crisi.

 

 

ÀUSPICI O AUSPÌCI?

 

Si tratta di una coppia di omografi

• La parola sdrucciola àuspici è il plurale di àuspice, cioè ‘la persona che traeva gli auspìci presso gli antichi Romani’. Per estensione, il vocabolo ha assunto anche il significato di ‘promotore, fautore’ di qualcosa

Giovanni Villani sollecita ed anzi si fa auspice della continuazione dell’impresa (A.M. Cabrini, Un’idea di Firenze)

• La parola piana auspìci, invece, è il plurale di auspìcio, con cui si intende sia ‘l’antica pratica della divinazione’, sia (per estensione) ‘l’augurio, il segno o la circostanza che serve di presagio’

Quell’invito ci sembrò di ottimo auspìcio

Il vocabolo è usato oggi soprattutto al plurale, con il significato di ‘favore’ o ‘supporto a un’iniziativa’

L’associazione fu costituita sotto gli auspìci del presidente della Repubblica.

 

VEDI ANCHE   

accento

 

 

AVERE O ESSERE?

 

I due ausiliari (letteralmente ‘che aiutano’) della lingua italiana sono i verbi avere ed essere.

• Il verbo avere si usa per formare i tempi composti dei verbi transitivi attivi

io ho amato, tu avevi visto, voi aveste colpito

• Il verbo essere, invece, si usa per formare:

- la forma passiva dei verbi

io sono stato amato, tu eri stato visto, noi fummo stati colpiti

- i tempi composti dei verbi impersonali

mi è sembrato

- i tempi composti dei verbi riflessivi

mi sono lavato, mi ero vestito

• La scelta dell’ausiliare avere o essere con i verbi intransitivi non segue criteri costanti e regolari.

 

In linea generale, però, si usa l’ausiliare avere con i verbi che indicano un’azione effettivamente compiuta dal soggetto 

ho parlato, ho dormito

• Si usa, invece, l’ausiliare essere:

- con i verbi che indicano un’azione subita dal soggetto

sono nato, sono cresciuto

- con i verbi di movimento

sono andato, sono partito

sebbene anche tra questi ce ne sia qualcuno che richiede l’ausiliare avere 

ho camminato, ho viaggiato

Generalmente quando si tratta di verbi servili si tende a usare l’ausiliare del verbo all’infinito che segue dopo 

cantare> ho cantato> ho potuto cantare

andare> sono andato> sono dovuto andare

Tuttavia esistono delle eccezioni.

• Se il verbo all’infinito è intransitivo, si può anche usare l’ausiliare avere 

sono dovuto andare / ho dovuto andare

• Se il verbo all’infinito è essere, si usa l’ausiliare avere

Avrebbe dovuto essere a scuola

• Se il verbo all’infinito è in forma passiva, si usa l’ausiliare avere 

Avrebbe potuto essere visto

• Se il verbo all’infinito è pronominale, si usa l’ausiliare essere se il pronome viene anticipato, ma se il pronome viene posticipato si può scegliere indifferentemente l’ausiliare essere o avere

Non ci sarei dovuto andare

Non sarei dovuto andarci / Non avrei dovuto andarci.

 

VEDI ANCHE   

atmosferici, verbi

 

 

AVERE O TENERE?

 

Il verbo tenere è usato al posto di avere in alcune espressioni come tenere fame, tenere sonno, e così via, soprattutto in alcuni italiani regionali.

Quest’uso non è accettato nell’italiano standard, dove in queste espressioni si usa sempre il verbo avere: avere fame, avere sonno e così via.

 

 USI 

Molto diffusa in tutta Italia è l’espressione tenere famiglia, che si usa di solito per spiegare o giustificare azioni normalmente ritenute disdicevoli. In questo caso il verbo tenere è quasi inevitabile; non otterremmo lo stesso effetto dicendo: «Ho famiglia».

 

 

AVVERBI

 

L’avverbio è una parte invariabile del discorso, la cui funzione è determinare il significato di un verbo (dorme saporitamente), un aggettivo (molto buono) o un altro avverbio (troppo duramente).

A seconda della funzione che svolgono, gli avverbi si suddividono in diverse categorie.

 

 

Nella categoria degli avverbi di luogo rientrano ci e vi (nel significato di ‘in questo luogo’, ‘in quel luogo’, ‘in ciò’) e ne (nel significato di ‘da quel luogo’, ‘da ciò’)

ci vengo

ne sono uscito

 

 

Alcuni avverbi sono aggettivi che hanno assunto anche una funzione avverbiale 

Viaggia sicuro: allaccia le cinture

Corre forte, non c’è che dire

Finalmente hai risposto giusto

Siamo andati ad abitare lontano

Come gli aggettivi qualificativi, anche la maggior parte degli avverbi ha un grado comparativo e uno superlativo

spesso> più spesso, spessissimo

bene> meglio, ottimamente

Solo pochi avverbi, invece, presentano forme soggette ad alterazione

bene> benino, benone

male> maluccio, malaccio

poco> pochino, pochetto, pochettino

Una funzione analoga a quella degli avverbi è svolta dalle locuzioni avverbiali

All’improvviso (= improvvisamente) il cane è venuto fuori dalla cuccia.

 

VEDI ANCHE   

avverbi, formazione degli

derivate, parole

 

 

AVVERBIALI, LOCUZIONI

 

Le locuzioni avverbiali sono locuzioni composte da due o più parole che hanno nel loro insieme funzione di avverbio. Possono essere formate con diversi elementi:

• con una preposizione

a proposito, di sicuro

• con la preposizione a usata due volte

a mano a mano

• con le preposizioni di e in

di male in peggio

• con la reduplicazione di nomi, aggettivi, avverbi o verbi

passo passo, bel bello, quasi quasi, stringi stringi.

 

VEDI ANCHE   

proposizioni

 

 

AVVERBI, FORMAZIONE DEGLI

 

In base alla loro formazione, gli avverbi possono essere suddivisi in tre categorie.

1. Avverbi semplici: hanno una forma autonoma che non deriva da nessun’altra parola 

subito, laggiù

2. Avverbi composti: sono formati da due o più parti che un tempo non erano unite

tuttora (tutt’ora), talora (tal ora)

3. Avverbi derivati: si formano aggiungendo un suffisso a un’altra parola. In genere si tratta dei suffissi:

- -mente nei casi di derivazione da un aggettivo

lontano > lontanamente

- -oni nei casi di derivazione da un nome o da un verbo

gatto > gattoni

tentare > tentoni.

 

 STORIA 

Il suffisso -mente deriva dal latino mente, ablativo del nome mens ‘mente, spirito, intelligenza’. Perciò, una frase latina come amare tenera mente voleva dire ‘amare con un’attitudine mentale tenera’. Con il passare del tempo, queste locuzioni sono passate a indicare non tanto l’attitudine, quanto il modo con cui si svolgeva l’azione. Nell’italiano antico era ancora viva la percezione di questa origine, tanto che si potevano usare espressione come villana e aspramente (cioè villanamente e aspramente). Poi l’aggettivo ha preso a essere sentito un tutt’uno col resto della parola: così -mente è diventato un suffisso usato ancora oggi per creare nuovi avverbi.

 

In latino, così come in italiano, gli aggettivi devono accordarsi al nome cui si riferiscono, e mens, come in italiano, è femminile. Ecco spiegato perché nella nostra lingua gli avverbi che derivano da un aggettivo si creano a partire dal femminile.

 

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derivate, parole

 

 

AVVERSATIVE, CONGIUNZIONI

 

Le congiunzioni avversative sono congiunzioni coordinative che hanno la funzione di legare due parole o due proposizioni che sono in qualche modo in contrasto (avversative, proposizioni). 

Le più frequenti sono anzi, eppure, ma, però, tuttavia, bensì

Non sono stanco, ma affaticato

Io sono rimasta a casa, però Lucia è uscita.

 

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ma però

 

 

AVVERSATIVE, PROPOSIZIONI

 

Nell’analisi del periodo, le proposizioni avversative sono proposizioni coordinate o subordinate che esprimono un fatto o una situazione in contrasto con quanto viene detto nella proposizione principale o con quanto ci si aspetterebbe in base a quello che si afferma nella principale.

• Le proposizioni coordinate avversative vengono introdotte da ma, però, tuttavia, mentre, eppure

Giovanni è bassino, ma gioca bene a basket

Marco ha studiato molto, tuttavia non ha superato l’esame

• Quanto alle proposizioni subordinate avversative:

- quando si trovano in forma esplicita vengono introdotte da mentre (o mentre invece), quando (o quando invece), laddove e presentano il verbo all’indicativo o al condizionale

Credi di avere ragione, quando (invece) hai torto

Sono rimasta addormentata, mentre (invece) sarei dovuta andare al lavoro

- quando si trovano in forma implicita vengono introdotte da anziché, invece di, in luogo di e presentano il verbo all’infinito

Anziché scusarsi, è scappato via

Invece di uscire, ha preferito studiare.

 

 

AZIONE VERBALE vedi ASPETTO VERBALE